In piedi in un corridoio di marmo, mi sono trovato di fronte a una cosa terrificante; era qualcosa di mai visto prima. Non potevo muovermi, non avevo nessuna via d’uscita e i miei piedi improvvisamente sembravano inchiodati. Non riuscivo a liberarmi nonostante il mio fortissimo desiderio di farlo.
Ero congelato e con le spalle contro il muro. I miei occhi si spalancarono dolorosamente e rimasi lì, intrappolato dalla visione davanti a me.
Il rumore di qualcosa o qualcuno che avanzava risuonava dalle pareti del corridoio; echeggiava così intensamente che avrei voluto tapparmi le orecchie con le mani per bloccare la cacofonia, ma non potevo perché ero bloccato.
“Aaaaaaahhhhhh!” urlò la strana forma.
Mi sembrava un enorme ragno padrone di una ragnatela che si estendeva dal soffitto al pavimento, da una parete all'altra. Occupava quello spazio con una presenza così orribile che ogni pelo della mia pelle e ogni nervo del mio corpo si rizzavano.
L'entità si manifestò in una rete densa di una sostanza appiccicosa simile a colla e si ancorò ai quattro angoli della sala. Come una tela costruita da un ragno frenetico e maniacale, avvolgeva lo spazio intorno a me. Tutto mi faceva credere che io ero la preda intrappolata.
Non ero molto distante dai fili della ragnatela. Pur di non sentirla addosso, ero incollato al muro, immobile e senza scampo. Ero prigioniero psichico di una creatura sconosciuta che sembrava essere così irritabile che non osavo pronunciare una parola o emettere un solo respiro.
All’avvicinarsi del mostro mi trovavo al centro di una tremenda alitosi. Ciò che vedevo al centro della rete era qualcosa di inimmaginabile e così raccapricciante che avrò incubi per il resto della mia vita.
È difficile da credere, ma era così. . . vedevo una faccia! Quella della mia vittima! Un volto di proporzioni gigantesche, la pelle tesa al centro della ragnatela in una smorfia sinistra.
I suoi occhi erano selvaggi, infuriati e roteavano febbrilmente nelle loro orbite spettrali come una persona impazzita dalla tortura. Il volto iniziò a dondolare nella rete mentre lo guardavo, inorridito. Non avevo idea di cosa quell’essere avesse intenzione di fare di me, ma ero sicuro che la mia fine fosse imminente. Mi aspettavo di diventare parte di quella cruda e appiccicosa rete, in balia dell’appetito del mostro.
Mentre urlava con toni bassi e vuoti, il viso cominciò a oscillare verso di me come un pendolo. Si avvicinava di pochi centimetri dopo ogni oscillazione e a ogni volta potevo sentire su me l’odore disgustoso del suo alito. Mi sentivo perduto, attendevo soltanto che le sue zanne si stringessero sulla mia testa, schiacciandomi il cranio, perforandomi il cervello. Rimasi paralizzato, fatta eccezione per i miei nervi che tradivano la mia intensa paura tremando in modo incontrollabile.
Mentre procedeva in avvicinamento, cercavo di evitare il contatto, ma ero già con le spalle al muro. Il suo viso si avvicinava sempre di più al mio. Respiravo l’aria del suo alito: era così disgustosa che non riesco a trovare le giuste parole per darne un’idea. Contorcevo il mio viso per l’orrore dell’odore, ma non andavo oltre a piccole inclinazioni.
Ad un certo punto, il mostro cominciò a parlare. Baritono, roco e rauco risuonavano nel mio cervello.
“ass… ass.. assassino”, diceva.
Abbassai la testa e urlai, terrorizzato: “Cosa vuoi da me??”.
Mi coprii le orecchie, rannicchiandomi per a terra con il desiderio di sparire. Intanto parlava ancora.
“Anima schifosa” ripeteva con tono cavernoso, inquietante e altrettanto sinistro come prima.
Subito dopo sentii l’eco di uno schiaffo sul muro. Disperato, tentai di spostarmi verso la mia destra, illudendomi di poter trovare una uscita.
Il mostro reagì, gridando: “Uuuuaggg”.
Io rabbrividii dalla paura. Quella razione poteva significare la mia fine, poiché perdere la sua preda avrebbe sicuramente portato l’entità alla rabbia.
Poi la faccia riprese a urlarmi alle orecchie: “Hai tolto una mamma a dei bambini! Dannato!” Poi, con gli occhi infuocati, continuò: “Dimmi che cosa hai ottenuto? Sei orgoglioso della tua bestialità?”
Piansi. Non sapevo cosa rispondere.
La mia mente entrò in una centrifuga di dolore e disperazione. Mi svegliai in soprassalto con il cuore che batteva a mille.
Il silenzio della mia cella carceraria mi tranquillizzò, convinto che dovevo pagare a caro prezzo il mio spregiudicato comportamento.
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