lunedì 6 gennaio 2025

Tra neutralità e promessa di infinito (Vladimir Jankélévitch)

Vladimir Jankélévitch

A Mosè non fu mai concesso di vedere Dio in volto, ma solo di spalle. Quindi scorgerlo nel Quasi, nella neutralità degli accadimenti non è stato un trionfo. Mosè fu molto sfortunato. Ma quella neutralità metafisica, sperimentata prima da Mosè, poi da Jankélévitch, ha totalmente immerso l’uomo nel regime dell’Impasse (metafisico): in altre parole, l’uomo, della sua esistenza, non c’ha raccapezzato più niente. 

Il filosofo francese, russo di origini, Vladimir Jankélévitch teorizzerà così: L’esistente non è mai localizzabile tra due estremità (nascita e morte), con un chiaro riferimento a Nietzsche. 

Non si può uscire da questo limbo aporetico, ad avviso di Jankélévitch.  A tale proposito: “la vertigine metafisica che si impadronisce dell’uomo in presenza del mistero senza nome, non contempla né domande né risposte”. 

È chiaro che rimanendo ancorati alla abitudinaria sequenzialità filosofica non si può far uscire la filosofia da questa Impasse. L’esistenza neutrale di Jankélévitch è una metafisica che contiene (a parole mie) una sorta di forza della/nella ambiguità. 

La neutralità è ambiguità, incertezza, ma è altresì “un linguaggio che può dire tutto” ad avviso di Jankélévitch. Questa neutralità si carica di tutti i possibili scenari per l’uomo.  Persino l’innamorato non sa se colei che ama pensa a lui o se è indifferente al suo amore; cerca così di stabilire un contatto seppure in via “neutrale”, pensandola/lo. 

Questo Mutismo, questa imparzialità sottolinea Jankélévitch resta «una promessa, una speranza per l’avvenire, l’annuncio della primavera, breve occasione primaverile»

Si tratta di una promessa che non si può dire, o anticipare, che mi induce all’infinito e mi ricollega a quel mondo non tanto lontano dalla verità. 

 Articolo di Fabio Squeo

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