domenica 4 maggio 2025

La libertà come atto formativo (Luigi Pareyson)

Luigi Pareyson (1918-991)


Se la libertà, proviene da Dio, ed è la facoltà per eccellenza di scegliere tra il bene e il male ciò significa che anche Dio possiede questa libertà, avendo scelto irrevocabilmente il bene.

Questo è il sentiero che percorre il pensiero di Luigi Pareyson, filosofo italiano noto per il suo contributo originale alla filosofia della Libertà, all’estetica e all’ermeneutica.

Luigi Pareyson nasce il 4 febbraio del 1918 a Piasco, in provincia di Cuneo e muore a Milano nel 1991. Per la sua intelligenza si fece notare da Giovanni Gentile. Si laureò presso l’Università di Torino, in Filosofia, a soli ventun anni nel 1939. Scrisse una tesi dal titolo Karl Jaspers e la filosofia dell'esistenza, che poi venne pubblicata nel 1940 dall'editore Loffredo di Napoli. 

Dopo aver studiato in maniera approfondita il pensiero di Karl Jaspers, Pareyson ha sempre riconosciuto Karl Jaspers come uno dei suoi principali maestri e riferimenti di pensiero, assieme a Soren Kierkergaard e Martin Heidegger.

Egli è definito come il pensatore della libertà tragica, della creazione e della formazione. La sua filosofia ha avuto un grande impatto in Italia e all’estero. Di formazione cattolica, fu tra i primi a presentare l’esistenzialismo tedesco in Italia, sebbene non fosse l’unico filosofo ad averlo fatto. Nel contesto italiano, dove l’esistenzialismo aveva fatto ingresso grazie a pensatori di spicco come Nicola Abbagnano, Pareyson si distinse comunque per la tipologia di approccio al pensiero; vale a dire un pensiero particolareggiato e rigoroso.

Pur condizionato dall’esistenzialismo, Pareyson ha sempre cercato una direzione personalistica. Egli ha cercato, oltretutto, di fondere l’esistenzialismo con un’attenta riflessione sulla libertà. La sua pubblicazione principe è stata quella del 1954 intitolata “Estetica. Teoria della formatività”.

Egli propone una indagine sull’arte come atto formativo. Cosa si intende atto formativo? All’inizio può sembrare un parolone, ma Pareyson lo spiega diversamente. Ad avviso di Pareyson, produrre un’opera d’arte sarebbe come, per casualità, scoprire al buio due amanti che fanno “l’amore”. 

In altre parole, l’atto formativo è quel processo mediante cui la forma (artistica) nasce e si sviluppa liberamente, in un dialogo tra l’autore dell’opera e l’opera stessa.  Non si tratta imporre una certa idea sulla realtà, una forma pre-determinata su qualcosa, ma di scoprire quella forma mentre la stai creando, formando.

La forma dell’opera d’arte emerge durante questa fabbricazione, questo fare. Facciamo un esempio pratico.  Immagina uno scultore davanti a un blocco di marmo: Non ha in testa un modello da “copiare”; ha un’intuizione vaga, un’emozione da esprimere.  Inizia a scolpire, e mentre scolpisce, ascolta la materia: trova una crepa, cambia direzione. 

Se una venatura lo ispira la segue. Non impone, ma dialoga. Alla fine nasce una scultura unica, che non esisteva prima e che non poteva nemmeno essere prevista. È un risultato nuovo, frutto della comunione creativa tra l’artista e la materia.

Secondo Pareyson proprio in questo preciso istante si compie un atto eccezionale. Questa esperienza, dice Pareyson, non appartiene solo al mondo dell’arte, ma alla vita. Ogni azione umana vera, onesta, di buon cuore è già di per sé un “atto formativo”. 

Ecco che per Pareyson, vivere è come scolpire la propria esistenza. Ogni scelta che facciamo è un colpo di scalpello. Non abbiamo un copione da seguire, ma nemmeno partiamo dal nulla. Abbiamo una materia da lavorare fatta di incontri, di relazioni, di situazioni dove sperimentiamo persino l’amore e la libertà (due misteri meravigliosi), dove oltretutto e sopra ogni cosa, ogni nostra azione “forma” e “veste” l’anima che siamo.

Quindi, tornando al discorso sulla Libertà in Pareyson, possiamo dire che essa non è quel fare ciò che ci piace, ma - per le stesse ragioni già descritte – essa è un fatto di per sé “creativo”. Sei libero di scegliere, ma sei anche chiamato a dare “forma” al tuo carattere, alla tua personalità, alla tua vita.

Pareyson era un appassionato di Dostoevskij perché nei suoi personaggi l’essere umano era messo davanti alla responsabilità della propria libertà. Ivan, uno dei fratelli Karamazov, è un intellettuale tormentato, rigido e razionale. Rifiuta Dio perché non riesce ad accettare un mondo in cui il male e le ingiustizie padroneggiano. Non dice Dio non esiste, ma: “Io rifiuto di accettare un Dio che permette il male e la sofferenza”.  Dio ha dato all’uomo una libertà troppo pesante. Dice ancora: Gli uomini non vogliono la libertà, vogliono essere guidati e illusi. 

Se Dio non esiste - dice - “tutto è permesso” , senza accettare fino in fondo le conseguenze di questa affermazione. Suo fratello illegittimo, Smerdjakov, più debole ma influenzato da Ivan, commette un omicidio. Smerdjkow dice: “Tu mi hai insegnato che tutto è permesso”. 

Ivan non ha voluto l’omicidio, ma è stato complice con le sue idee e il suo silenzio. È qui che Dostoevskij – e Pareyson con lui – ci pongono davanti il cuore del problema: una libertà senza responsabilità è solo male. Ivan, per Pareyson, è un uomo che ha fallito nell’atto formativo. Ha fallito perché non si è assunto la responsabilità della propria libertà; ha fallito perché si è barricato nella sola teoria e analisi, ha fallito perché ha rifiutato il coinvolgimento con la verità e la responsabilità dell’altro. Arriva il colpo di scena: A fallire non è solo Ivan, Dice Pareyson: fallisce la libertà stessa.

Quando fallisce la libertà stessa?  La libertà fallisce quando rifiuta la verità. Quando pensate alla libertà non dimenticatevi della verità. Questo perché la libertà è una sorta di relazione viva e amorosa con la verità. La verità non si presenta mai come un comando autoritario: non si impone, si offre, si va avanti come chiamata. 

Quando pensi alla libertà e alla verità, immaginala come avere davanti una coppia di fidanzati: la libertà (lei) fallisce nella relazione quando non ama, si chiude in se stessa e non risponde alle chiamate o addirittura “nega” le chiamate alla verità (lui). Proprio come una relazione d’amore, la Libertà e la verità devono cercarsi, devono perdonarsi, e devono ritrovarsi. 

Cosa ci vuole dire Pareyson con questo rifermento a Dostoevskij? Pareyson non intende esibire la sua conoscenza su Dostoevskij per puro egocentrismo, ma intende farlo alla luce della sua filosofia sull’uomo, nella sua verità più profonda: L’uomo nasce radicalmente libero, ma questa libertà è drammatica. 

Perché è drammatica?  Perché egli è combattuto tra il bene e il male ed è chiamato alla responsabilità. 

La responsabilità è una verità che interpella, dice; cioè chiama le persone a prendere posizione, a “formarsi” nel confronto con essa. Dovete vedere la responsabilità non solo come un dovere morale, ma come un costitutivo essenziale della dimensione umana. In altre parole, l’essere umano è chiamato a formarsi costantemente, dove la verità e la libertà rappresentano un cammino che non si esaurisce mai, dove ogni decisone può avere il sapore del mare o della terra. 

 di Fabio Squeo

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