Ortega Y Gasset |
C'è un dato necessario nella mia esistenza: e cioè che co-esisto. Una frase, questa, che apre sin da subito le porte della dimora ortegassiana. In verità, co-esisto senza il bisogno che Altri me lo ricordano.
Esisto dunque co-esisto, pur prevaricandomi con un io che vuole solo se stesso. L'io è sempre con sé stesso. Non posso fuoriuscire da me stesso per gli altri. Eppure gli altri me lo impongono, insieme alla vita, assieme all'esistenza.
Ma ad avviso di Ortega "per incontrare il mondo diverso non ho bisogno di uscire da me stesso, il mondo è sempre congiunto a me".
Secondo il pensatore spagnolo, parlare di mondo e/o parlare di un io, significa parlare della stessa cosa. In altre parole, io sono quel luogo o quella dimensione di fatto (che ortega piace chiamare circostanziale) dove il mondo è sempre unito a me. Pertanto, il dato necessario di cui parlavo suddettamente, è oltretutto costitutivo, radicale. Il punto di partenza di questa riflessione filosofica non è semplicemente che l'io va auto-delineandosi, come voleva la dialettica Fichtiana o addirittura, per essere più precisi, come voleva quella hegeliana.
Ortega libera persino l'io di Cartesio dalla prigionia della soggettività. Egli propone un progetto esclusivo: cioè quello di rompere con forza quella prigione riportando la coscienza di ogni uomo nel mezzo del vociare del mondo: in quel luogo tanto bello quanto ostile dove l’io sperimenta la vita. L'io che pensa, in sostanza, è anche il mondo pensato e vissuto.
Infatti Ortega lo rammenta: "[entrambi] esistono insieme, senza separazione". Se non ci fossero cosa da ammirare, da contemplare, o banalmente da vedere, l'io non vedrebbe, stop. A tale proposito, si potrebbe pensare anche a una intimità del mondo? Certo. Perché l'intimità del mondo rientra in quel tutto, omnicomprendente che l'Io di Ortega è: vale a dire la sua circostanza. Io, in quanto esistente, divento intimamente conservato con la realtà relata del mondo, smetto di essere prigioniero e persino parte della mia sola intimità; la mia apertura al mondo è espositiva.
Una esposizione (sul mondo, sulle cose) che non va pensata come una dualità, ma come una coesistenza. Le cose sono, per così dire, imparentate con noi. Non ci sono cose che vivono nell' in-se, come voleva Sartre. Ortega scriverà che "non serve a nulla parlare delle cose ponendosi dinanzi ad esse, senza entrarvi".
Il primo compito della filosofia è proprio quello di definire assolutamente questo dato radicale. Proprio come il biologo, (come lui scriverà), che incontra la vita organica dentro la sua vita, come un dettaglio di essa.
articolo scritto da Fabio Squeo
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