Per secoli, la vergogna è stata riconosciuta come un'emozione importante nell'esperienza umana. Dagli antichi filosofi greci che riflettevano sulla natura dell'"aidos" agli psicologi moderni che studiavano il suo impatto sulla salute mentale, la vergogna ha da tempo affascinato coloro che cercavano di comprendere la condizione umana. Tuttavia, negli ultimi decenni, la ricerca e la teoria psicologica hanno dipinto un quadro ampiamente negativo della vergogna come un brutto residuo evolutivo di cui saremmo stati meglio senza. Questa visione era particolarmente diffusa tra gli psicologi clinici che incontravano regolarmente pazienti alle prese con una vergogna intensa e disadattiva. Si consideri, ad esempio, un terapeuta che lavora con individui affetti da disturbi alimentari. Potrebbe osservare frequentemente come la vergogna per l'immagine corporea alimenti comportamenti distruttivi, portandoli a vedere la vergogna principalmente attraverso questa lente disadattiva.
Verso la fine del XX secolo, l'influente lavoro della psicologa sociale June Price Tangney e colleghi sembrava confermare la natura problematica della vergogna. La loro ricerca suggeriva che mentre il senso di colpa motivava le persone a fare ammenda per i torti commessi, la vergogna portava al ritiro e al evitare, ostacolando la crescita personale e le relazioni sociali.
Negli ultimi anni, le prospettive psicologiche sulla vergogna si sono evolute notevolmente. Questo cambiamento riflette un crescente riconoscimento della complessità della vergogna e delle sue potenziali funzioni adattive.
La vergogna è fondamentalmente disadattiva e discende da autovalutazioni negative globali. Questa visione sostiene che mentre il senso di colpa si concentra su comportamenti specifici e motiva l'azione riparatrice, la vergogna implica l'intero sé come imperfetto, portando al ritiro dalla scena.
Per illustrare, immagina due studenti che ottengono scarsi risultati in un test importante. Secondo questa teoria, lo studente incline al senso di colpa potrebbe pensare: "Non ho studiato abbastanza. Mi impegnerò di più la prossima volta", mentre lo studente incline alla vergogna concluderebbe: "Non sono abbastanza intelligente. Perché preoccuparsi di provarci?" Questo netto contrasto dipinge la vergogna come un'emozione con scarso valore redentivo.
Le prospettive psicologiche sulla vergogna si sono evolute in modo significativo negli ultimi anni, passando da una visione prevalentemente negativa a una comprensione più sfumata di questa emozione complessa. Pur riconoscendo il potenziale della vergogna di compromettere il benessere quando vissuta in modo cronico o intenso, i ricercatori apprezzano sempre di più i suoi ruoli adattivi nel funzionamento sociale e morale.
Questo cambiamento ci sfida a riconsiderare ipotesi profondamente radicate sulle emozioni spesso classificate come "negative". Proprio come la paura può proteggerci dal pericolo e la tristezza può facilitare l'elaborazione emotiva e il legame sociale, la vergogna emerge come un'emozione con importanti funzioni adattive quando vissuta in modo appropriato.
Andando avanti, il dialogo interdisciplinare tra psicologi, filosofi, antropologi e altri studiosi che studiano la vergogna, promette di arricchire ulteriormente la nostra comprensione di questa emozione complessa. Integrando diversi approcci teorici ed empirici, possiamo sviluppare modelli più completi della natura, delle funzioni e dell'impatto della vergogna sul comportamento umano e sul benessere.
Mentre continuiamo a svelare i meandri della vergogna, potremmo scoprire che questa emozione spesso diffamata gioca un ruolo più vitale nelle nostre vite individuali e collettive di quanto precedentemente riconosciuto. Invece di cercare di eliminare completamente la vergogna, la sfida diventa imparare a coltivare una relazione sana con questo aspetto potente e sfaccettato dell'esperienza umana.
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