Molto tempo fa viveva un vecchio re che era molto triste. E perché non dovrebbe essere così? Soffriva da molto tempo di una malattia dolorosa. Nemmeno i migliori medici del suo regno o di altri vicino avrebbero potuto trovare un rimedio. La malattia lo indebolì facendolo continuamente soffrire. Non sapendo cos’altro fare, diffuse un comunicato nel regno promettendo sua figlia in sposa a chi lo avesse guarito.
Un giorno, un giovane apparve alla corte reale e rese omaggio al re.
“Cosa vuoi?” Chiese il re, ansioso di ascoltare chi potesse alleviare il suo
dolore.
"Buon Dio, mi hanno detto che siete malato e che cercavate qualcuno che sapesse curarvi. Io conosco una medicina che vi potrà aiutare. Vi chiedo di lascami provare."
Il re e i suoi cortigiani erano titubanti all’inizio. Ma l’uomo sembrava convincente e sicuro di ciò che diceva e poi il re soffriva da già molto tempo per cui provare anche senza convinzione del buon risultato era anche accettabile.
Dopo un po' di riflessione, il re acconsentì. A quel punto, il giovane, dopo aver osservato i sintomi della malattia, preparò il suo farmaco e ne stabilì una accurata posologia. Ogni dose doveva essere assunta soltanto in seguito a pur lievi benefici riscontrati.
Dopo la prima dose al re girava
la testa come una trottola. I cortigiani iniziarono a preoccuparsi ma il
giovane medico assicurò che presto si sarebbe ripreso.
E veramente il re si riprese! Il miglioramento fu evidente per cui la
somministrazione del farmaco procedette secondo pianificazione. Ben presto il
grande monarca si alzò in piedi. La sua malattia sparì e ringraziò il giovane un
milione di volte per la sua genialità. Come promesso, fece lo sposare con la
figlia più giovane, Giada.
La ragazza fu molto triste quando seppe che doveva sposarsi un popolano. Ma la
notte dopo il suo matrimonio, cambio atteggiamento; era felicissima di vedere il
suo sposo seduto nel suo letto. In realtà, il giovare era un principe di un
regno lontano che aveva saputo della straordinaria bellezza di Giada. Si
trattava di Samir, figlio di uno dei prestigiosi re orientali giunto nel regno
appositamente per lei.
Le altre figlie del re non si spiegavano il motivo di questo cambiamento di
umore nel confronto dello sposo. Una notte, in assenza di Samir, entrarono
nella stanza della sorella e le imposero la spiegazione.
Quando seppero la verità l’invidia prese il suo corso. Le due figlie, da sempre invidiose delle grazie di Giada a causa della sua straordinaria bellezza, decisero di avvelenare il proprio padre pur di incolpare Samir come responsabile della sua morte e quindi, poi farlo imprigionare e giustiziare.
L’occasione si presentò nell’ora di pranzo. Jasmin, la figlia maggiore del re, volle presenziare la preparazione delle pietanze prima che queste fossero servite. Danil, coperta dalla sorella, colse l’attimo per versare del veleno nella coppa riservata al re.
Il caso volle che quando il re stava per bere il veleno, un movimento maldestro del braccio fece cadere il calice per terra. Il gatto che solitamente faceva compagnia al re, non perse tempo nel sorseggiare da terra quel nettare. Già molte altre volte il re ne aveva versato un po’ per dar gradimento al suo animale affezionato. Quella volta, però, il gatto, prima si contorse e dopo pochi spasmi e rotoloni sul pavimento, morì.
Il re spaventato e infuriato convocò i suoi servitori per individuare chi avesse voluto avvelenarlo.
“Chi è stato a mettere il veleno nel mio vino?” urlò “vi farò frustare fino alla morte se nessuno di voi parlerà”.
Nessuno dei servitori sapeva nulla. Uno di loro disse: “Maestà, noi siamo tutti tuoi fedeli devoti. Ci hai dato tutto il necessario per servirti al meglio, perché avremmo dovuto avvelenarti? Le principesse erano presenti mentre si preparava il pranzo. Loro potranno confermarvi che non abbiamo fatto nulla di male.”
Il re si innervosì, e urlò ancora: “Se non siete stati voi, chi può essere stato?”
Un altro servitore si fece coraggio perché stava per qualcosa di cui il re si sarebbe ancora di più infuriato. A capo chino disse: “Maestà, non mi crederete, ma ho la prova che qualcosa la principessa Danil dovrebbe sapere.”
Il re sbigottito, guardò minacciosamente il servitore e domandò: “Quale prova hai, malefico impertinente, per accusare mia figlia?”
Il servitore si fece piccolo; allungò il braccio per indicare una direzione e disse: “Maestà, la principessa Danil ha una macchia sulla parte bassa della veste. Quando lei ha versato il veleno nella coppa, non ha fatto caso alla goccia caduta.”
Il re si avvicinò alla figlia e osservò da vicino la macchia. Poi chiamò un esperto di corte e chiese: “Questa è una macchia di veleno?”
L’esperto, la analizzò attentamente e non ebbe dubbi dicendo: “Sì! Maestà, il colore è identico a quello che il veleno lascia sugli indumenti dei condannati a morte.”
A questo punto, la principessa Danil si inginocchiò davanti al padre e piangendo, disse: “Confesso, padre sono stato io. Fai di me quello che vuoi!”
Accanto a Danil si inginocchiò anche la principessa Jasmin, confessando la sua complicità con la sorella.
Attentare alla vita del re significava morte sicura per qualunque suddito. Il re, però, non voleva perdere contemporaneamente le due figlie, e chiese: “Datemi un motivo valido affinché io possa perdonarvi.”
Jasim, rispose: “Siamo state acciecate dall’invidia verso Giada. Abbiamo stupidamente pensato di indurre la colpa al suo sposo.”
Danil aggiunse: “Perdonaci, Padre. Qualunque punizione che deciderai di darci, sarà quella giusta.
Il padre, triste e deluso per la pochezza d’amore delle sue figlie, emise il suo giudizio: “Non posso darvi la punizione che meritate perché siete mie figlie, ma da questo momento perderete ogni onore di corte e vivrete con umiltà. L’invidia è una debolezza dell’anima, sintomo di tardiva maturazione. Quando mi sarà riferito di nuovo vostro spirito d’animo rivedrò a mia decisione.”
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