martedì 30 settembre 2025

Internet "umana"

 

Hai avuto modo di conoscere e usare Internet?

Saprai certamente che Internet, in parole semplici, è un sistema formato da milioni di computer, sparsi sul globo terrestre e collegati tra loro in modo che, mediante l’uso di semplici programmi, riescono a comunicare e a scambiare informazioni con una certa facilità.

Senza essere molto esperti, si può capire facilmente che ci saranno dei fili che gireranno sotto terra o sotto i mari, onde elettromagnetiche che percorreranno i cieli sopra le nostre teste.

Ci saranno piccoli e grandi centri di smistamento per far percorrere queste superstrade informatiche a una marea di informazioni.

Esisteranno, quindi, un’infrastruttura e una logistica capace di far funzionare tutto, senza problemi.

Premesso tanto, mi è più facile convincerti, che il nostro ultra-universo assomiglia grossolanamente a Internet.

Ogni essere vivente può essere paragonato a uno dei tanti computer della rete. Egli è dotato di una limitata autonomia, logica e sensibilità. Le sue imperfezioni fisiche impongono un sistema locale di controllo per l’auto-mantenimento, e di essere quasi sempre staccato dalla rete globale.

Inoltre, la paura di non essere sufficiente, lo costringe ad avere memoria locale costruita solo attraverso la propria esperienza e in misura minore, attraverso quella di altri computer presenti nella sua stretta cerchia di contatti diretti. 

Le facoltà di memoria e di elaborazione hanno consentito un minimo di evoluzione, permettendo la creazione di quel sistema di codifica.

Come potrai ora capire meglio, la codifica, utilizzata per consentire ai processi di interpretare istruzioni ed evolvere, appare funzionale solo se si rimane all’interno del sistema isolato.

Il computer isolato costruisce la propria realtà in base ai suoi programmi implementati, e non esiste altra realtà, se non quella che rientra nei canoni accordati con il funzionamento programmato. Qualsiasi altra funzionalità ha bisogno di nuovi schemi da inglobare nel modello logico del computer per cui, se risulta estranea, diventa inapplicabile.

La frontiera del sapere si sposta man mano che nuove funzionalità si aggiungono al modello riconosciuto.

La prima fase storica dell’uomo è servita a fornire le funzionalità minime di auto mantenimento, nell’intervallo tra l’accensione e lo spegnimento del computer.

La seconda è servita per far nascere quel minimo di autonomia operativa, di autodeterminazione, necessaria per far partire il processo di emancipazione dalle divinità o enti superiori. Quest’ultime, per molto tempo, sono stati controllori implacabili e condizionatori delle volontà umane presenti solo allo stato embrionale. Gli Dei, a volte giustizieri e in altre propiziatori, erano i soggetti responsabili in questa fase storica. 

La terza fase ha permesso all’uomo di prendere coscienza di sé e di scoprire le sue capacità in relazione ai suoi simili e alla natura.

Con la quarta fase si è migliorata l’affidabilità, l’efficienza della sua vita, osservando la natura per imitarla e asservendola alla sua logica.

Nella quinta fase, tuttora in corso, si sta tentando un’espansione del modello collaudato, ma serviranno molte altre fasi in futuro, per giungere a un essere completo. 

La differenza tra un computer acceso e uno spento, non la fanno i suoi componenti che si deteriorano con il tempo, e nemmeno i suoi programmi che codificano funzioni strettamente connesse con la componentistica in dotazione; la fanno gli elettroni che correndo dentro i componenti elettronici, li fanno funzionare e permettono ai programmi di simulare l’autonomia operativa o di scimmiottare l’intelligenza.

Un computer per esistere deve funzionare e per farlo, ha bisogno di energia.

Provate a togliere la spina dalla sorgente di corrente elettrica, e vi ritrovate un ammasso di inerte materia.

Supponendo che il nostro computer non abbia problemi fisici, esso lavora per la maggior parte del suo tempo per se stesso e, secondo l’ordine funzionale in cui è collocato, interagisce con l’esterno solo per particolari finalità.

Questa intrinseca limitazione è ulteriormente mortificata dalle scarse abilità dei dispositivi periferici a rendere completa e veritiera l’informazione trattata internamente e resa all’esterno sottoforma di risultato.

I cinque sensi degli umani sono riportabili, in termini di similitudine, ai dispositivi periferici del computer.

Input e output sono le fasi imprescindibili per condurre un’elaborazione, per cui le distorsioni in entrambe le direzioni producono false elaborazioni e risultati inutili, se non illogici.

Ammettendo che i dispositivi periferici sono approssimati o limitati, diamo immediatamente un taglio a ciò che l’elaborazione può produrre.

La sintesi di questo discorso conduce ad affermare che ogni computer ha una sua realtà, e la visione comune non è altro che una realtà di secondo ordine o, se volete, una realtà virtuale.

Procedendo con questa disamina, vorrei soffermarmi sulla natura di ciò che dà vita al computer.

Si tratta di corrente elettrica che scorre su piste conduttrici, esattamente come il sangue nelle vene umane. La rete conduttrice del flusso di vita si estende per tutti i luoghi dove serve l’energia e promuove il movimento. La densità e il livello di frastagliamento delle piste sono indici che segnalano le zone vitali del sistema, fondamentali per la sua funzionalità globale.

Risulta importante che il flusso vitale sia anche regolare, sincrono con la necessità energetica richiesta. Molte altre prestazioni richiedono concomitanti quantitativi energetici corrispondenti ai servizi forniti.

Errate sincronizzazioni portano a una graduale anomalia di funzionamento che va da una cattiva elaborazione fino al collasso del sistema. I meccanismi coinvolti devono essere perfetti nella misura in cui la funzione richiede e dà significato al suo esistere tale.

Per esempio, un’immagine sulla retina umana deve mantenersi stabile per il tempo necessario alla sua decodifica nel cervello, quindi immagini troppo veloci imporrebbero meccanismi di trattenimento e di elaborazioni più efficienti. Diversamente si commenterebbero immagini che non esistono, ritornando così nel mondo virtuale.

Anche ammettendo la perfezione per i dispositivi di acquisizione e di elaborazione, dovremmo considerare il tipo di segnale che trasporta l’informazione e la qualità dei mezzi di trasporto. Servirebbe un segnale come la luce e un canale perfettamente ad essa adattato.

Infatti, se è vero che non c’è nulla più veloce della luce, è anche vero che non c’è nulla di più inadeguato dei canali sensoriali umani.


lunedì 29 settembre 2025

Neutralità, una maschera di velluto per codardia

 

Non è forse la più assoluta negligenza del dovere quando, di fronte a voci che invocano la pena di morte, la violenza, l'odio, il resto del Paese scrolla le spalle e acconsente alla loro richiesta? Confondere questo con "equilibrio" o "ascolto di entrambe le parti" non è compromesso; è una resa mascherata da civiltà.

L'altra parte non invoca la violenza, eppure trattiamo questa equazione ineguale come se i due pesi sulla bilancia fossero uguali.

L’approccio accondiscente non placa l'appetito della bestia, ma la ingrassa. La logica è spietata: se le minacce di violenza vengono premiate, ci saranno più minacce; Se alle folle viene data ascolto, ci saranno altre richieste. Questa non è una profezia; è aritmetica.

Pensate, se volete, a quante volte la storia ha messo in scena questo spettacolo. Quando Salman Rushdie fu condannato a morte tramite per un romanzo, alcuni che avrebbero dovuto saperlo criticarono non il fanatismo dell'ayatollah, ma l'audacia di Rushdie. Quando il fascismo si diffuse per la prima volta in Europa, voci autorevoli insistevano sul fatto che Hitler avesse le sue ragioni e che Mussolini facesse arrivare i treni in orario. Quando l'Inquisizione trascinava le persone nei tribunali del fuoco e della paura, non furono solo i religiosi a condannarle, ma anche i vicini a sussurrare che il silenzio fosse la soluzione più sicura.

Eppure, noi – e con questo intendo la cittadinanza liberale, democratica e istruita del cosiddetto mondo libero – continuiamo a ripetere lo stesso schema. Incrociamo le mani. Ci diciamo che la moderazione richiede acquiescenza. Scambiamo la neutralità per virtù, quando in realtà è una maschera di velluto per codardia. Si può quasi sentire il coro della storia che mormora: Non di nuovo. Non di nuovo, e ancora di nuovo.

Ma permettetemi una riflessione. Guardate in alto. Siamo una specie scagliata su un granello di roccia, in orbita attorno a una stella mediocre ai margini di una galassia ordinaria. Possiamo mappare la filigrana di galassie distanti milioni di anni luce, decodificare i deboli sussurri della radiazione cosmica di fondo e tracciare la nascita delle stelle. Eppure, con tutta questa conoscenza, tutta questa prospettiva, rimaniamo tribali, superstiziosi e timidi di fronte a coloro che gridano più forte e colpiscono più duramente. Sullo sfondo del cosmo, questo non è solo vergognoso, è ridicolmente insignificante.

Quindi la domanda diventa inevitabile: quando sentiamo il richiamo del sangue, quando sentiamo il canto della violenza, quando vediamo i pugni alzati non in segno di protesta ma in promessa di danno, cosa dobbiamo fare? Stare dalla parte della ragione, della legge e della compassione? O andare alla deriva, come polvere nel vento solare, finché la gravità dell'odio non ci trascina nell'abisso?

La storia è spietata con chi si nasconde. Ci ripete continuamente che il silenzio dei perbene è pericoloso quanto le grida dei malvagi. Perché il male non trionfa solo grazie alla propria forza; trionfa perché è permesso, scusato, assecondato e infine normalizzato da coloro che avrebbero dovuto saperlo. 

L'indifferenza degli uomini buoni non è neutralità. È tradimento. È collaborazione sotto un altro nome. E se non possiamo nemmeno dire questo senza scuse o esitazioni, allora possiamo anche ammettere che il futuro non apparterrà ai coraggiosi, ma ai codardi che hanno scambiato l'abdicazione per pace.

Eppure, poiché gli esseri umani non sono mai solo codardi, dovremmo ricordare anche un'altra cosa. C'è in noi una vena di ostinazione, un rifiuto di lasciare che la crudeltà scriva l'ultima parola. Per ogni capitolazione, c'è stato chi si è alzato in piedi, spesso a caro prezzo, e ha detto: "No. Non qui. Non ora".

Stephen Fry ci ricorderebbe, forse con un ammiccamento, che la serietà non significa necessariamente cupezza, che la sfida può essere gioiosa e che la risata stessa è nota per aver rovesciato i tiranni o almeno averli resi ridicoli. Non è cosa da poco insistere sulla gentilezza, sulla decenza, sulla bellezza, anche nei momenti bui. Anche questi sono atti di resistenza, forse più silenziosi, ma non meno duraturi.

Quindi, prendiamo coraggio. Se la storia ci insegna i pericoli del silenzio, ci insegna anche la resistenza del coraggio. E nel grande teatro cosmico, dove la nostra specie, sul suo pallido puntino azzurro, mette in scena il suo breve e sconcertante dramma, c'è ancora tempo, e ancora speranza, perché gli uomini e le donne buoni non solo rifiutino l'indifferenza, ma lo facciano con grazia, con dignità e persino, quando ci riescono, con gioia.

domenica 28 settembre 2025

Il viaggio: dalla mente al cuore

 

Il viaggio più importante che tu possa mai fare è lungo 45 centimetri; quello che parte dalla mente e arriva al cuore.

È così che un insegnante iniziò la sua lezione. Non ci sono stati saluti, presentazioni cortesi o esercizi di radicamento. È andato dritto al cuore del suo messaggio, come ogni buon insegnante dovrebbe fare.

Ha funzionato. L’aula era completamente silenziosa. Tutti erano curiosi, aggrappandosi a ogni parola lenta e ponderata che usciva dalla sua bocca.

Per Marco, intraprendere quel piccolo, ma considerevole viaggio, cambiò tutto. Lo condusse da una posizione giudicante e intellettuale, a una più tollerante e compassionevole. Non sradicò gli anni di ansia che si erano accumulati, né tutta sua la timidezza, la scarsa autostima che aveva sperimentato, ma ha permesso loro di esistere e di essere visti e ascoltati per la prima volta. E vedendoli e ascoltandoli, Marco fu un grado di capirli meglio.

Non stavano cercando di fuggire da un buco sepolto nel profondo. Non c'era bisogno di urlare. Avevano lo spazio per condividere apertamente il loro dolore, le loro preoccupazioni e le loro paure, per tutto il tempo necessario. Ed è stato allora che hanno iniziato lentamente a perdere il loro potere su di lui.

Persone come Carl Jung lo sapevano meglio di chiunque altro; ecco perché diceva:

"La cosa più terrificante è accettarsi completamente". E: "Amare sé stessi è il compito più difficile".

Imparare ad amare sé stesso è stato estremamente difficile e spaventoso, ma l'alternativa era continuare a indossare una maschera e reprimere le sue emozioni. E questo, alla fine, fu molto più terrificante.

Quindi la domanda è: puoi amare te stesso?

Marco non aveva idea di cosa gli aspettasse. Non aveva idea che il silenzio potesse essere così forte, che dire la sua verità potesse essere così difficile e che guardare nel suo cuore potesse essere così spaventoso, come se avesse in mano un ferro rovente che bruciava, bruciava e bruciava fino a creare un buco così profondo che il suo cuore si spaccava, liberando anni di lacrime e tensione.

"Non puoi stare lontano da te stesso per sempre. Devi tornare, devi fare quell'esperimento, per sapere se puoi davvero amare. A lungo andare, ci si ritorce contro." — Carl Jung

Il cervello pensa, il cuore sa.

Percorrere i 45 centimetri per arrivare al cuore non è per i deboli di cuore. La mente fa tutto ciò che è in suo potere per renderlo il più difficile possibile. Non perché voglia sabotarsi, ma perché ama la familiarità. È semplice psicologia.

La mente potrebbe non essere felice dove si trova, ma è a suo agio, e scambiare questo con l'ignoto è qualcosa che non vuole accettare.

Quindi ci vogliono molta determinazione e grinta per superare le seduzioni e gli inganni della mente. E ci vuole una pratica quotidiana (o più pratiche) per sostenerla.

Attività come la meditazione, il respiro e il tempo trascorso nella natura mi danno maggiori possibilità di avere pensieri gentili e sentimenti più amorevoli, ed entrambi si combinano per creare più compassione, curiosità e gioia.

Questo getta le basi per una vita migliore.

Occorre passare dal cervello al cuore il più spesso possibile, perché come disse brillantemente Rumi:

"Devi continuare a spezzarti il ​​cuore finché non si apre".

venerdì 26 settembre 2025

Persone "troppo" sensibili

 

Ci sono persone al mondo che sentono tutto un po' più profondamente. Quelle che ti contattano senza motivo. Che ricordano le piccole cose che hai detto di sfuggita. Che mandano un messaggio solo perché qualcosa gli ha ricordato te.

Sono quelle che restano alzate fino a tardi a preoccuparsi per gli altri. Che portano con sé un peso emotivo che non è mai stato loro, semplicemente perché ci tengono. Noteranno il più piccolo cambiamento nel tuo tono e ti chiederanno se stai bene e lo pensano davvero.

Ma spesso vengono etichettate. "Troppo". "Troppo sensibili". "Pensano sempre troppo" o "troppo sensibili", ma non sono ingenue o stupide! È così che sono fatte!

Come se essere emotivamente disponibili fosse qualcosa di cui vergognarsi. Come se la connessione genuina fosse obsoleta in un mondo.

Queste persone, quelle che sentono, quelle che ricordano, quelle che si fanno avanti, non sono rotte. Non sono appiccicose o deboli. Semplicemente si rifiutano di indurirsi in un mondo che continua a cercare di convincerle a farlo.

E forse ci tengono un po' più della maggior parte delle persone. Forse si fanno avanti senza che nessuno glielo chieda. Forse si fanno sentire troppo spesso e si fermano un po' più a lungo del dovuto.

Ma in un mondo pieno di conversazioni fiacche e risposte dimenticate, sono loro che scelgono ancora di interessarsi e questo conta, senza chi se ne frega e si mostra un po' troppo duro con sé stesso e con il mondo che lo circonda!!!

La storia di Nora

Nora è una giovane donna con occhi sereni e una tempesta dentro. È il tipo che sorride sempre, parla dolcemente e illumina una stanza con la sua presenza. Ma pochissimi la conoscono veramente. A volte, nemmeno lei capisce sé stessa.

Una risposta tardiva da parte di un'amica la lasciava turbata. Un'espressione tesa in ufficio poteva farla preoccupare per tutto il giorno. Le feste la facevano assorbire le energie altrui così intensamente da prosciugarla emotivamente poco dopo.

La sera, riviveva l'intera giornata come un film nella sua mente.

Quelle che gli altri chiamavano "emozioni normali" le sembravano travolgenti. La sua mente non si limitava a reagire, ma ne percepiva profondamente ogni singola increspatura.

Segnali che potresti essere una persona altamente sensibile

Sei una persona altamente sensibile se cogli i seguenti segnali:

-Assorbimento emotivo: percepisci rapidamente gli stati d'animo degli altri.

-Empatia profonda: il dolore altrui è come il tuo.

-Sensibilità alle critiche: anche un piccolo feedback può sembrare personale.

-Bisogno di solitudine: dopo aver socializzato, ti senti esausto.

-Sensibilità sensoriale: rumori forti o luci intense possono essere opprimenti.

-Ricca vita interiore: ti connetti profondamente con la musica, la poesia e il significato.

Il lato negativo di provare troppe emozioni

Essere emotivamente sensibili può essere meraviglioso, ma presenta anche delle sfide:

-Affaticamento mentale: pensare troppo alle conversazioni, immaginare scenari peggiori o analizzare costantemente i segnali sociali può essere estenuante.

-Difficoltà relazionali: le persone altamente sensibili spesso cedono di più nelle relazioni e temono di essere incomprese o abbandonate.

-Difficoltà a stabilire dei limiti: è facile dare priorità alle emozioni degli altri rispetto alle proprie.

-Ansia, esaurimento: assumersi troppi fardelli emotivi può portare a problemi di salute mentale.

giovedì 25 settembre 2025

L'equilibrio dei piaceri (Epicuro)

 

Viviamo in un'epoca di stress e turbolenza. Tra il clima politico, quello climatico e le minacce al lavoro e alla stabilità nell'era neoliberista e oltre, le persone sono in difficoltà.

Momenti come questi ci riportano ai principi fondamentali. Possono fornire la scintilla che ci spinge a riflettere in modo ampio e profondo sulla direzione delle nostre vite.

A livello più profondo, quali principi dovremmo seguire? Cosa ci rende felici? Come possiamo prosperare nella vita?

La prosperità potrebbe sembrare lontana in questo momento, ma possiamo ancora raggiungerla. Attorno a queste domande, alcuni filosofi hanno creato una vera e propria industria di libri che spiegano i principi del mondo antico. La maggior parte di questi libri si presenta sotto forma di discussioni sullo Stoicismo. In effetti, lo Stoicismo sta vivendo una rinascita di massa. Alcuni toccano persino temi del Buddismo o dello Scetticismo.

Tuttavia, questi libri tendono a ignorare un'altra tradizione filosofica, quella che va sotto il nome di Epicureismo.

Cos'è l'epicureismo?

Oggigiorno, quando si parla dell'opera di Epicuro, la discussione è carica di stereotipi. Alcuni pensano che fosse una specie di buongustaio dell'antichità. Altri identificano correttamente Epicuro come un edonista, ma interpretano la cosa nel modo sbagliato. Pensano che sia un filosofo del sesso, della droga e del rock and roll (tra gli altri piaceri della carne). Questo è ben lontano dalla verità.

Infatti, sebbene Epicuro sia un edonista, nel senso che considera il piacere il vero scopo della vita, definisce il "piacere" in modo diverso da come si potrebbe pensare.

Per gli epicurei, la forma più elevata di piacere è l'atarassia. Si tratta di uno stato di tranquillità raggiunto una volta risolti tutti i dolori fisici e (soprattutto) i disturbi psicologici. Si tratta più di eliminare il dolore che di raggiungere esplosioni positive di emozioni.

E quindi, mentre un occasionale giro di sesso o rock and roll può andare benissimo, l'epicureo non vorrebbe fare queste cose troppo spesso. Troppo sesso e frenesie di vario genere, probabilmente non porteranno a una tranquillità a lungo termine.

Il fatto è che gran parte della filosofia epicurea deriva dall'impegno per il piacere, come definito sopra. Ma vale la pena parlare di un paio di ambiti in cui questo influisce sul modo in cui pensiamo ad argomenti importanti della nostra vita.

Per esempio, pensiamo per un momento all'ambizione sul lavoro o nella carriera. I conflitti con i colleghi, o l'incapacità di ottenere aumenti o promozioni, costituiscono una fonte frequente di quel tipo di ansia o problemi che, per l'epicureo, impediscono di provare piacere.

Come gestirebbe l'epicureo queste situazioni?

Sarebbe meglio pensare al nostro lavoro come a una fonte di beni di prima necessità, piuttosto che a vestiti, automobili o ville lussuose. Oppure, in alternativa, dovremmo dedicarci a carriere che aiutino le persone o rendano il mondo migliore.

Queste scelte ci mettono in una posizione molto migliore per raggiungere la tranquillità rispetto alla costante ricerca della prossima promozione, del prossimo aumento di stipendio o della prossima "tendenza" nel mondo degli affari o della politica.

Non è che l'epicureo sia privo di ambizioni. Piuttosto, il buon epicureo riorienta i propri desideri in modo da non essere così concentrato sul potere o sull'avidità. Si pone standard più ragionevoli e sani, migliorando così le proprie possibilità di non rimanere deluso sul lavoro. Dopotutto, il lavoro è solo lavoro. Non è il fulcro di una vita felice.

Sebbene tutto questo parlare di piacere possa sembrare un po' egoistico, Epicuro sottolineava fortemente l'importanza dell'amicizia. Egli riteneva che trovare amicizie appaganti fosse un desiderio naturale e necessario.

In effetti, questo significa che avere amici è importante per raggiungere il piacere quanto i fondamenti della sopravvivenza, come mangiare e bere acqua. Abbiamo bisogno di amici per vivere la vita giusta.

Sì, gli epicurei pensano che gli amici sono importanti. Con gli amici, creiamo relazioni di reciproco sostegno. E quando i tempi si fanno duri sono gli amici che ci sollevano, si prendono cura di noi e condividono con noi tutti i ricordi dei bei momenti.

martedì 23 settembre 2025

E se non leggessimo più?

 

Gli uccelli erano venerati nell'antica Mesopotamia, in parte perché le loro impronte assomigliavano stranamente ai caratteri cuneiformi, il primo sistema di scrittura al mondo, nato nella stessa regione.

I mesopotamici credevano addirittura che decifrando le loro tracce, potessero intravedere i pensieri stessi degli dei.

I testi scritti stessi erano spesso considerati sacri, intrisi di potere magico, e gran parte dei primi documenti sopravvissuti erano dedicati a miti, rituali, divinazione e pratiche funerarie, come il famigerato Libro dei Morti egizio. E poiché la scrittura era considerata un canale per la conoscenza divina o nascosta, le capacità di scrittura e lettura erano riservate quasi esclusivamente a studiosi, scribi e sacerdoti privilegiati.

Questa esclusività non durò per sempre, però. Con l'avvento di nuove tecnologie di stampa, la diffusione di libri a prezzi accessibili e la creazione di biblioteche pubbliche e scuole di villaggio, l'alfabetizzazione aumentò e la lettura divenne un passatempo popolare anche tra il grande pubblico. Persino le donne – a lungo considerate "inadatte" alla letteratura, nonostante la prima autrice di cui si abbia notizia nella storia fosse una donna, la principessa Enheduanna – potevano finalmente scegliere un libro, anche in pubblico, senza essere immediatamente etichettate come streghe.

Tuttavia, oggi sembra che stiamo assistendo a un'inversione di tendenza non così lenta. E questa non è proprio una bella notizia.

La lettura è oggi, senza dubbio, più accessibile che in qualsiasi altro momento della sua storia millenaria. È possibile accedere gratuitamente a materiale di lettura da milioni di biblioteche fisiche e digitali in tutto il mondo. È possibile acquistare libri, libri di testo, riviste, ecc. usati a basso costo presso enti di beneficenza o negozi dell'usato, oppure scambiarli con amici e familiari. Si può portare in tasca un'intera biblioteca di centinaia, persino migliaia, di titoli. Eppure, anno dopo anno, sempre meno persone prendono effettivamente in mano un libro.

Sebbene le persone con un livello di istruzione superiore e le donne siano ancora più propense a leggere, anche tra questi gruppi stiamo assistendo a dei cambiamenti. E tra coloro che leggono, il tempo dedicato alla lettura è leggermente aumentato, il che potrebbe suggerire una polarizzazione, in cui alcune persone leggono di più mentre molte hanno smesso del tutto di leggere.

La cosa più preoccupante è che la tendenza sembra risalire a ben più di un paio di decenni fa. E questa situazione riguarda una gran parte del mondo.

Ma non è solo quanto poco leggano gli uomini a essere preoccupante: è anche ciò che scelgono di non leggere.

Nel corso della storia, il contributo delle donne alla letteratura è stato spesso trascurato, sottovalutato o... erroneamente attribuito agli uomini. E mentre la società ha fatto progressi nel riconoscere la voce delle donne, non sembra che molti uomini abbiano tenuto il passo.

Gli uomini leggono anche meno narrativa delle donne e, quando lo fanno, non solo sono meno propensi a prendere in mano un libro scritto da una donna, ma anche una storia che la riguardi.

Purtroppo, queste lacune spesso iniziano in età molto precoce. I genitori, soprattutto i padri, sono meno propensi a leggere ai figli maschi rispetto alle figlie femmine, e sono meno propensi a incoraggiarli a leggere da soli.

Le conseguenze di questo – per i ragazzi, gli uomini adulti e tutti gli altri gruppi meno propensi a leggere – non sono da poco. Oltre al ben documentato legame tra la lettura regolare durante l'infanzia e lo sviluppo dell'alfabetizzazione, la lettura, in particolare la narrativa, svolge anche un ruolo importante nel rafforzare il nostro muscolo empatico.

Lo psicologo Keith Oatley, noto per il suo lavoro all'intersezione tra psicologia e letteratura, definisce la narrativa un "simulatore di volo della mente", descrivendola come una "simulazione" di situazioni emotivamente e moralmente complesse che permette ai lettori di entrare nella mente degli altri.

O, come disse una volta il romanziere William Stryon: “Un buon libro dovrebbe lasciarvi con molte esperienze, e un leggero senso di spossatezza alla fine. Leggendo, si vivono diverse vite.

Anche studi psicologici e di neuroimaging lo confermano. Uno studio condotto da Oatley in collaborazione con altri autori ha scoperto che i lettori di saggistica e i non lettori ottengono punteggi molto più bassi rispetto ai lettori abituali di narrativa nel test "Leggere la mente con gli occhi", che misura l'empatia cognitiva, ovvero la capacità di comprendere il punto di vista di un'altra persona. In un altro esperimento, i partecipanti hanno letto un estratto di Jane Austen mentre erano sottoposti a risonanza magnetica funzionale. I risultati hanno mostrato un aumento del flusso sanguigno in tutto il cervello, comprese le regioni legate al movimento e alla sensazione, suggerendo che la lettura non ci aiuta solo a immaginare le esperienze altrui, ma ci permette di viverle realmente.

E i potenziali benefici non finiscono qui. È stato anche dimostrato che leggere narrativa aumenta il comportamento prosociale, riduce gli stereotipi sessisti e razzisti e affina le capacità linguistiche e di comprensione. Può anche migliorare il benessere generale, rallentando il declino cognitivo, riducendo lo stress (anche se forse non così tanto quando si tratta di notizie) e persino aumentando la longevità e la felicità. La narrativa ci ricorda, dopotutto, che non siamo soli; che tutto il bene, il male e il brutto che attraversiamo nella nostra vita fanno semplicemente parte dell'esperienza umana.

Ma c'è anche qualcos'altro che la dice lunga sul potere delle parole scritte: il fatto che i totalitari raramente perdano l'occasione di sopprimerle.

Uno dei primi esempi noti di roghi pubblici di libri risale al 213 a.C., quando l'imperatore Qin Shi Huang ordinò la distruzione dei testi che riteneva minacciosi per il suo potere. Anche la Chiesa cattolica organizzò roghi di libri – soprattutto dopo la pubblicazione dell'Index Librorum Prohibitorum (Elenco dei libri proibiti) nel 1559 – per sopprimere le idee "eretiche" e proteggere la propria autorità. Lo stesso fece il regime nazista nel XX secolo.

Anche i governanti coloniali cercarono spesso di impedire la circolazione di testi che avrebbero potuto diventare armi nella battaglia contro la schiavitù e l'oppressione.

È preoccupante che oggi assistiamo ancora una volta alla censura e alla distruzione delle parole scritte, anche nella "terra della libertà", gli Stati Uniti.

Non sorprende, naturalmente, che i regimi e le istituzioni autoritarie considerino la lettura pericolosa. Perché lo è. Ci apre la mente a possibilità diverse e migliori, non solo alla versione della realtà che chi detiene il potere vuole che accettiamo senza fare domande. Ci insegna a pensare in modo critico e a interpretare ciò che vediamo e sentiamo da soli, piuttosto che ingoiare per intero le mezze verità e le vere e proprie bugie che ci vengono propinate. E, in definitiva, ci rende molto meno propensi a difendere il nostro stesso sfruttamento.

Cosa succederebbe se la lettura continuasse a diminuire? Se ci affidassimo solo a riassunti di libri e opere più lunghe (ora anche "generosamente" forniti dall'intelligenza artificiale) o rinunciassimo persino a questo? 

E se un giorno non consumassimo altro che contenuti di piccole dimensioni, così spesso progettati per indignare e dividere, mentre arricchiamo davvero solo coloro che gridano più forte nel vuoto digitale?

Forse non è un caso che il declino della lettura negli ultimi decenni sia andato di pari passo con un aumento della frattura sociale, della polarizzazione, della solitudine, del sentimento antidemocratico e della radicalizzazione estremista, in particolare online e in particolare tra i giovani uomini e i ragazzi. Troppe persone si allontanano dai libri per rivolgersi ad altre forme di intrattenimento, o cadono nelle grinfie della "manosfera", che inquadra il dominio e la repressione emotiva come "maschili" e ritrae le donne attraverso stereotipi misogini e dolorosamente unidimensionali.

Quanto sarebbe più difficile per gli uomini aderire a queste ideologie odiose – che danneggiano anche loro – se leggessero più storie di donne diverse, scritte sia da donne che da uomini? O quanto sarebbe più facile per loro gestire le relazioni, sentimentali o di altro tipo – proprio ciò con cui così spesso dicono di avere difficoltà al giorno d'oggi – se si dedicassero a un'attività che ha dimostrato di approfondire l'intelligenza emotiva?

Tuttavia, ne trarremmo tutti beneficio se più persone dedicassero più tempo alla lettura. È probabilmente uno dei modi più convenienti, accessibili e di grande impatto per affrontare molte, se non la maggior parte, delle sfide che il nostro mondo moderno si trova ad affrontare. 

La crudele ironia, però, è che proprio queste sfide sono ciò che impedisce ad alcuni di noi di leggere. Con il tempo libero che si riduce, l'insicurezza economica che cresce e i dispositivi digitali che competono senza sosta per la nostra attenzione, ritagliarsi uno spazio per leggere può sembrare quasi impossibile.

Ma temo che se non resistiamo alla spinta in tutte queste altre direzioni, diventerà solo più difficile. Togliere priorità alla lettura significa di fatto togliere priorità alla possibilità di un futuro migliore.

Se vogliamo più empatia, più creatività, più resilienza e una maggiore coesione sociale nelle nostre comunità, non meno, dobbiamo fare della lettura un'abitudine per cui valga la pena lottare.

domenica 21 settembre 2025

La scrittura: un mondo da scoprire

 

Per gran parte della mia vita ho vissuto in silenzio. Non ho mai voluto essere una persona che parlava troppo. Temevo che se le mie parole fossero corse a perdifiato, il mio cuore non le avrebbe seguite.

Anche quando mi sentivo ferito, le ingoiavo in silenzio. Anche quando la gioia mi riempiva il petto, cercavo di non apparire troppo euforico, nascondendo ogni emozione con cura. Così ho scelto la resistenza all'espressione, la pazienza alla protesta silenziosa. Dentro di me ero spesso intrappolato. Ma esteriormente ero teso – credevo che questo significasse vivere da adulto.

Poi un giorno, ho iniziato a scrivere. E in quel mio mondo silenzioso, è iniziato un inspiegabile senso di pace. All'inizio, erano solo poche righe. Mi bastava osservare un tramonto o assistere a dei modi gentili, per far scattare la voglia di raccontarmi.

Quei momenti, che un tempo trascorrevo senza una parola, vivendo nella fantasia, diventarono frasi. E quelle frasi divennero il mio essere fuori.

Mentre il peso dentro di me fluiva fuori attraverso la scrittura, finalmente sentivo di essere veramente vivo. Prendevo consapevolezza del mio esistere. 

Alcuni dimostrano la loro vitalità attraverso un cuore che batte o un respiro costante. Ma per me, era attraverso una pagina scritta, il leggero tamburellare dei tasti, la silenziosa formazione di linee su uno schermo, l'atto di rivedere, cancellare e riscrivere.

Attraverso quel ciclo, riaffermavo la mia presenza. Erano i silenziosi frammenti del mio cuore, i pensieri che non avevo mai condiviso con nessuno.

Scrivere non significa semplicemente produrre qualcosa da leggere poi.

Significa evocare sottili echi interiori e lasciarli dolcemente espandere nell’anima.

Attraverso la scrittura, ho dato vita a emozioni che giacevano sepolte nel cuore – ciò che temevo, ciò che amavo. Ricordi dimenticati iniziarono a riaffiorare tra una frase e l'altra. E capivo così che essere vivi non significa solo respirare, ma guardare dentro di sé, comprendere e prendersi cura di sé.

A volte, scrivere era uno specchio delle mie ansie. Capivo che ci sono sentimenti che possono essere condivisi senza essere espressi. E questi sentimenti possono fluire nel mondo attraverso le parole.

Scrivere non era solo un ponte verso gli altri, ma prima di tutto, un sentiero silenzioso che riconduceva a me stesso.

Percorrendo quel sentiero, ho lentamente incontrato i paesaggi interiori che un tempo avevo ignorato: gioia, dolore, amore, rimpianto.

Tutto è riemerso attraverso la scrittura. E da allora, non ho distolto lo sguardo. Ho affrontato tutto, dolcemente, con cura.

Quindi, per me, scrivere non è una cosa da poco. È il modo in cui ricordo la mia vita. È il modo attraverso cui prende significato il periodo tranquillo che ho vissuto. È il modo con il quale cui mi aggrappo a me stesso.

Ogni pezzo che scrivo può raggiungere gli altri, ma più di ogni altra cosa, è un messaggio per me stesso. È un sussurro sommesso inviato da me a me stesso.

Ora sento che il tempo che ho vissuto senza parlare ha avuto valore. Ma il tempo che vivo scrivendo mi sembra ancora più prezioso.

Scrivendo, ho scoperto quante emozioni avevo trattenuto, e quanto a lungo avevano atteso in silenzio.

Ancora oggi, mi siedo nella mia stanza silenziosa e scrivo lentamente. Non importa che riflessi produrranno le mie parole, ma in quel momento, l'atto stesso di scrivere è la prova evidente che sono vivo.

Non è stata la parola, ma la scrittura a farmi respirare. Non il rumore, ma la scrittura silenziosa che aggiunge sapore alla vita. 

E così anche domani scriverò silenziosamente, con attenzione, un altro pezzo della mia anima.

sabato 20 settembre 2025

Sei un incanto

 

Sei un incanto

per la gentilezza che mostri,

per la dolcezza incontrollata che fluisce da ogni tuo abbraccio.

 Mentre intorno a te c’è freddo.

 

Tieni cura della tua inquietudine.

Qualcuno la confonde con ansia, paura.

Non temere, non sono mostri … sono debolezze.

Ti prendono quando sei persa

e hai smesso di sorridere,

e ancor più, quando hai smesso di credere in te stessa.

 

Ama chi ti rende poesia.

 Ti ricorda quel dolore che hai saputo affrontare,

quell’emozione che hai lasciato andare.

 

Sei straordinaria per tutte le volte che hai preferito non parlare

a chi non meritava le tue parole

e ti sei scusata per colpe non tue.

 

Sappi che tutto ciò non ti fa assomigliare a nessuno,

ti fa sentire viva,

a volte, anche sbagliata, ma sempre diversa, unica.

 

Sarebbe poco se fossi soltanto io a vederti stella,

ma è tutto il mondo che ha bisogno di meraviglie come te.

 

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