Le esperienze di
vita sono intrinsecamente non comunicabili.
Possono certamente essere scritte e
raccontate, ma non trasmettono il profondo vero senso.
Arrivano al lettore o
all’ascoltatore con parole ordinate in frasi che hanno un accurato senso
logico, ma prive di peso.
Il protagonista potrebbe infuocarle con la sua foga,
il suo calore e il tono di voce, ma otterrebbe solo attenzione e vaga
interpretazione di un vissuto non suo.
Alcuni rimangono
impressionati dall’enfasi, dallo stato di agitazione, dalle reazioni
straordinarie del comunicatore, ma difficilmente, il senso dei contenuti tocca
l’anima nella direzione giusta.
Una situazione
simile è riscontrabile vedendo un film.
Dimenticando se stessi nel buio della
sala cinematografica, entriamo nella trama, nella sensibilità degli attori e
siamo condizionati dalle loro esternazioni, ma è necessario attendere la fine
del film, per ricomporre a freddo tutti gli elementi psicologici che danno il
contenuto alla trama.
Nel momento in cui
si vuol comunicare un’esperienza vissuta, l’ascoltatore promette e non manterrà
la promessa, che comprenderà il senso dopo, mentre subito offre la sua solidarietà
e consolazione.
Non intendo
dichiarare un’ipocrisia diffusa, che in alcuni casi potrebbe anche esserci, ma
di un modo di rispondere all’esperienza del prossimo, “naturale”.
Ho sperimentato
l’impossibilità di camminare e di manifestare in pubblico l’handicap.
Vi
assicuro che si è protagonisti di una comunicazione silenziosa molto articolata
e presente nella maggioranza delle persone, indipendentemente se si è conosciuti
o no.
La malattia o
l’handicap, è “visto” inconsciamente come un male che si vuole esorcizzare e si
tenta un’emarginazione sotterranea della persona colpita.
A livello di coscienza,
poiché l’emarginazione non è una virtù, si reagisce con atti esteriori formali
di solidarietà.
Questa
interpretazione “cattiva” delle reazioni del prossimo, le riscontriamo in modo
palese (assenza di coscienza) anche tra gli animali, i quali addirittura,
minacciano l’esemplare menomato che chiede sostegno dal gruppo.
Se ci fate caso, le
occhiate che vogliono apparire fugaci o casuali, le pause di colloquio che si
notano alla vista di una persona menomata, sono momenti intensi di comunicazione
senza parole.
I contenuti del
colloquio nascosto sono chiarissimi e fanno molto male a chi, oltre al danno,
riceve la beffa.
Nessun commento:
Posta un commento
Esprimi il tuo pensiero