sabato 31 maggio 2025

Effetti miracolosi della lode

 

Sappiamo che le auto vanno a benzina, a gasolio, a gas. 

Non sappiamo che l’uomo va a lode (sinonimo di encomio, gratifica, plauso, consenso, apprezzamento).

Sappiamo quanto costa la benzina, ma purtroppo è inevitabile la spesa se decidiamo di spostarci con l’auto.

Non sappiamo, però, che lodare una persona ha un costo pari a zero, ma che produce risultati strabilianti.

Vi assicuro che complimentarsi con qualcuno comporta un vantaggio reciproco.

Accende il fuoco dell’amor proprio, chi lo riceve.

- S’inebria di una doccia fresca e vivace, chi lo porge.

- Nasce una tacita battaglia d’amore, dove i due duellanti fanno del loro meglio per proteggere l’avversario dai colpi di un virtuale nemico comune.

Chi riceve l’elogio è chiamato perentoriamente a giustificare il riconoscimento. Si carica di un’energia che prima non c'era, ma che irrompe con tutta la sua forza e trasforma la persona in un eroe.

Chi pronuncia l’elogio imbeve se stesso di una potenza valutatrice capace di attraversare un ponte di legno, malconcio (chi elogia). 

Il ponte di legno ricorre a tutte le sue chiodature per non traballare e apparire sicuro e fermo al carro armato da cui è investito.

La risolutezza del carro armato e lo sforzo conscio del ponte, mascherano una realtà ben diversa, ma che produce un risultato evidente. 

Il carro armato riesce ad attraversare il ponte!

Complimentiamoci tra noi anche per piccolissimi traguardi raggiunti o per qualità apparenti o per pregi appena visibili. 

Vi garantisco che l’oggetto del complimento subisce un processo d’ingrandimento e di rivalutazione immediata.

Oggetti per i quali complimentarci con qualcuno se ne trovano in abbondanza. Siamo circondati e chiedono solo la nostra attenzione. Se qualcuno di noi ha difficoltà nel cercare alla luce del sole, può addirittura ricorrere ai miraggi! 

L’oggetto per il quale ci complimentiamo è secondario, l’effetto è l’obiettivo primario.

Sperimentatelo e vi diranno che siete socievoli, simpatici … avete “Charm”.

 

Perdere la fiducia

 

Perdere la fiducia nel prossimo è una malattia mortale.

Si bruciano i germogli della speranza, si chiudono gli occhi dell’ottimismo, si stabilisce un calmo e sterile buio interiore.

Ci si sente soli muovendosi tra la folla.

Brevi frasi fatte con le stesse parole, ripetono esperienze vuote di entusiasmo, spente di passione e prive di sentimento; si muore rimanendo nel corpo.

La lenta progressione della malattia è silenziosa, si cela dietro gli steccati seriosi del lavoro, degli sfortunati eventi di vita che producono menomazioni fisiche o psicologiche.

Il bisogno di vivere insieme e di legarci con i sentimenti in una comunione che va oltre la nostra ragione, trapela dalle abitudini e dalle tendenze comportamentali.

Vogliamo inconsapevolmente stare insieme, come la terra che ci fa roteare con sé e contemporaneamente intorno al sole, ci porta in giro per l’universo.

La forza di gravità agisce come una potente calamita, costringendoci a rimanere attaccati alla superficie e imitando così, la forza dell’amore che lega le anime.

Solo per questo motivo capisco perché si inumidiscono gli occhi al più piccolo gesto di tenerezza; capisco da dove vengono tutte quelle emozioni che la musica, la poesia e l’arte tutta, inducono.

Capisco, anche, perché darei tutto me stesso a chi chiede solo un abbraccio.

Il genere umano ha avuto un grande dono che, per la sua stessa grandezza, gli appare invisibile; si tratta della capacità di emozionarsi.

Non emozionarsi significa amputarsi la parte migliore del proprio essere.

La morte, almeno per i Cristiani, è un varco di frontiera tra la terra e il Paradiso; un passo necessario ma comunque transitorio, mentre la morte delle emozioni conduce a uno stallo esistenziale perenne.

Uno stimato scrittore (Paul Auster) che porta in sé alcune cicatrici di questa malattia, scrive quanto segue:

"Credo nonostante tutto che ogni persona sia sola tutto il tempo. Si vive soli. Gli altri ci stanno intorno, ma si vive soli. Ognuno è come imprigionato nella sua testa e tuttavia noi siamo quello che siamo solo grazie agli altri. Gli altri “abitano” noi. Per “altri” si deve intendere la cultura, la famiglia, gli amici. A volte possiamo cogliere il mistero dell’altro; penetrarlo è talmente raro! È soprattutto l’amore a permettere un incontro di questo genere. Circa un anno fa, ho ritrovato un vecchio quaderno dei tempi in cui ero studente. Lì prendevo appunti, fermavo delle idee. Una citazione mi ha particolarmente impressionato: -Il mondo è nella mia testa. Il mio corpo è nel mondo-. Avevo diciannove anni e questa continua a essere la mia filosofia." 

Gli altri “abitano” noi, se siamo in grado di accoglierli, se la malattia non ha murato gli ingressi.

Tutto ciò che l’uomo scopre, è sempre un passo dopo il precedente. Il passo successivo non si sa dove ci porta, però, se mosso dal bene, sicuramente quel luogo sarà migliore di quello in cui viviamo oggi.


venerdì 30 maggio 2025

I due contadini

 

Due contadini si mettono ad arare i loro campi e, mentre lavorano, proprio in mezzo al campo, improvvisamente l'aratro si incastra. Osservando il "vomere" dell'aratro – la parte metallica che penetra nel terreno per dissodarlo – notano che si è incastrato su una pietra sporgente dal terreno.

Il primo contadino sceglie la via della Resistenza per risolvere il problema.

Alla vista di ciò, il primo contadino si ferma di colpo, visibilmente infastidito dall'accaduto e dalla presenza della pietra in mezzo al campo. Sentendosi infastidito, arrabbiato, irritato e frustrato, pensa tra sé e sé: "Come faccio ad arare il campo con una pietra così grande proprio in mezzo?"

Pensando, si dice: "Lo so, la rimuoverò". Quindi, pianta saldamente i piedi nel terreno e si posiziona per afferrare la pietra e staccarla dal terreno. Afferra saldamente la pietra a mani nude, cercando freneticamente di estrarla dal terreno, invano.

Sentendosi ulteriormente infastidito, arrabbiato, irritato e frustrato, pensa tra sé e sé: "Lo so, prenderò una vanga, scaverò intorno e, quando raggiungerò il fondo, la tirerò fuori".

Si mette in piedi e inizia a scavare intorno, ma invano. Nel frattempo, la roccia sembrava continuare a crescere.

Sentendosi stanco e ancora più frustrato da un simile risultato, si dice: "So cosa andrà bene. Prenderò una pala meccanica; sicuramente andrà bene". Così, ne acquista una escavatrice meccanica e inizia a scavare, rimuovendo il terreno e sgretolando la roccia.

Alla fine, dice con un sorriso sul volto e un senso di soddisfazione: "La roccia è sparita". Scende dalla pala e si spolvera i vestiti. Poi, guardandosi intorno, si rende conto che, quando ha finito, non c'era più un campo da arare.

Il Secondo Contadino sceglie il Sentiero della Consapevolezza per risolvere lo stesso problema.

Allo stesso modo, anche il secondo contadino, mentre ara il suo campo, rimane incastrato nel mezzo con l'aratro. Si ferma, guarda il vomere e nota che si è incastrato in una roccia.

Quindi, si ferma, la guarda, ma non perde mai di vista il campo. Smuove delicatamente l'aratro e continua ad arare.

Alla fine di una dura giornata di lavoro, guarda il campo e vede di nuovo la roccia. Si avvicina, ci si siede e si rende conto di quanto sia un punto di osservazione privilegiato, offrendogli una visione d'insieme dell'intero campo.

E questa è la coltivazione della consapevolezza da tenere nelle nostre azioni quotidiane. Questa analogia suggerisce come un approccio sensato, equilibrato, possa aiutare a superare le difficoltà che si incontrano durante la vita.

Potremmo vedere che il primo contadino è una rappresentazione di come potremmo abitualmente reagire alle difficoltà: con avversione, fissazione, affrontandole con sforzi crescenti nel tentativo di eliminare quello che potrebbe essere un "problema percepito".

Adottando il primo approccio, potremmo perdere la prospettiva dell'intera situazione e lasciarci sopraffare dalla difficoltà stessa.

Il primo contadino, concentrandosi esclusivamente sulla rimozione della pietra (la difficoltà percepita), egli ha gradualmente distrutto proprio il campo che intendeva coltivare. Ciò può rispecchiare il modo in cui a volte possiamo essere così presi dalla lotta contro i nostri pensieri, le nostre emozioni o le circostanze e conseguenze percepite, da perdere di vista il quadro più ampio e la consapevolezza che lo contiene.

Quindi, con la pienezza mentale, cerchiamo di cambiare la nostra esperienza e di porci in un modo diverso davanti al problema. Così da poter arrivare a capire come potremmo reagire ragionevolmente.

Pertanto è di massima importanza riconoscere come una situazione potrebbe farci sentire e quanto facilmente potremmo essere inclini a lasciarci travolgere da frustrazioni, rabbia o fastidio. Dovremmo renderci conto di come ci sentiamo, senza lasciarci trasportare o perderci in tali emozioni incontrollabili, senza perdere di vista la situazione reale nel suo complesso, senza perdere di vista l'intero campo della nostra esperienza così com'è.

A sua volta potremmo iniziare a vedere come la reattività o la resistenza potrebbero essere la causa della nostra sofferenza, e quindi questo, con essa, ci offre l'opportunità di scegliere di rispondere in un modo nuovo invece di reagire.

Questo potrebbe aiutarci a incanalare quelle che potremmo chiamare "emozioni negative" in modo più saggio, in modo da affrontare la situazione con diligenza. Trovare lo spazio tra stimolo e risposta.

Tra stimolo e risposta c'è uno spazio. In quello spazio risiede il nostro potere di scegliere la nostra risposta. Nel tipo di  risposta risiede la nostra crescita e la nostra libertà.

Quando gli ostacoli diventano punti di osservazione, questo ci porta al secondo contadino e a come ha incarnato la consapevolezza nel modo in cui si è avvicinato alla roccia.

Ha riconosciuto la roccia – l'ostacolo/difficoltà – ma ha mantenuto la consapevolezza dell'intero campo – la situazione più ampia. 

E nella sua risposta, possiamo vedere che, anziché essere definita dalla resistenza a ciò che è, lavora abilmente con la realtà che gli si è presentata.

Di conseguenza, alla fine scopre una nuova realtà: ciò che inizialmente sembrava un ostacolo/difficoltà ha finito per non essere così grave come sembrava, al punto che la roccia è diventata un punto di osservazione da cui poteva osservare l'intero campo.

Alla fine, siamo destinati a incontrare delle "rocce" nella vita: emozioni difficili, sensazioni fisiche, persone o circostanze difficili. 

La consapevolezza non consiste nell'eliminare nulla di tutto ciò, ma offre un nuovo modo di stare con esse, relazionandoci in modo diverso, con una visione più ampia che non perde di vista il contesto della nostra esperienza nel suo complesso.

Quindi, in momenti come questi, non dimenticate di fermarvi, respirare e attingere a quello spazio tra stimolo e risposta, una pausa che permette di scegliere il modo in cui rispondere a una situazione, perché in tutta verità, nella risposta dimostriamo la nostra maturità.

giovedì 29 maggio 2025

Hobbes, un ingegnere del pensiero


 

Thomas Hobbes (1588-1679), filosofo inglese del Seicento, è una figura chiave nella filosofia politica moderna. La sua opera più celebre, "Il Leviatano" (1651), delinea una visione sistematica della natura umana, della società e del potere politico, fondata su principi materialisti e meccanicisti. 

Hobbes ha una visione pessimista dell'essere umano: lo descrive come mosso da desideri egoistici (come autoconservazione, potere e gloria) e da una competizione perpetua.  

Nello “stato di natura", egli dice che in una condizione ipotetica senza leggi o governo, gli uomini vivrebbero in una guerra di tutti contro tutti, dove la vita è solitaria, misera, brutale e breve. 

Questo conflitto nasce dall'uguaglianza naturale degli individui (nessuno è così forte da dominare gli altri indefinitamente) e dalla scarsità di risorse.

Per sfuggire allo stato di natura, gli individui stipulano un "patto sociale": rinunciano alla libertà assoluta e trasferiscono i propri diritti a un sovrano assoluto che garantisce ordine e sicurezza. 

Il sovrano (che può essere un monarca o un'assemblea) detiene un potere indivisibile e incontestabile, poiché qualsiasi divisione del potere riporterebbe al caos. La legittimità del sovrano deriva non da Dio o dalla tradizione, ma dal consenso razionale degli individui.


Hobbes adotta un rigido materialismo: tutto ciò che esiste è corpo in movimento, compresi pensieri ed emozioni. L'universo è una macchina governata da leggi fisiche, e persino l'uomo è un sistema meccanico complesso. Questo approccio si riflette nella sua etica: il bene e il male sono definiti in base a ciò che favorisce o ostacola l'autoconservazione.

Le "leggi di natura" hobbesiane sono principi razionali che guidano verso la pace.

Queste leggi non sono morali in senso tradizionale, ma strategie per evitare l’autodistruzione.

Hobbes separa l'autorità religiosa da quella politica: il sovrano deve controllare la religione per prevenire conflitti. Critica l'ingerenza della Chiesa negli affari di Stato, sostenendo che la fede sia subordinata alla legge civile. 

La sua visione è anticlericale e funzionale alla stabilità.

Hobbes è considerato il padre del "contrattualismo moderno", influenzando Rousseau, Locke e Kant.  

La sua difesa dell'assolutismo, però, fu criticata da pensatori liberali (es. Locke), che vedevano nel sovrano hobbesiano una minaccia alle libertà individuali.  

 Il suo materialismo radicale e il determinismo meccanicistico anticiparono temi del Illuminismo e delle scienze sociali.

Hobbes offre una giustificazione laica e razionale del potere statale, rompendo con le teorie medievali del diritto divino. 

Pur controverso, il suo pensiero rimane fondamentale per comprendere le basi dello Stato moderno, il rapporto tra libertà e sicurezza, e i dilemmi della sovranità.

 

mercoledì 28 maggio 2025

Nel momento della morte il cervello non si spegne subito


 

Un team di ricerca ha registrato accidentalmente qualcosa di piuttosto interessante: la prima osservazione in tempo reale di ciò che accade nel cervello umano durante la morte. E i risultati? Potrebbero farvi ripensare a ciò che fa il cervello nei suoi ultimi istanti.

Ecco un episodio accaduto accidentalmente.

I ricercatori stavano monitorando l'attività cerebrale di un paziente di 87 anni tramite EEG nell'ambito di uno studio sull'epilessia, quando il paziente è andato inaspettatamente in arresto cardiaco. Poiché l'EEG registrava ininterrottamente, i ricercatori hanno finito per catturare 30 secondi di attività cerebrale prima e dopo la morte, qualcosa che non era mai stato registrato prima in un essere umano.

Prima di entrare nel dettaglio occorre fare una premessa.

Il cervello è essenzialmente una centrale elettrica: funziona attraverso segnali elettrici, noti come onde cerebrali. In parole povere, le onde cerebrali sono schemi di attività elettrica nel cervello. Diversi tipi di onde cerebrali sono correlati a diversi stati mentali:

Le onde lente (onde delta, theta e alfa) sono collegate al riposo, al rilassamento e all'elaborazione della memoria.

Le onde delta (0,5-4 Hz), le onde più lente, sono dominanti nel sonno profondo e negli stati di incoscienza.

Le onde theta (4-8 Hz) sono associate ai sogni, alla meditazione e al recupero della memoria.

Le onde alfa (8-12 Hz) sono spesso osservate in stati di rilassamento e concentrazione. Contribuiscono a regolare l'attenzione e a sopprimere l'attività cerebrale irrilevante per mantenere la concentrazione.

Le onde veloci (onde beta e gamma) sono collegate al pensiero, alla consapevolezza e alla percezione.

Le onde beta (12-35 Hz) sono collegate al pensiero attivo, alla risoluzione dei problemi e alla prontezza mentale.

Le onde gamma (>35 Hz), le onde più veloci e ad alto consumo energetico, sono associate alla consapevolezza cosciente, alla percezione, al richiamo della memoria e alle capacità cognitive di alto livello.

Le onde gamma sono fondamentali per la consapevolezza cosciente, la percezione e il richiamo della memoria. Aiutano il cervello a assemblare diverse informazioni in un'esperienza unificata, plasmando essenzialmente il modo in cui percepiamo la realtà.

Le onde alfa aiutano a regolare le onde gamma indirizzandole verso diverse aree del cervello. Questo processo è importante per l'attenzione, la memoria e il processo decisionale: garantisce che il cervello sia concentrato e possa elaborare le informazioni in modo efficiente.

Cosa dunque hanno scoperto gli studiosi?

Come previsto, la maggior parte dell'attività cerebrale si è gradualmente interrotta dopo l'arresto cardiaco. Ma ecco dove le cose si sono fatte interessanti.

Le onde gamma persistevano più a lungo delle altre onde cerebrali, anche dopo l'interruzione del flusso sanguigno al cervello.

Le onde alfa continuavano a influenzare le onde gamma, il che significa che il cervello non si attivava in modo casuale, ma continuava a seguire un processo strutturato.

In genere, ci si aspetterebbe che le onde più lente e a bassa energia (come le onde delta o theta) fossero le ultime a persistere prima che la funzione cerebrale cessi completamente. Ma invece, le onde gamma ad alta energia (legate alla percezione e alla memoria) sono rimaste attive.

Ancora più sorprendente? Il fatto che le onde alfa continuassero a influenzare le onde gamma suggerisce che non si trattasse semplicemente di un'attività elettrica caotica. Piuttosto, il cervello continuava a coordinare l'attività in modo strutturato, anche negli ultimi istanti.

Quindi... cosa significa tutto questo?

I ricercatori hanno concluso che il cervello morente potrebbe seguire un processo organizzato anziché spegnersi all'istante, sebbene il significato di questa attività non sia chiaro. Tuttavia, hanno anche riconosciuto che fattori fisiologici come la privazione di ossigeno e l'aumento dei livelli di CO₂ potrebbero spiegare l'impennata di onde gamma osservata, il che significa che questi risultati potrebbero non indicare nulla di profondamente significativo.

Indipendentemente da quest’ultima spiegazione sono state formulate delle teorie.

Alcuni ricercatori dicono che questo potrebbe spiegare le esperienze di pre-morte (NDE)? Poiché le onde gamma sono coinvolte nella rievocazione mnemonica; altri scienziati ipotizzano che un'impennata dell'attività gamma possa essere legata alle "esperienze di revisione della vita" (ovvero quando le persone riferiscono di aver visto la propria vita scorrere davanti ai loro occhi).

Il cervello "ammorbidisce l'atterraggio" verso la morte?

Alcuni ricercatori si chiedono se il cervello segua un processo di spegnimento strutturato, creando forse una transizione graduale verso l'incoscienza. Se così fosse, questo potrebbe spiegare perché alcune persone riportano sensazioni di pace o euforia durante le NDE.

Potrebbe trattarsi dell'ultimo disperato tentativo del cervello di mantenere la coscienza o di dare un senso a tutto un'ultima volta?

Alcuni ricercatori suggeriscono che, poiché le onde gamma sono collegate alla percezione e all'elaborazione cognitiva, questa scarica finale potrebbe essere il tentativo del cervello di integrare le informazioni prima di spegnersi completamente.

Oppure è semplicemente il modo in cui il cervello si spegne?

Fattori come la mancanza di ossigeno e l'aumento dei livelli di anidride carbonica potrebbero giocare un ruolo nel motivo per cui le onde gamma persistono più a lungo. Potrebbe trattarsi semplicemente di una parte normale del processo di morte, piuttosto che di qualcosa di profondamente significativo.

Come minimo, questo studio mette in discussione l'idea che il cervello si limiti a inattivarsi al momento della morte. I suoi ultimi istanti potrebbero essere più complessi di quanto avessimo mai immaginato.

Lo studio del processo è ancora allo stadio iniziale per cui sebbene possiamo immaginare scenari sorprendenti dovremmo attendere i progressi della scienza per condurre indagini più appropriate e trovare spiegazioni scientifiche.

Ad ogni modo, questo studio ha sollevato più domande di quante ne poteva rispondere.

Eccono alcune: 

Il cervello crea un'esperienza cosciente finale prima della morte?

Se le onde gamma sono collegate alla percezione e alla memoria, questa attività potrebbe corrispondere a un ultimo momento di consapevolezza o è solo una risposta automatica?

Questo potrebbe spiegare le esperienze di pre-morte (NDE)?

L'impennata di attività gamma è correlata a resoconti di revisioni della vita, tunnel di luce o un senso di pace, oppure è puramente psicologica?

Perché il cervello rimane organizzato dopo l'arresto cardiaco?

Se la coscienza dipende dall'ossigeno e dal flusso sanguigno, perché gli schemi neurali rimangono strutturati per un breve periodo dopo la morte?

Questo cambia il modo in cui definiamo il momento della morte?

Se il cervello rimane attivo in modo coordinato dopo l'arresto cardiaco, dovremmo riconsiderare il significato di "morte"?

martedì 27 maggio 2025

Come essere meno stupidi

 

Mark Twain non è noto solo per il suo celebre libro “Le avventure di Tom Sawyer”. È anche una delle figure molto citate della storia americana. Se qualcuno vi ha mai detto di "non lasciare mai che la scuola interferisca con la vostra educazione" o ha osservato che "viaggiare è fatale per i pregiudizi", allora avete sentito citare Twain.

Concise e intelligenti, le citazioni di Twain erano fondamentalmente dei “meme” del XIX secolo (Meme sono quei brevi contenuti divertenti, ironici o bizzarri che diventano rapidamente virali nella rete Internet). 

Sono così facili da diffondere che è facile dimenticare quanta saggezza Twain riesca a racchiudere in un piccolo ma irresistibile fascio.

Prendete ad esempio un'altra delle sue famose citazioni: "Non è ciò che non sai che ti mette nei guai. È ciò che tu sai per certo e che semplicemente non è vero".

Certo, è divertente, tenere in mente le sue pillole di saggezza che poi sono anche consigli su come diventare immediatamente più intelligenti di quanto si possa mai immaginare. 

Cercare di non essere stupidi è meglio che cercare di essere intelligenti.

Per usare le parole di un'altra figura citabile più recente, Charlie Munger, braccio destro di Warren Buffett, "È notevole quanto vantaggio a lungo termine persone come noi abbiano ottenuto cercando di non essere stupide in modo sistematico, invece di cercare di essere molto intelligenti".

Cercare di evitare di credere a cose che non sono vere – ovvero cercare di non essere stupidi – spesso porta molto più lontano nella vita e negli affari che cercare di essere eccezionalmente intelligenti.

Non si tratta solo di arguzia. È supportato da una solida base scientifica. Alla fine degli anni '90, due psicologi – Justin Kruger e David Dunning – hanno misurato l'autovalutazione dei soggetti in uno studio su una serie di abilità. Quanto sei bravo, si chiedevano, in cose come il ragionamento logico, la grammatica o le abilità sociali? Poi hanno testato l'effettiva competenza delle stesse persone.

Lo stesso schema si è ripetuto più volte. Coloro che erano effettivamente i più scarsi in ciò che veniva testato si valutavano più positivamente. Nel frattempo, i veri professionisti di successo erano molto più modesti riguardo alle proprie capacità.

Nacque così l'ormai famoso effetto Dunning-Kruger. Da allora è diventato sinonimo del fatto che i più ignoranti e incompetenti tra noi sono spesso i più sicuri di sé, mentre i veri esperti lottano con l'insicurezza (Socrate lo ha detto oltre duemila anni fa!).

Da un lato, è piuttosto divertente. Abbiamo tutti incontrato persone che incarnano questo principio in modo ridicolo. Ma secondo David Dunning, che ha contribuito a concepire l'idea, la vera lezione non è che alcune persone siano degli sbruffoni inconsapevoli (questo è ovvio). È che tutti noi dovremmo essere più umili riguardo a ciò che pensiamo di sapere. A volte siamo tutti vittime dell'effetto Dunning-Kruger.

Come essere meno stupidi?

Twain sottolineava che ciò che ti causerà più problemi nella vita è affermare la tua intelligenza. È essere eccessivamente sicuro di te. L'umiltà intellettuale è essenziale se si vogliono evitare dolore e imbarazzo.

(Anche questo è supportato da numerosi studi che dimostrano che l'umiltà intellettuale aumenta il QI, il QE e la capacità decisionale, così come da Jeff Bezos, che ha affermato come l'umiltà intellettuale sia una delle caratteristiche chiave che ricerca nelle assunzioni.)

Ricordare la citazione di Twain ti aiuterà a evitare l'arroganza e a rimanere aperto a nuove prove o a modi di pensare migliori. Se vuoi prenderla ancora più a cuore, Dunning ha suggerito diversi modi per evitare che "le cose che sai e che non sono vere" ti mettano nei guai.

Per esmpio, usa altre persone per mettere alla prova le tue idee. Siamo tutti brillanti nella nostra testa. Sei davvero intelligente solo se le tue idee resistono al dibattito con chi la pensa diversamente da te.

Molti dei problemi in cui ci imbattiamo, li affrontiamo perché facciamo tutto da soli. Facciamo affidamento su noi stessi. Prendiamo decisioni come se fossimo su un'isola. Se ci consultiamo, chiacchieriamo, facciamo amicizia con altre persone, spesso impariamo cose o acquisiamo prospettive diverse che possono essere molto utili.

Quando siete sicuri delle vostre decisioni, immaginate lo scenario peggiore che potrebbe verificarsi, pensate in termini di probabilità e aumenterete immediatamente la vostra intelligenza.

lunedì 26 maggio 2025

"Usare" il prossimo è un delitto morale


Gli esseri umani sono animali sociali. Le persone hanno bisogno di interagire con gli altri per vivere e più le nostre interazioni con gli altri sono fluide, migliore è la nostra vita.

La moralità riguarda il modo in cui trattiamo gli altri. Le norme morali e le aspettative su come conduciamo le nostre interazioni interpersonali contribuiranno a rendere più fluidi i nostri rapporti con gli altri. Più condividiamo le stesse norme morali e aspettative, meglio andiamo d'accordo. Quando siamo sulla stessa lunghezza d'onda e condividiamo gli stessi obiettivi, accadono cose positive.

Interagire in qualsiasi modo con gli altri significa impegnarsi in una transazione del tipo dare-per-avere. Questo è vero sia che si compri e si venda, sia che si scambino opinioni. Tuttavia, essere transazionali nei rapporti con gli altri è diverso. Significa concentrarsi sui risultati piuttosto che sull'altra persona, aspettandosi una ricompensa per le proprie azioni.

Essere transazionali implica un certo grado di freddo egoismo. Una relazione transazionale è una relazione in cui una o entrambe le persone pensano principalmente in termini di ciò che ottengono dalla relazione. Una relazione di questo tipo non si basa sul dare e condividere, ma sull'ottenere e dominare. 

Le relazioni transazionali non sono personali, ma impersonali. Alcuni sostengono che nella società umana, essere transazionali, ovvero interagire con gli altri solo per il proprio tornaconto, sia in aumento, arrivando persino a etichettare i politici come transazionali.

Un altro modo di dire è che essere transazionali significa usare gli altri. Una relazione transazionale non è necessariamente abusiva, ma è caratterizzata da qualcuno che si approfitta di un'altra persona, pensando solo a sé stesso e a ciò che ottiene.

È giusto dire che, per la maggior parte, non ci piacciono né approviamo le persone e le relazioni transazionali. Non ci piace essere usati e tendiamo a non gradire vedere gli altri essere usati.

Molte persone considererebbero l'essere transazionali come un agire immorale. Una persona che la pensava in questo modo era il filosofo Immanuel Kant. Un pilastro fondamentale della sua piattaforma morale era l'idea che usare gli altri per soddisfare i propri desideri fosse moralmente sbagliato.

Kant considerava le verità morali metafisicamente reali. Vedeva la morale come leggi oggettive che ci vincolano in modi simili a quelli delle leggi della fisica. Possiamo cercare di ignorare la legge di gravità, ma ci saranno conseguenze negative. Lo stesso vale per la legge morale. Kant offrì diverse formule per guidare le nostre azioni morali che, se seguite, ci avrebbero mantenuto in conformità con le leggi morali.

Una delle formulazioni di Kant è che non dovremmo mai agire in modo tale da trattare qualsiasi persona, noi stessi o gli altri, solo come un mezzo, ma sempre come un fine in sé. È un imperativo assoluto, affermava, non considerare o agire nei confronti degli altri solo come qualcosa che usiamo per soddisfare i nostri desideri.

La parola "solo" è importante nella formulazione di Kant. Interagire con gli altri in qualsiasi modo significa impegnarsi in una transazione: un processo di scambio o di dare e avere. Il problema è quando trattiamo un'altra persona come un mero mezzo per raggiungere i nostri fini, quando non ci impegniamo con una persona in una transazione, ma siamo transazionali, usando quella persona.

Un fine è qualcosa che vogliamo produrre o realizzare nel mondo. Scegliamo determinate azioni perché crediamo che contribuiranno al raggiungimento del nostro fine. Se compriamo qualcosa, paghiamo al cassiere per ricevere l'articolo che desideriamo acquistare. Stiamo effettuando una transazione con qualcuno, e questo va bene. Ma se invece usiamo quella persona solo come mezzo per raggiungere il nostro fine, Kant direbbe che siamo moralmente sbagliati.

Le persone non sono oggetti o distributori automatici a cui non dobbiamo nulla. Abbiamo il dovere di considerarle come persone dotate di individualità e libero arbitrio. Quando dimentichiamo che le persone sono esseri umani e non semplici oggetti a nostra disposizione, siamo moralmente sbagliati. L'opposto di essere transazionali con le persone è rispettarle per quello che sono e interagire con loro di conseguenza.

Non invocava dolcezza e leggerezza; ci invitava a riconoscere quella che lui considerava la semplice verità sulla realtà dell'umanità: siamo agenti morali razionali che meritano di essere trattati con riverenza. 

La moralità di Kant è certamente un po' fredda nel suo appello alla razionalità e a leggi morali oggettive piuttosto che a sentimenti di amore e compassione. Ciononostante, la preferenza di Kant per il rispetto dell'umanità altrui piuttosto che per un approccio transazionale nei loro rapporti è un consiglio prezioso.

A tutti noi mancano il tempo e la pazienza per essere perfetti nelle nostre interazioni con gli altri. Tutti saremo lontani dalla perfezione. Ciononostante, facciamo bene a tenere a mente che le persone non esistono per il nostro uso, sono nostri pari.

Nessuno dovrebbe dimenticare questo fatto morale.

domenica 25 maggio 2025

I canali del colloquio


 

Per dare è necessario avere.

Per avere è necessario aver ricevuto.

Comunicare con qualcuno implica mettersi in sintonia, interessare l’altro a sincronizzarsi sulla stessa frequenza.

L’intensità del nostro segnale non deve né attenuarsi, né esaltarsi, né modificarsi nel canale del nostro ricevitore.

Il segnale deve essere chiaro, sicuro e veloce, nel miglior modo possibile per il ricevitore.

Se è poco chiaro, non si capisce il significato di alcune frasi o parole.

Se è poco sicuro, si può perdere l’attendibilità della fonte.

Se è troppo veloce, si possono perdere informazioni e si rende il contesto privo significato.

Tramite naturali segni emotivi, istintivi, posture corporali, il comunicante apre la sua sessione di colloquio. In tale fase verificherà la disponibilità del ricevitore ad aprire il colloquio.

I primi messaggi sono elementari, non impegnano fortemente il ricevitore e servono a stimolare l'apertura dell’imminente colloquio.

Il ricevitore s’impegnerà nella comunicazione nella misura in cui l’informazione che riceverà riterrà utile. Il livello di attenzione si graduerà con la stessa misura.

Se il trasmettitore invia le sue informazioni nella banda di sensibilità del ricevitore, i messaggi sono chiari e si fissano come chiodi nel legno. Alla fine, la durata della comunicazione sarà sembrata molto breve.

Se, invece, il trasmettitore diffonde le sue notizie tenendo conto soltanto della propria banda sensibile, è facile che i messaggi arrivino confusi, ripetitivi e lunghi. Il colloquio ha realmente vita breve.

 

sabato 24 maggio 2025

La paura della matematica

 

"In matematica non si capiscono le cose. Ci si abitua e basta." - John von Neumann

John von Neumann era un matematico così brillante da lasciare il segno su tutto, dalla meccanica quantistica ai fondamenti dell'informatica. Se c'era qualcuno che poteva davvero affermare di comprendere la matematica, quello era lui. Eppure, eccolo qui a dire l'esatto opposto.

A prima vista, sembra un'osservazione umile, forse persino superficiale. Ma contiene vera saggezza e, per genitori, insegnanti e studenti, offre una verità liberatoria: la matematica non significa essere un genio. Si tratta di abituarsi a pensare in un certo modo. Chiunque può imparare a farlo.

La matematica è un linguaggio, non un punteggio. Quando pensiamo alla matematica, spesso immaginiamo fogli di lavoro, calcolatrici o test standardizzati. Ma la vera matematica – quella praticata da scienziati e pensatori – non consiste nel memorizzare formule o nell'elaborare numeri. È un linguaggio. Un modo di descrivere le idee.

Nella scienza, la matematica è il mezzo che usiamo per esprimere la struttura dell'universo. È il modo in cui definiamo, mettiamo in relazione e ragioniamo su idee che non sempre possono essere viste o toccate.

Immagina una palla. Magari è un pallone da calcio, da baseball o un pianeta. Ora elimina i dettagli superficiali: i lacci, i loghi, la consistenza. Cosa rimane? Una sfera.

Hai appena eseguito un'astrazione matematica. È quello che fanno i matematici. Semplificano cose complesse in forme ideali in modo da poterne esplorare le proprietà più chiaramente.

Una sfera non esiste realmente nel mondo fisico – non perfettamente – ma è un'idea incredibilmente potente. Perché potente? Perché una volta comprese le sfere, possiamo applicare questa conoscenza a innumerevoli problemi del mondo reale, dal calcolo del volume di un pallone da basket alla previsione del moto dei pianeti.

Questo è il potere dell'astrazione. E la matematica è lo strumento che lo rende possibile.

La pratica rende perfetti (intuitivi). C'è un'idea popolare nello sviluppo delle competenze chiamata "regola delle 10.000 ore": l'idea che servano circa 10.000 ore di pratica deliberata per diventare esperti in qualsiasi cosa.

Non è una scienza esatta, ma sottolinea un punto chiave: una comprensione profonda richiede tempo.

E questo non vale solo per la matematica. I musicisti, ad esempio, spesso dicono cose come "Suono a sensazione" o "Mi viene naturale". Ma se si guarda dietro le quinte, si scoprono migliaia di ore di scale, esercizi, errori e memoria muscolare.

Lo stesso vale per i matematici. Ciò che sembra "intuizione" è in realtà una familiarità costruita da lunghe, spesso silenziose, ore di esposizione e impegno.

Ma ecco il punto: non è necessario dedicare 10.000 ore per iniziare ad apprezzare qualcosa.

La maggior parte delle persone apprezza la musica senza mai prendere in mano uno strumento. Canzoni pop, melodie orecchiabili e successi virali sono progettate per essere accessibili e divertenti, senza bisogno di formazione.

Ma chi approfondisce – chi impara a suonare uno strumento, sperimenta con software musicali o semplicemente ascolta con più attenzione – inizia a percepire di più. Nota gli schemi, i cambi di tonalità, le armonie. Più si impara, più si apprezza.

Lo stesso vale per la matematica. C'è la "matematica pop": quei deliziosi enigmi e paradossi che non richiedono una laurea in matematica per essere apprezzati. 

Non c'è bisogno di "capirla tutta" per apprezzarla. Ma più ci si impegna – più si sperimentano le cose in prima persona, si fanno domande o si gioca con un'app o un puzzle di matematica – più si apprezza.

Se sei un genitore che si chiede come aiutare il proprio figlio a "eccellere" in matematica, la prima cosa da chiedersi è questa: cosa intendo per eccellere?

Se intendi ottenere punteggi elevati nei test, allora sì, esercitarsi con i test. Ma se intendi comprendere a fondo la matematica, allora il percorso è meno standardizzato. E questa è una buona cosa.

Non è necessario seguire un programma scolastico rigido per sviluppare il pensiero matematico. Basta coltivare la curiosità e la dimestichezza con l'astrazione.

Per esempio, fare puzzle e giochi. Sudoku, puzzle di logica o giochi da tavolo basati su schemi sono tutti esercizi per sviluppare le capacità matematiche.

La matematica non è una serie di risposte giuste: è un modo di vedere il mondo. Non è un caso per cui i migliori filosofi sono anche ottimi matematici.

Molti adulti portano con sé l'ansia per la matematica fin dai tempi della scuola. È facile pensare che la matematica sia una questione di velocità, memorizzazione o "bravura naturale". Ma questo è un mito.

La matematica non è una questione di talento. È una questione di tempo e tolleranza: tempo dedicato ad abituarsi ai suoi strani ma meravigliosi modi di pensare, e tolleranza per il disagio di non aver ancora capito qualcosa.

Va bene avere difficoltà. Va bene essere confusi. Fa parte del processo. Anzi, è un segnale che l'apprendimento sta avvenendo.

Se aiuti tuo figlio o uno studente a pensare in modo astratto, a fare domande, a trovare gioia negli schemi e a insistere quando le cose non funzionano subito, allora lo introduci alla mentalità matematica che lo accompagnerà per tutta la vita.

E forse, come von Neumann, si abituerà così tanto alla matematica che inizierà a sembrargli casa.

venerdì 23 maggio 2025

La musica che scegli di ascoltare parla di te


 

Pensiamo che la musica sia solo intrattenimento. Qualcosa per farci vibrare. Riempire il silenzio. Passare il tempo. Ma la verità è un’altra, meno tranquillizzante.

La musica è uno specchio. Mostra chi sei, non chi fingi di essere.

I tuoi gusti musicali sono come la cronologia delle tue ricerche su internet. Parlano di te. E nei modi che non immagineresti mai.

Una delle spie del tuo vero essere passa per il desiderio di controllo.

Le persone che creano playlist iper-specifiche non sono solo amanti della musica. Sono maniaci del controllo sotto mentite spoglie.

Spesso cercano di gestire ciò che sembra incontrollabile nella loro vita. Non si tratta solo di canzoni. Riguarda la capacità di manipolare umore, energia e atmosfera a comando. Si tratta di curare un paesaggio emotivo in cui sentirsi al sicuro.

Quando la vita sembra imprevedibile (con scadenze che si accumulano, relazioni che si sgretolano, emozioni che irrompono senza preavviso), queste persone si affidano alla musica come alla loro fortezza.

In questo spazio, si diventa architetti. Il DJ, il controllore del traffico emotivo. L’ascolto della musica è l’occasione di essere ascoltati.

In quei momenti ti stai automedicando. Ma nessuna vergogna. La musica diventa una droga quando è l'unico strumento che hai per tenerti in piedi.

Il tuo sistema nervoso impara a fidarsi del suono. Il tuo cervello si riprogramma intorno all'illusione di calma.

Ma ecco il problema: se la musica è l'unico posto in cui ti senti in controllo, la tua vita potrebbe gridare per una struttura più profonda, per dei limiti o per reclamare una guarigione.

Il problema non è la tua playlist, è il riflesso di qualcosa che denuncia una mancanza di controllo nella tua vita.

Ti sei mai chiesto perché le persone più emotivamente indisponibili ascoltano musica triste? Perché l'anima non dimentica ciò che non ha mai ricevuto e usa la musica per cercarlo.

Le persone più tristi non piangono sempre. A volte ascoltano musica, cercando di sentire qualcosa, qualsiasi cosa, attraverso i testi di qualcun altro.

Le persone cresciute nel caos spesso gravitano verso la musica ambiente, lenta e pacifica. Perché? Perché il silenzio e la dolcezza non sono mai stati sicuri per loro. La musica diventa una versione presa in prestito della vita che è stata loro negata.

Se non sei mai stato veramente amato, potresti ritrovarti ossessionato dalla musica del secolo scorso, come se fosse un rituale spirituale, non perché sei innamorato, ma perché speri ancora che qualcuno un giorno ti canti quelle parole.

La tua playlist non è casuale. È una bussola emotiva. Punta dritto a ciò che il tuo bambino interiore sta ancora cercando.

Usi la musica per viaggiare nel tempo verso una versione di te che ti è sembrata più viva.

Perché le persone tra i 30, i 40 e i 50 anni continuano ad ascoltare le canzoni di cui si sono innamorate da adolescenti? Perché non è una questione di musica. È una questione di chi eri quando l'hai ascoltata per la prima volta.

Quando ascolti quella vecchia canzone dei tuoi anni del liceo, il tuo cervello non si limita a ricordarla, ma ti riporta indietro.

La musica diventa teletrasporto emotivo. Il profumo dei luoghi vissuti. Il brusio delle notti d'estate. Quel viaggio in macchina; quella esperienza indimenticabile.

Ed è proprio questo il punto: non sei dipendente dalla canzone in sé, sei dipendente da chi eri quando l'hai ascoltata. È la versione di te che quella canzone ha mantenuto in vita.

Nel riascolto entri in contatto con una versione di te stesso che il mondo ti ha lentamente fatto dimenticare. Nascondi le parti più sincere di te stesso nella modalità "Ascolto Privato"

L’occasione diventa prova che sotto tutta la patina, c'è ancora un cuore vulnerabile e pulsante difficilmente da zittire.

Ti è mai capitato di ascoltare la stessa canzone più e più volte nel breve periodo? Si tratta di un loop emotivo. Non ascoltiamo le canzoni all'infinito solo perché "ci piacciono". Lo facciamo perché qualcosa in quella canzone corrisponde a ciò che proviamo e non siamo pronti a lasciarla andare.

Forse è un testo che ti colpisce troppo. Una melodia che rispecchia il tuo stato d'animo. Ogni ascolto è un tentativo di fermare il tempo. Cerchi di imbottigliare un'emozione. Di rivivere un ricordo. Ma questo schema non è sempre sano.

A volte, ciò che sembra una guarigione è solo un'ossessione mascherata. Sei bloccato, non nella canzone, ma nello stato d'animo che la canzone rappresenta. Più ripeti una canzone, più ti tiene in ostaggio.

È uno specchio che ti mostra quanto spesso i tuoi pensieri girino in tondo e quanto sia difficile per te andare avanti.

Alcune canzoni non solo suonano bene, ma ti lacerano. Senti quel verso che ti ha colpito troppo da vicino e improvvisamente ti si stringe il petto. Ti si chiude la gola. Diventi silenzioso. Perché la canzone sembra scritta da qualcuno che ha vissuto nel tuo cuore per un decennio.

Se la tua musica trasuda ancora dolore, rabbia o rimpianti, anche quando stai "bene", allora non sei completamente guarito. Stai rivisitando un dolore che ha ancora i denti. E la musica lo mantiene vivo.

La musica non mente; mostra il dolore che non hai ancora affrontato di petto. Finché non lo elaborerai veramente, le tue canzoni continueranno a sanguinare per te. Non perché ami la musica, ma perché la tua anima riconosce ancora il dolore.

In definitiva, la musica non è solo suono; è un linguaggio segreto. Ogni canzone che ami dice qualcosa su chi sei e su chi stai cercando di diventare. La maggior parte delle persone non pensa mai a cosa dice la musica di loro: ascoltano e si lasciano travolgere.

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