A scuola abbiamo imparato tantissime nozioni;
abbiamo appreso concetti, significati e valori che ci hanno strutturato il
pensare; ci hanno permesso di organizzare il pensiero secondo una logica utile
per comunicare.
Spesso ci viene in mente una
domanda. Se dovessi fornire una misura del mio sapere, come potrei conoscere la
quantità del mio sapere?
La sensazione comune è
quella che ciò che potremmo sapere, è molto maggiore di quello che sappiamo, ma
poiché non ci appare chiaro quello che sappiamo, ci troviamo di fronte ad una
percentuale ricavata dalla divisione di un numero piccolo con uno grandissimo.
Ovviamente, il risultato ci fa sentire molto imbarazzati.
Il numero insignificante che
viene fuori dalla precedente divisione, diventa gigantesco se lo confrontiamo
con quello ottenibile (in modo presunto) dall’elaborazione effettuata sul
nostro vicino/amico/collega.
La differenza tra quantità
piccolissime rende uno di noi sapiente rispetto all’altro. Se tale differenza è
sostenuta da titoli culturali e si riversa in libri/riviste/conferenze, si
ufficializza tale sapienza e diventa scienza.
L’applicazione del sapere si
chiama lavoro.
Un lavoro produce beni e/o servizi per altri uomini.
L’uomo che lavora
ottiene gratificazioni materiali e morali.
Immaginate quanta più
felicità ci sarebbe sulla terra, se la quantità di sapere sparsa su tutta
l’umanità aumentasse di una quantità se pur minima.
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