venerdì 4 luglio 2025

Il cervello umano ama il comfort, ci spinge a non impegnarci

 

Il cervello umano tende ad evitare le cose difficili. Fin dall'inizio dell'evoluzione dell'Homo sapiens, il nostro cervello è stato allenato a seguire la via della minor resistenza.

Perché? Perché era necessario per la sopravvivenza. Quando i nostri antenati vivevano allo stato selvaggio, conservare le energie era fondamentale. Dovevano cacciare, cercare cibo, combattere i rivali e sfuggire ai predatori. Una mossa sbagliata avrebbe significato la morte.

Oggi il mondo è molto più sicuro. Ma il cervello umano non è cambiato molto dai tempi dei cacciatori-raccoglitori. È ancora bloccato nell'età della pietra. Ecco perché, se non opponi resistenza, il cervello sceglie le vie più facili per risolvere i problemi.

Quindi, puoi dare la colpa all'evoluzione se trovi difficile alzarti dal divano e andare in palestra. O se procrastini sui progetti difficili. O se ti ritrovi a fare cose come dormire fino a tardi, mangiare cibo spazzatura, scorrere Instagram, fare acquisti impulsivi o guardare programmi TV senza senso.

Il problema è che queste cose facili rendono la vita più difficile. All'inizio ti fanno sentire bene, ma col tempo portano a noia, frustrazione e rimpianti.

Ecco perché, se vuoi avere successo nella vita, se vuoi ottenere qualcosa di utile, devi sovrascrivere l'impostazione predefinita del tuo cervello e fare cose scomode nel breve termine.

In effetti, fare cose difficili è una delle abilità più potenti che puoi sviluppare. Può rendere la tua vita eccitante, significativa e libera. Può cambiare tutto.

Esiste una regione del cervello chiamata corteccia cingolata anteriore mediana (aMCC). La particolarità dell'aMCC è che aumenta di dimensioni quando facciamo cose che non ci piacciono, come resistere alle tentazioni, affrontare conversazioni difficili o imparare una nuova abilità.

Gli studi hanno scoperto che l'aMCC è più piccola nelle persone obese, più grande negli atleti e cresce quando facciamo cose impegnative. E quando evitiamo quelle cose impegnative, l'aMCC si restringe.

Si ritiene che l'aMCC generi forza di volontà e resilienza. Quindi, quando fai cose più difficili, aumenti la tua aMCC, il che aumenta ulteriormente la tua capacità di rimanere disciplinato e raggiungere i tuoi obiettivi quotidiani. Incredibile, vero?

La crescita è dolorosa. Deriva dal fare cose difficili, dall'affrontare l'ignoto e dal trovarsi in situazioni che non si sa come gestire. Spesso significa fare l'esatto contrario di ciò che fanno tutti quelli che ti circondano.

Il cervello umano ama il comfort, ci spinge a non impegnarci. Però, una volta che ti abitui a fare cose difficili, tutto il resto diventa più facile. Sai che non sei fatto di vetro, che hai ciò che serve e che puoi capire come funzionano le cose. Questo ti dà un livello di fiducia insolito. E allora non hai più paura di nulla.

Ti senti più felice.

Le cose difficili causano dolore a breve termine, ma danno piacere a lungo termine. E questo è il miglior tipo di piacere che ci sia. Cerca di non scambiare questo tesoro con qualche divertimento casuale a breve termine che rende la tua vita più infelice.

giovedì 3 luglio 2025

È irrazionale fidarsi?

 

 

Ha senso evitare di rendersi vulnerabili?

Se ti trovi in ​​un bar nella tua città, probabilmente non lasceresti oggetti costosi incustoditi sul tavolo mentre ti dirigi al bancone per ordinare un altro delizioso espresso bollente.

Quando incontri qualcuno per la prima volta, normalmente non ti aspetteresti di rivelargli i tuoi segreti più profondi e oscuri. In generale, siamo piuttosto cauti nel renderci vulnerabili agli altri.

E questo sembra un comportamento altamente razionale. Da una prospettiva puramente strumentale o strategica, è razionale evitare la vulnerabilità perché riduce l'esposizione al rischio. 

Se non ti fidi degli altri per quanto riguarda aspetti importanti della tua vita, ti proteggi da tradimenti, delusioni o sfruttamento. Se il tuo ambiente è imprevedibile o le persone hanno precedenti di cattiva condotta, allora essere prudenti è una forma di autoprotezione razionale.

Evitare la vulnerabilità sembra una decisione del tutto razionale. Eppure, quando si tratta di fiducia, questo sembra creare una seria tensione. 

La fiducia è stata definita come: "Attribuzione di potenzialità conformi ai propri desideri, sostanzialmente motivata da una vera o presunta affinità elettiva o da uno sperimentato margine di garanzia.”

Ecco quindi la domanda: è irrazionale fidarsi?

Se la risposta fosse sì, ciò potrebbe essere una preoccupazione significativa, tenendo conto che qualunque cosa sia importante per gli esseri umani, la fiducia è l'atmosfera in cui prospera".

Per dirla in altri termini, la fiducia è il filo invisibile che ci lega. È una fede silenziosa che un altro terrà con cura ciò che gli porgiamo, anche quando non possiamo vederlo con i nostri occhi. 

Se perdiamo questo, cosa ci rimane?

Perché non dobbiamo fidarci di nessuno?

C'è qualche ragione per cui potremmo voler respingere l'affermazione secondo cui dovremmo astenerci dal fidarci perché è razionale evitare la vulnerabilità.

La più immediata è semplicemente che essere umani significa amare, prendersi cura e cooperare, e assumersi i tipi di rischio che comporta la fiducia. Se si evita sempre la vulnerabilità, si perde l'accesso agli aspetti più significativi della vita umana, come l'amore, l'amicizia, la cura, la cooperazione e persino la comunità morale.

Un altra ragione ti assicura che quando ti fidi degli altri, liberi energia mentale. Invece di preoccuparti se gli altri faranno la loro parte, ti concentri sui tuoi compiti più importanti. La fiducia sposta la tua attenzione dal controllo alla creatività ed efficienza. 

La fiducia ci rende vulnerabili e ciò può essere spaventoso. Ma a volte possiamo vedere la fiducia come una scommessa strategica: i possibili vantaggi possono superare significativamente i possibili svantaggi.

Esiste un ulteriore terzo aspetto della fiducia che ci aiuta ad apprezzarla, e quindi un altro motivo per pensare che la fiducia sia razionale.

La fiducia negli altri può spesso suscitare – o meglio, rafforzare – un comportamento che risponda alla fiducia, proprio come quello che cerchiamo: ovvero, azioni e atteggiamenti da parte dei fiduciari che siano all'altezza della nostra visione ottimistica di ciò che possono fare ed essere, in particolare per quanto riguarda la dimostrazione di competenza e attenzione nell'ambito in cui ci fidiamo di loro.

La fiducia può vedersi come atteggiamento abilitante. È un modo per estendere le opportunità, non solo per premiare l'affidabilità.

Sappiamo anche che uno dei modi migliori per costruire la fiducia di qualcuno in te, è fidarti di lui. 

Per convincere qualcuno a fidarsi di te, è una buona strategia fidarsi di lui.

Quindi, per riassumere il tutto, fidarsi di qualcuno significa rendersi vulnerabili nei suoi confronti. Questo può essere spaventoso. Non dobbiamo evitarlo. Possiamo riconoscerlo. Ma a volte, fare la cosa che spaventa può essere razionale. Ci sono così tanti vantaggi nel fidarsi che possiamo decidere se ne valga la pena.

Ma, anche tralasciando questo aspetto – anche se non fosse razionale fidarsi – c'è qualcosa nella fiducia che trovo troppo irresistibile; troppo invitante. 

È difficile essere umani senza fidarsi almeno di qualcuno.

mercoledì 2 luglio 2025

Lo schiaffo

 

Avevo 11 anni ed era il mio primo giorno di scuola, varcando il grande portone d'ingresso, l’euforia di alcuni compagni si contrapponeva ai musi lunghi degli altri. 

Ero un po' smarrito e un po' confuso. Cercai di seguire il flusso ragazzi più piccoli per capire dove dovevo andare. Per fortuna si avvicinò un collaboratore della scuola che mi indicò l’aula dove recarmi. 

Finalmente entrai nella mia aula. La mia atavica timidezza mi spinse a occupare l’ultimo banco della terza fila in prossimità della finestra. Rimasi fermo lì per tutto il tempo necessario affinché si ripristinasse l’ordine.   

Iniziai a guardarmi intorno e staccandomi dal clamore, osservai l’ambiente che avrebbe dovuto ospitarmi per tre anni.  L’aula era molto grande. Si presentava piena. Composta con quattro file di banchi di otto posti ciascuna. Di fronte c’era la cattedra, alta di trenta centimetri. Era una specie di piattaforma rumorosa sulla quale una grande scrivania la occupava completamente. 

Il professore, più in alto di tutti, da seduto, aveva la visione completa su tutta la stanza. Sui muri pendevano scolorite carte geografiche e incomprensibili disegni. Tutto lo scenario mi lanciava messaggi di austerità e di poca vicinanza umana. Per questo motivo, accusavo un senso di inadeguatezza alla responsabilità a cui ero stato chiamato.

Il ritorno alla realtà fu causato dall’ingresso del professore in aula. Mi parve come un uomo lontanissimo dal mio immaginario: piccolo di statura, zoppo e con la sua mano sinistra offesa stretta sul corpo.

Era il professore di italiano e latino. La classe silenziosa attese le sue parole, ma egli sembrava non curarsene. Pose le sue cose sulla cattedra e restò occupato tra le carte e registri.

Nell’attesa che la lezione iniziasse non sapevo come occupare il tempo. A dispetto della volontà di far subito amicizia, il posto accanto al mio non fu occupato. Avevo a disposizione tutto il banco per distribuire il mio materiale scolastico. 

Inevitabilmente finii per giocherellare con i miei oggetti. Di solito quando esco di casa non portavo nulla con me, però quel giorno avevo con me una piccola pallina di carta con cui usavo giocare nel colpire bersagli posti ad una certa distanza.

Ovviamente, non potevo giocare come facevo a casa, ma mi divertiva comunque sballottolarla tra le mani.

Improvvisamente il professore puntò lo sguardo su di me. Mi fece cenno da lontano di avvicinarmi. Riposi la pallina in tasca e mi presentai davanti a lui dal suo lato sinistro.

Il professore appariva calmo e credevo di non aver nessun motivo per cui preoccuparmi per quella convocazione alla cattedra.

Appena fu lì, lui mi chiese di spostarmi sul suo lato destro. Non capivo perché ma comunque ubbidii. Fermo alla sua destra attesi istruzioni. 

Mi chiese di avvicinarmi a lui e di togliermi gli occhiali. La situazione mi divenne imbarazzante anche perché togliendomi le lenti non ero più in grado di vedere bene. 

Pensai: “Probabilmente vuole vedermi bene in viso a causa di qualche somiglianza con un altro suo alunno”.

Mi sbagliavo di grosso!

Il professore con la sua unica mano funzionante mi mollò uno schiaffo così forte da farmi barcollare.

 Poi, senza perdere la sua flemma, aggiunse: “Dove credi di stare? Qui non sei a casa! Cestina ciò che hai messo in tasca e vai a posto.”

Muto e completamente disorientato, mi avviai al mio posto.

I miei genitori non hanno mai saputo nulla di questo episodio. Sono sicuro però che sarebbero stati d’accordo con il professore e che lo avrebbero ringraziato per avermi dato una lezione della quale mi sarei ricordato, come mi sono ricordato, per tutta la vita.

Da grande, sono diventato anch’io professore, ma è tutto cambiato. Non oso immaginare se con i miei discoli alunni avessi assunto lo stesso comportamento del mio antico professore. Lascio a voi immaginare che cosa sarebbe successo.

Oggi siamo sul polo opposto!

Meglio o peggio rispetto a ieri?


 


martedì 1 luglio 2025

Il più bravo della classe

 

Andrea era un ragazzo riservato, studioso. In tempi più recenti sarebbe stata la vittima ideale del bullismo. Invece, nella sua classe egli era stimato ed ammirato. Forse a causa della sua generosità; sempre disponibile ad aiutare tutti. Difatti, metteva disposizione della classe tutti gli esercizi di matematica e di inglese, svolti accuratamente. 

Durante ogni cambio d’ora, era ormai prassi vedere capannelli di giovanotti affannarsi intorno al suo banco intenti a copiare quegli esercizi non svolti per ozio o per le difficoltà incontrate durante il tentativo di svolgimento. I quaderni di Andrea erano Bibbie, sia per l’ordine della scrittura, sia per la correttezza delle soluzioni. 

I professori sapevano di questo stato di cose e quando lo sfortunato copiatore rivelava alla lavagna l’incoerenza con lo sviluppo presente sul quaderno, si capiva molto sull’origine della soluzione. Miserevolmente, Andrea veniva chiamato in causa a chiarire l’equivoco incorso.

Un giorno Francesco, uno studente non sempre puntuale nello studio ma abbastanza impertinente quando si “sentiva” investito dall’ingiustizia scolastica, fu interrogato dalla professoressa di Scienze.

I lenti movimenti per alzarsi dal banco e la triste maschera formatasi sul suo viso all’udire del suo cognome, già denunciavano una sicura impreparazione. 

La professoressa, conoscendo il carattere del ragazzo, l’eventuale cattiva valutazione, avrebbe esacerbato il suo sentimento. Decise di volgere a gioco l’interrogazione in corso.

-“Francesco, hai studiato?” Chiese, sorniona, la docente.

-“Professoressa, non sono riuscito a ripetere e ad essere sincero non ricordo molto bene gli argomenti studiati.”

-“Ho capito. In altre parole, non hai studiato!” subito chiarì la professoressa.

-“Mi dispiace che non mi crede. Ieri sera ho studiato la sua materia fino a tardi.” Cercò di giustificarsi il ragazzo.

-“Questa volta voglio crederti! Ti faccio una sola domanda e se mi rispondi correttamente eviterò di assegnarti il voto negativo.”

Il ragazzo annuì con la testa e si affidò alla Dea bendata per evitare guai maggiori. La professoressa chiese: “Dimmi quante sono le ossa del corpo umano?”.

Andrea entrò in riflessione soltanto per far scena. In realtà, era del tutto inimmaginabile che conoscesse la risposta. 

Al termine di un lungo silenzio, l’impertinenza venne fuori: “Professoressa, lei mi ha fatto una domanda difficile volutamente per punirmi! In questa classe nessuno è in grado di darle la risposta esatta!”

Francesco aveva appena terminata l’affermazione quando la professoressa, rivolgendosi ad Andrea, chiese: “Andrea, vuoi cortesemente rispondere alla domanda che ho posto a Francesco?”

Anche Andrea si alzò lentamente dal banco e si apprestava ad ammettere di non saper rispondere. 

In quel breve intervallo di tempo, Francesco, tradito dalla grande stima per l’impegno allo studio del suo compagno, intervenne bloccandolo nel rispondere: “Professoressa, può domandarlo a tutti ma non ad Andrea!” 

Così non si seppe mai che anche Andrea non sapeva dare la risposta attesa. 

Le attitudini del più bravo della classe avevano convinto anche i muri per quanto fosse sempre sempre preparato e disciplinato nello studio. 

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