Come in ogni famiglia troviamo
ruoli e caratteri diversi, così anche su Facebook le figure che si mescolano sono molto variegate.
Il dato comune discende dal
carattere virtuale dell’interlocutore di ogni suo utente.
Nell’atto del commentare
o postare (neologismo), il destinatario del messaggio veste il quadro logico e
sentimentale del mittente.
Qualsiasi contrarietà o incomprensione per ciò che
si scrive è avvolta da una lontanissima possibilità di esistenza.
Per quanto
riguarda la verità sul contenuto dei messaggi, il canale è assunto
unidirezionale.
Ogni risposta contraria è acquisita con sorpresa, giustificata
immediatamente con l’inadeguata comprensione da parte del lettore.
Davanti alla tastiera, il
solitario utente connesso è un trasmettitore attento alle conferme e alle
celebrazioni di se stesso.
Nel comunicare, egli utilizza solo i significati
delle parole o delle emoticon (faccine), e cioè quel 7% del quantitativo
informativo che si trasmette parlando dal vivo con una persona. Ciò vuol dire
che, tranne per pochissimi amici che conosciamo da molto tempo, i messaggi
hanno scarsissima probabilità di essere letti con attenzione e quasi nulla, di
essere compresi profondamente.
Nonostante questa superficialità
dei lettori, i post sui social network sono canti di grilli invisibili nella
campagna silenziosa o punti luminosi nel cielo notturno estivo.
Ognuno fa storia
a sé e tutti formano un disegno o, per dirla in forma matematica, una
distribuzione di desideri.
Ogni desiderio, se pur specifico,
nato e formato all’interno della società reale, è un dato inconfutabile di un
pensiero il cui contenuto contribuisce a formare l’umore sociale.
Il singolo
pensiero, pesato nella fascia sociale di provenienza compone il quadro
ideologico da cui emerge l’umore.
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