Non credo nella violenza come mezzo per la risoluzione dei problemi. Credo però che la violenza sia lo strumento più immediato a cui si ricorre per rispondere ad un bisogno immediato di rivalsa.
La violenza spesso è accompagnata da rabbia, sia questa
evidente o meno. Inoltre, conduce all’esasperazione dell’essere
e al sovvertimento di tutte le regole dell’apparire.
In ultima analisi, arrabbiandosi si tira fuori ciò che
realmente si è.
La rabbia è il sintomo che qualcosa di doloroso è stato
scoperto; qualcuno, qualche parola ha toccato dei fili nervosi ad altissima
tensione. Non importa della reale o presunta malattia, resta chiaro
che il dolore è vero e insopportabile.
Tanto premesso, nei rapporti di coppia la violenza appare
con la presunta impossibilità di comunicare a fondo le reciproche
incomprensioni. Nei momenti di alta tensione nascono le motivazioni per
cui si inizia a litigare; queste ottengono il supporto e ulteriori giustificazioni
dalle grosse parole che volano nell’aria: più sono pesanti, più si vuole
ferire.
La battaglia si trasforma in un massacro delle relazione fino
ad allora costruita.
Un po’ più tardi, sul campo di battaglia rimangono quelle
parole che non avreste mai voluto dire e il pensiero che su qualcuno ricadrà il
bilancio di una guerra non voluta. Si spera di rimediare pensando che con la quiete e i
comuni buoni intendimenti possano cancellare l’accaduto.
Dimenticare è la proprietà dell’essere buono che non si
addice a protagonisti di battaglie senza esclusioni di colpi. I litiganti spesso firmano momentanei armistizi.
Concludendo, il litigio, sponsorizzato positivamente nelle
storie d’amore, non è mai quel litigio che porta all’esasperazione dei rapporti,
è soltanto una manifestazione di due modi di vedere la stessa realtà, ornati da
due sorrisi quantunque ironici.
Invece, nei casi in cui il litigio diventa una tragedia intima, in quei momenti, una riflessione si impone.
Siamo quasi 8 miliardi su questa terra, tutti diversi e tutti
disponibili ad essere amati.
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