Julian Jaynes |
Quando ci poniamo la domanda "che cosa è la coscienza?", ci esponiamo inevitabilmente ad un errore di fondo: quello di de-finirla, chiuderla in categorie gnoseologiche e/o psicologiche fuori da ogni coscienza fattuale. Noi possiamo essere coscienti di qualcosa che molto spesso coscienza non è/ha: una pietra non ha una coscienza, la panchina sulla quale sono seduto non ha una coscienza. Eppure scrive Jaynes "Noi reagiamo [comunque] costantemente a varie cose anche senza averne coscienza. Mentre sono seduto sotto questo cipresso reagisco alla mia posizione, prendo carta e penna e ci tiro su dei versi. Cosa mi accade? Scrivendo reagisco alla penna che ho in mano dal momento che la mantengo ferma, ma resto con la sola coscienza di appuntare ciò che sto cercando di appuntare.
Ad avviso di Jaynes "la reattività copre tutti gli stimoli che il mio comportamento registra in qualche modo, mentre la coscienza è qualcosa di distinto ed è un fenomeno assai meno onnipresente".
Dunque, io sono la mia reazione, la mia fenomenicità o se vogliamo quel tale fenomeno che ridisegna il volto indefinito di una coscienza che non è disvelata. Questo è ciò che Yaynes definisce "mente bicamerale". Una mente temprata (storicamente parlando) a due binari pro-mossa dai culti emotivi e psicologici che inducono a spiegare i fatti di coscienza con la mera fenomenicità.
Questo fenomeno è un vuoto, una torcia accesa in una camera buia che vorrebbe qualcosa che non sia fatto di luce. Allo stesso modo, tutto ciò accade proprio quando noi pensiamo che sia tutto normale, nella misura in cui siamo svegli e attenti. Ne siamo davvero coscienti? per Jaynes è solo una impressione.
scritto da Squeo Fabio
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