martedì 12 luglio 2016

Esame di Stato 2016


La vita è una ripetizione di eventi interpretati da sentimenti mascherati con stati d’animo volubili.
Non ci rendiamo conto, ma sono innumerevoli le azioni ripetute che ci ritroviamo a compiere. Perfino le speranze entrano in questo strano gioco. 

Abbiamo preso la buona abitudine di rinnovarle in continuazione.

Per fortuna che non hanno scadenza, altrimenti saremmo stati costretti al riciclo per non deturpare l’ambiente psicologico.  
Se facessimo un conto sommario, sottraendo dal totale tempo vita, quanto ne consumiamo a rifare le stesse cose, la durata della nostra esistenza si ridurrebbe all’infanzia. 
Forse questo è uno dei motivi per cui è difficile crescere e diventare adulti ... in tutti i sensi.
L’esame di Stato è una delle occasioni in cui la monotonia dell’essere prende il sopravvento. 
In queste occasioni, una serie di azioni formali si ripetono fino alla completa rassegnazione dell’intelligenza.
Ovviamente, il punto di vista in questione è quello di un docente che non crede più sull’utilità dell’opera in cui si cimenta.  
Non credo di sbagliarmi molto, e non è necessario essere grandi osservatori per notare l’aria noiosa che si addensa intorno alla commissione mentre è nel pieno svolgimento del suo mandato.

Se non avente ancora capito a che cosa mi riferisco, vi offro un aiutino.
Ogni anno, alla fine di giugno, 8 o 9 persone si radunano per giudicare la “maturità” di un gruppo di alunni.
Questi signori devono marcare con un voto la qualità di ogni esaminando.
Si tratta di una specie di etichetta che i futuri maturandi si porteranno al collo in ricordo di una esperienza quinquennale.
Ma non illudetevi, perché i poveri commissari non possono smentire il “giudizio” espresso dal consiglio di classe. Questo è il biglietto da visita con il quale ogni studente si presenta agli esami di stato. 
Allora? Quale funzione hanno i commissari?
Se volete capirci qualcosa (di più o meno serio) dovreste girovagare fra le carte ministeriali esplicative che giungono soltanto al presidente di commissione. 
Si tratta di un mondo di norme costruite per disciplinare i possibili futuri ricorsi legali.
La vera realtà, invece, è possibile trovarla negli stati d’animo degli alunni. 
In quella riposa il lavoro dei docenti; qui ci sono i risultati (positivi o negativi) di quei professori che hanno tentato di dare il meglio di se stessi. 
Certamente, i professori non lo avranno fatto per lo stipendio, né per paura di un improbabile controllo e ancor meno, per un’ambizione riposta in altre direzioni.
Gli studenti, per fortuna, sentono ancora l’importanza di questa tappa della loro vita. 
Quest’ardore, queste emozioni, sono i flutti di vita che vengono inalati nell’entusiasmo calante dei commissari d’esame per rimanere vivi intellettualmente e non abbandonarsi completamente al passo lento della noia.

Per evitare di non aver chiaro in mente il senso che mi coglie quando mi sento inutile, mi rileggo la definizione di noia: 

La noia è uno stato di insoddisfazione, temporanea o duratura, nata dall'assenza di azione, dall'ozio o dall'essere impegnato in un'attività sostenuta da stimoli che si recepiscono come ripetitivi o monotoni o, comunque, contrari a quelli che si reputano più confacenti alle proprie inclinazioni e capacità. 
Quando la noia assume le proporzioni di una sensazione più accentuata e dolorosa si parla di tedio.”     

Purtroppo, anche quest’anno la pantomima degli esami di Stato si è ripetuta!
Non fraintendetemi però, non voglio trasmettere un messaggio negativo, magari legato alla scarsa professionalità dei docenti. 
L’intendimento vuole muovere la coscienza per una presa di consapevolezza su un principio d’esistenza che ritengo importante.

La natura umana se non riforma se stessa continuamente tende a perdere quelle prerogative che le sono proprie. 

Mi riferisco alla creatività, alla gioia di esistere e in fondo, a quella sottile non dichiarata fede di voler rappresentare la propria individualità in termini di unicità universale.

mercoledì 6 luglio 2016

Intrappolare i desideri


 
Capita a tutti di racchiudere nel proprio animo un desiderio, di farlo rimanere sull’uscio della propria casa senza aprirgli la porta. 

Tanti saranno i motivi per questo blocco. 

Paure inconfessate legate ad antichi insuccessi o frustrazioni irrigidiscono le decisioni e votano all’immobilità. 

Il tempo è un medico condotto che bussa a porte con serrature arrugginite. 

Allora, giunge il momento in cui queste pesanti porte rumorosamente si aprono. 

Inevitabilmente, si ritrovano quegli antichi desideri invecchiati, senza brio, capaci soltanto di evocare rammarico. 

Al termine di un lungo film si conosce la trama.

Quale sarebbe stata la trama, se fosse stata scritta da un desiderio?

Una vera vita vissuta!

Probabilmente, è un’ottima chiave di lettura della vita, se si usassero meno verbi al condizionale a vantaggio di quelli al presente!

Un ottimo stratagemma per intrappolare il desiderio nella realtà! 


martedì 5 luglio 2016

Quando a morire è una Lingua

 
 
Sul nostro pianeta si parlano circa 6.800 lingue. Ogni quindici giorni ne spariscono due e con esse muoiono antiche culture, usi, costumi, tradizioni, leggende, riti, medicine naturali.

Entro il 2100, il 90 per cento di tutti gli idiomi umani, sparirà per sempre. Le previsioni più ottimistiche dicono che soltanto la metà, sarà estinta. Quelle ormai irrimediabilmente perdute, secondo i calcoli dei linguisti, potrebbero essere tra quattro e nove mila.

Il 96% della popolazione mondiale utilizza soprattutto quattro lingue: il cinese mandarino, parlato da un miliardo di persone, come l’inglese, l’Hindi/Urdu (900 milioni) e lo spagnolo (450), seguito da russo, arabo, bengali, portoghese, giapponese, francese, tedesco, italiano. Il restante quattro per cento parla tutte le altre.

I ricercatori escludono dal rischio d’estinzione soltanto 600 lingue nel mondo, perché sono ancora insegnate ai bambini. In Canada e Stati Uniti, il 90% delle lingue native, non è appreso dalle nuove generazioni.

Su 300 lingue parlate sul territorio americano in età colombiana, soltanto dieci sono ancora utilizzate da gruppi superiori ai diecimila individui. In Australia si stanno estinguendo il 90% delle 250 lingue aborigene.

I quattro quinti degli idiomi sono usati da gruppi inferiori ai diecimila individui. Nell’area amazzonica peruviana soltanto cinque persone parlano ancora il Chamicuro.

Gli scienziati stimano che, in Africa su un patrimonio di 1.400 lingue 54 sono ormai estinte, 116 sono vicine all’estinzione, 250 sono minacciate e 600 in forte declino, ma in Sud Africa le lingue ufficiali sono solo l’inglese l’africaans.

In Asia meno di diecimila persone parlano circa la metà delle lingue autoctone. Nel ashmir il Brokshat è parlato da tremila persone, il burmese da 250, mentre nelle Filippine poche famiglie parlano ancora l’Arta. Il 90% degli idiomi umani non è presente su Internet.

I contenuti della Rete sono per il 68,4% in inglese; seguito dal giapponese con il 5,9%, dal tedesco con il 5,8% e dal cinese con il 3,9%. 

L’80% dei linguaggi esistenti non ha una forma scritta e la metà di essi è concentrata in otto paesi: Papua Nuova Guinea (832), Indonesia (731), Nigeria (515), India (400), Messico (295), Camerun (286), Australia (268) e Brasile (234).

Le regioni con la più alta biodiversità sono quelle più ricche anche dal punto di vista linguistico: le lingue parlate nelle isole, ad esempio, si sono sviluppate, come le specie viventi, in modo unico e completamente autonomo. Gli abitanti del piccolo Arcipelago di Vanuatu, nel Pacifico, parlano ben 110 lingue.

La perdita di lingue uniche, nella loro identità culturale e nei loro contenuti storici, (l’Igo, parlato da seimila persone nel Togo meridionale, molto probabilmente conserva tracce della migrazione africana occidentale) rende più difficile la nostra comprensione della diversità biologica.

I linguaggi utilizzati nelle foreste tropicali o sulle isole, sono notoriamente molto ricchi di vocaboli specifici per la descrizione della natura. Gli hawaiani chiamano i pesci con nomi che indicano il periodo di riproduzione, gli usi medicinali e i metodi per catturarli.

In Papua Nuova Guinea, le lingue locali comprendono centinaia di nomi diversi per ogni specie di volatile presente sulle isole, mentre il Pidgin, (un misto anglo-cinese diffuso in estremo oriente) ne comprende al massimo due.

Molti ricercatori studiano gli elementi strutturali della grammatica e del vocabolario, per capire se alcune regole fondamentali del linguaggio, abbiano valenza mondiale e se è possibile trovare un riscontro fisico nella struttura del cervello umano.

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