mercoledì 20 novembre 2024

Mia moglie è una guerriera (cronaca di un parto)


 "Questa bambina nascerà oggi, in un modo o nell'altro".

Non sono rimasto particolarmente scioccato quando l'ostetrica l'ha detto. 

Era il nostro secondo figlio, quindi i segnali del travaglio erano familiari, inoltre la rottura delle acque era un chiaro segnale che il parto non sarebbe stato troppo lontano. Infatti, dopo poco tempo eravamo nella sala parto. 

Era una stanza diversa dall'ultima volta, ma comunque la sensazione era la stessa. In un angolo c'era un letto, in un altro una vasca per il parto e da qualche parte una macchina emetteva un segnale acustico. Le pareti erano di un caldo colore marrone, che si abbinava alle coperte del letto, ma nel complesso la stanza aveva un'atmosfera clinica.

Con l'avanzare della serata era diventato chiaro che il parto non sarebbe andato come previsto. Il lungo protrarsi dell'attesa con dolori lancinanti di mia moglie era una triste premonizione di ciò che stava per accadere. La bambina stava diventando piuttosto stressata e qualcuno dei medici stava pensando per un taglio cesareo d'urgenza. 

L'anestesista stava avendo molti problemi a farle l'epidurale e il mio amore era in preda a un'agonia più grande di quanto avrei mai potuto immaginare per un essere umano. 

Le labbra morsicate a sangue parlavano da sole per l'intensità del dolore in corso. L'ostetrica faceva del suo meglio per cercare di calmarla. Le infermiere erano lì intorno, in attesa del momento in cui avrebbero potuto aiutarla. Uno dei dottori si avvicinò a me e mi disse con voce calma: "Se si passa all'anestesia generale non puoi rimanere nella stanza, ti verrà chiesto di andartene, comprendi?"

Capii cosa stava dicendo e mi sentii terrorizzato.

Potevo vedere la frustrazione sul volto dell'anestesista, non dava nessun segno di cauto ottimismo. Mi fu detto di fare un passo indietro, di non avvicinarmi. 

Pochi minuti dopo il dottore venne da me e mi chiese di uscire dalla sala in silenzio. Mentre venivo scortato fuori dalla stanza detti un'ultima occhiata a mia moglie, in quel momento aveva un dolore così intenso che non credo si rendesse conto di cosa stava succedendo. 

La scena era completamente caotica. L'anestesista la supplicava di stare ferma, le infermiere facevano del loro meglio per aiutarla a calmarsi e i dottori erano impegnati a infilare elettrodi su ogni lembo di pelle disponibile. 

L'ostetrica era inginocchiata a terra e spingeva la testa tra le gambe aggrovigliate. Appoggiò uno stetoscopio sullo stomaco di mia moglie e, mentre me ne andavo, la sentii dire: "Non riesco a sentire forte il battito cardiaco della bambina".

Due secondi dopo ero solo in un corridoio deserto. Non ho idea di quanto tempo ho trascorso da solo, ma sono stati momenti terribili.

Mi sembrava che il tempo si fosse fermato. Volevo bussare alle porte e scoprire se stava andando tutto bene, ma sapevo che non potevo. Il silenzio assoluto del corridoio mi diventava assordante fino a stordirmi. 

Mi guardai intorno e come se non ci cossi stato prima, finsi di studiarlo. Era un lungo corridoio con doppie porte su entrambe le estremità e diverse piccole stanze che si diramavano da esso. Era piastrellato con un orribile colore bianco avorio, intimidatorio.

"Non riesco a sentire forte il battito cardiaco della bambina." Cosa significava? 

Significava solo che aveva difficoltà a localizzarlo? 

Significava che la bambina si era mossa e lei non riusciva a trovare la direzione in cui si trovava? O significava sofferenza della bambina. 

Sentivo la gola contrarsi, le lacrime formarsi mentre pensavo a quella possibilità. Sapevo che dovevo distrarmi da quei pensieri. 

Ho iniziato a camminare avanti e indietro nel corridoio. Ho guardato il soffitto e contavo le luci. Perché gli ospedali devono essere così luminosi? Tutte le stanze fuori dal corridoio avevano le luci spente. Ho pensato che fossero per lo più sale di risveglio e non avrebbero avuto bisogno di essere sempre accese.

Non riesco a sentire forte il battito cardiaco della bambina.” Le parole echeggiavano nella mia mente. Non avevo idea di cosa stesse succedendo oltre quelle porte del teatro. 

Mi sedetti e appoggiai la schiena al muro, fissando una stanza per lo più vuota proprio di fronte a me. Non so perché la fissavo. 

Pensavo, oggi dovremmo accogliere una nuova vita nel mondo, ma non sapevo quando … fra qualche minuto oppure serviranno ancora delle ore?

I pensieri mi stavano divorando dentro. Volevo rannicchiarmi, farli andare via. Le mie mani, appoggiate sulle ginocchia, iniziarono a tremare. A questo punto riuscivo a distinguere un orologio che ticchettava debolmente da un'altra stanza.

Pensai al nostro primogenito, a casa con i miei genitori. Si aspetterebbero la mia chiamata in questo momento. Quando riuscirò a chiamarli, cosa racconterò loro di queste mie ansie? Dovevo fermare questa agitazione, mi stava distruggendo, lo sentivo. Guardai il pavimento e provai a contare le piastrelle. Ce n'erano sei di larghezza, era facile misurarle. Quante saranno lungo il corridoio? Tutto serviva a distrarmi.

"Stai bene?"

Alzai lo sguardo. Un'infermiera era entrata nel corridoio. Come diavolo non l'avevo sentita entrare?

Spiegai la situazione, trattenendo quanta più emozione possibile. Non volevo che fosse coinvolta, sapevo che non c'era niente che potesse dire, non volevo che ci provasse.

"Beh, lì dentro sono in buone mani." Mi disse.

Con ciò entrò in una delle stanze, afferrò qualcosa e uscì dal corridoio silenziosamente come vi era entrata.

Il silenzio mi circondava di nuovo facendomi ostaggio. L'orologio si era fermato? Perché non riuscivo a sentirlo? Mi fermai e lo ascoltai. Stava ancora ticchettando, avevo camminato in perfetta armonia con esso senza rendermene conto. Ora che mi ero fermato, tutti i pensieri che avevo evitato mi inondarono la mente. Mi sedetti di nuovo, le lacrime mi scorrevano sulle guance. Mi strofinai il viso per asciugarmi, gli occhi mi bruciavano.

Mi alzai, mi fermai davanti alla porta della sala operatoria, sforzandomi di sentire qualcosa provenire dall'interno. Non riuscivo a sentire alcun suono. Continuai a camminare, contando ancora le piastrelle mentre camminavo. Vidi il mio riflesso nella finestra tra il corridoio e una delle stanze e quasi non mi riconobbi.

Mi voltai in fondo al corridoio e fissai di nuovo le porte della sala operatoria. Non avevo idea di quanto tempo fosse trascorso. Tornavo indietro verso di loro, passavo e ripassavo. L'ho ripetuto molte volte, ogni volta sperando che la porta si spalancasse mentre arrivavo vicino.

Poi all'improvviso il silenzio fu rotto. Attraverso le porte della sala operatoria giunsero ​​gli inconfondibili suoni di una bambina che piangeva.

Mi sedetti nuovamente sulla sedia più vicina. Questa volta lasciai che le lacrime scorressero liberamente.

Cinque minuti dopo l'ostetrica uscì dalla porta e mi permise di rientrare vedere il nostro neonato.

"Stanno entrambi bene, tua moglie si riprenderà alla grande. Tua figlia ha fatto un po' di capricci ... ha impiegato un bel po' di minuti per respirare da sola, ma ora sta benissimo. Non preoccuparti, la bambina ha sempre avuto ossigeno durante quel periodo ora va tutto bene".

Non passò molto tempo che fui accanto a mia moglie.  Noi tre eravamo ancora insieme in quella sala operatoria che fino a poco tempo prima, fissavo le sue porte d'ingresso. 

Con il braccio proteso su mia moglie, guardai verso il corridoio e ancora una volta vidi il mio riflesso nella finestra. 

L'immagine che mi sorrideva, sembrava una persona molto diversa da quella che solo pochi istanti prima camminava avanti e indietro ansiosamente.

Ormai Bianca è al mondo con noi.

Mia moglie è una guerriera! 


martedì 19 novembre 2024

Chi sei?

 

Man mano che si avanza in età, le presentazioni di sé stessi intimidiscono sempre di più. 

Come ci si può presentare se non si è consapevoli di sé stessi? 

Il momento più angosciante della vita è quando qualcuno ti chiede "Chi sei?" 

È una domanda a cui non hai mai dato una risposta soddisfacente, ma soprattutto definitiva. Tutta la vita non è altro che uno sforzo per conoscere il proprio sé. Il cuore soffre per il desiderio di familiarizzare con qualcuno che ti riconosce per ciò che si è veramente. Quando bussi alla porta del tuo vicino e ti chiede: "Chi sei?", potremmo rispondere "Magari lo sapessi!"

Le nostre presentazioni ci vengono imposte dalla nostra famiglia, cultura, etnia, religione e professione. Siamo tutti soddisfatti delle nostre apparenze fabbricate, viviamo nel nostro raggio di visione e finiamo come sono finiti i nostri predecessori e finiranno i nostri successori. Solo coloro che hanno osato conoscere sé stessi hanno lasciato le tracce delle loro impronte nel passare del tempo.

Non solo gli orientali, come i santi indiani e i filosofi buddisti, hanno sottolineato l'importanza di conoscere sé stessi, ma anche la storia occidentale è arricchita da tali contese e concezioni. La saggezza senza tempo greca del "Conosci te stesso" è ciò che ha tracciato la strada per la teoria delle forme di Platone, il cogito ergo sum di Cartesio, l'etica di Spinoza, l'Übermensch di Nietzsche e il Sisifo di Camus.

Tutte queste innovazioni dell'uomo non sono altro che indirizzate a colmare il vuoto originato dall'incoerenza, dovuta all'oblio del proprio sé. Considerando l'estensione dell'universo, l'unica conoscenza che l'uomo può avere con certezza è quella di sé stesso. Ma questa storia non ha ancora una conclusione.


lunedì 18 novembre 2024

Felicità: Avere il controllo di sé

 

Un giorno, Dario, un addetto al magazzino merci di un supermercato vinse alla lotteria un premio di molti milioni di euro. L’uomo era profondamente religioso e aveva lottato per tutta la vita per provvedere alla moglie, Barbara e ai suoi tre figli. La lotteria sembrava essere la ricompensa che lui e la sua famiglia finalmente meritavano dopo una lunga vita di fede e sacrificio.

Dopo qualche settimana ritirò un assegno da un milione di euro come prima parte dell’intero premio. Con quei soldi si comprò un ranch e dei cavalli. Mise da parte dei soldi per mandare i figli al college. Comprò delle case per i membri della sua famiglia. Donò dei soldi alla sua chiesa. E due anni dopo si chiuse nella sua camera da letto, si puntò un fucile al petto e premette il grilletto. Un suo amico riferì che Dario avrebbe detto: "Vincere alla lotteria è la cosa peggiore che mi sia mai capitata".

Christopher Reeve è nato nel 1952 da una famiglia benestante di New York. Con la mascella scolpita e di bell'aspetto, Reeve ha condotto la sua giovane vita adulta concedendosi ogni agiatezza. Aspirante attore, nel 1978 ottenne il ruolo di Superman in un film di Hollywood ad alto budget. Così guadagnò milioni e diventò una delle celebrità più riconoscibili al mondo. Pertanto condusse una vita lussuosa, spendendo i suoi soldi in belle case, belle auto, feste di lusso e la sua passione per l'equitazione. Poi nel 1995, Reeve è cadde da cavallo, si ruppe due vertebre della colonna vertebrale e rimase sulla sedia a rotelle.

Dopo l’incidente, Reeve è diventato un sostenitore dei disabili e ha trascorso il resto della sua vita a raccogliere fondi per la ricerca sul midollo spinale. È stato il primo sostenitore famoso della ricerca sulle cellule staminali. Reeve in seguito affermò che il suo incidente lo aveva aiutato ad "apprezzare di più la vita". Notò che c'erano "persone fisicamente abili più paralizzate di me" e una volta commentò: "So ridere. So amare. Sono un ragazzo molto fortunato".

È facile concludere queste storie dicendo: "Sì, ok, ho capito. I soldi non comprano la felicità. Quindi dimmi cosa mi rende felice!".

Intanto non esiste una "formula" per essere felici. Quindi, per prima cosa, dobbiamo chiarire cosa sia realmente la felicità e, forse ancora più importante, cosa non sia. Probabilmente non sai cosa ti rende felice

Secondo gli studi dello psicologo Daniel Kahneman, gli esseri umani sopravvalutano costantemente il valore o il piacere di ciò che non hanno e sottovalutano il dolore o la perdita di perdere qualcosa che hanno. Tutti siamo programmati in questo modo. Per qualche ragione, Madre Natura ha voluto che l'avversione alla perdita sembra essere programmata in noi dall'evoluzione.

In effetti, non solo siamo pessimi nel predire cosa ci renderà felici o infelici in futuro, ma la ricerca dello psicologo di Harvard Dan Gilbert ha ripetutamente dimostrato che siamo pessimi anche nel ricordare cosa ci ha resi felici o infelici in passato.

Il motivo è che la nostra mente non è in grado di ricordare ogni piccolo dettaglio dell'esperienza, né è in grado di prevedere ogni dettaglio dell'esperienza. Di conseguenza, la nostra mente prende la visione generale di un'esperienza (passata o futura) e riempie gli spazi vuoti.

Se ciò che ricordiamo è stato in qualche modo doloroso e spiacevole, diamo per scontato che tutto fosse doloroso e spiacevole. Se, nelle nostre fantasie future, tutto ciò che possiamo immaginare sono gli aspetti piacevoli ed eccitanti di un'esperienza, la nostra mente va avanti e riempie gli spazi vuoti e presume che tutto nella situazione sarà fantastico.

La felicità, come altre emozioni, non è qualcosa che ottieni, ma piuttosto qualcosa che abiti. Quando sei furibondo e tiri fuori parolacce, non sei consapevole del tuo stato di rabbia. Non stai pensando: "Sono finalmente arrabbiato? Lo sto facendo bene?" No, sei in cerca di sangue. Abiti e vivi la rabbia. Tu sei la rabbia che fortunatamente poi svanisce.

Proprio come una persona sicura di sé non si chiede se è sicura di sé, una persona felice non si chiede se è felice. Semplicemente lo è.

Ciò implica che la felicità non si ottiene di per sé, ma piuttosto è l'effetto collaterale di una serie particolare di esperienze di vita in corso.

Questo si confonde molto, soprattutto perché la felicità è così tanto pubblicizzata in questi giorni come un obiettivo in sé e per sé. Acquista X e sii felice. Impara Y e sii felice. Ma non puoi comprare la felicità e non puoi raggiungerla. Essa è uno stato di essere.

La felicità non è piacere.  Anche se il piacere è fantastico, non è la stessa cosa della felicità. Il piacere potrebbe essere correlato alla felicità, ma non la causa. Chiedi a qualsiasi tossicodipendente come è andata la sua ricerca del piacere. Chiedi a un adultero che ha distrutto la sua famiglia e perso i suoi figli se il piacere alla fine lo ha reso felice. Chiedi a un uomo che ha quasi mangiato fino alla morte quanto felice lo ha fatto sentire la ricerca del piacere.

Il piacere è un falso dio. La ricerca mostra che le persone che concentrano la loro energia su piaceri materialistici e superficiali finiscono per essere più ansiose, più instabili emotivamente e meno felici a lungo termine. Il piacere è la forma più superficiale di soddisfazione della vita e, quindi, la più facile.

Il piacere è ciò che ci viene commercializzato. È ciò su cui ci fissiamo. È ciò che usiamo per intorpidirci e distrarci. Ma il piacere, sebbene necessario, non è sufficiente. C'è qualcosa di più.

La felicità non richiede di abbassare le proprie aspettative.

Condurre la vita è come guidare un'auto. Ci sono diverse destinazioni verso cui possiamo guidare, alcune piacevoli, altre spiacevoli; alcune ricche ed emozionanti, altre povere e terrificanti. Tutti presumono che la loro felicità sia determinata dalla destinazione verso cui guidano. In effetti, ne siamo così convinti che passiamo la maggior parte della nostra vita concentrati nel guidare verso la migliore destinazione possibile e nel raggiungerla il più velocemente possibile, preferibilmente più velocemente di chiunque altro.

L’esperienza dimostra che non è il luogo dove stiamo diretti che ci renderà felici a lungo termine, ma il controllo che abbiamo sulla guida.

Le persone che sentono di avere poco o nessun controllo su dove stanno andando, sperimentano bassi livelli di felicità, indipendentemente dalle destinazioni e dalle esperienze che hanno lungo il percorso.

Puoi essere ricco, famoso, avere tutto ciò che hai sempre desiderato, ma se senti di non averne il controllo, non sarai infelice. Ti sei mai chiesto perché così tante celebrità e milionari diventano tossicodipendenti o addirittura si uccidono?

Puoi essere di classe media, avere pochi beni, un pessimo lavoro, ma se senti di avere il controllo sulla tua vita e sul tuo destino, allora sarai felice. Sicuramente hai incontrato persone così nella tua vita (se non è così, visita un paese del terzo mondo; rimarrai sbalordito da quanto siano felici molte di quelle persone).

Quindi il trucco è imparare ad avere più controllo sulle nostre vite, a sentire di avere più controllo su dove finiamo e come ci arriviamo.

domenica 17 novembre 2024

Una lettera d'amore giunta in ritardo


Ci sono giorni in cui mi sembra di non riuscire a tenere tutto insieme, momenti in cui il peso del mondo mi schiaccia, rendendomi difficile respirare. Mi scuoto facilmente. Mi sento persa, sopraffatta e sola.
Ma poi, c'eri tu.
La tua presenza da sola era come una boccata d'aria fresca. Quando tutto sembra andare in pezzi, tu sei lì, a darmi i piedi per terra con la tua calma. Trasformi la mia mente sconvolta in qualcosa di bello. In qualche modo, sai sempre le parole di cui ho bisogno. Per ricordarmi che anche nei momenti più bui, c'è speranza e c'è amore. E io lo merito.
La tua comprensione offre conforto quando le parole falliscono e la tua forza mi spinge quando la mia si esaurisce.
Con te, il caos non scompare: è sempre lì, ma diventa gestibile. Sopportabile. Rendi il carico più leggero, semplicemente condividendolo.
Ricordo di averti respinto più volte, temendo di poterti trascinare giù con i miei problemi irrisolti. "Ma ho scelto di essere coinvolta. Di essere trascinata. Siamo in questo insieme", hai detto.
Quella notte ho pianto fino ad addormentarmi.
Nel mezzo del mio caos, mi hai portato un senso di pace che non sapevo di poter trovare. Ti dico sempre quanto sono in soggezione nel poter provare così tanto. Ma non è il tipo di troppo che è travolgente. È il tipo che mi aiuta ad affrontare la mia giornata.
Mi insegni a trovare la bellezza nella follia, ad apprezzare i piccoli, silenziosi momenti di gioia che spesso vengono oscurati dalle richieste della vita. Mi ricordi di respirare, di fare le cose un passo alla volta e di credere che andrà tutto bene.
Il tuo amore è un gentile promemoria che non sono sola. Con te al mio fianco, sono più forte e più fiduciosa. Il pensiero di svegliarmi per un altro giorno era banale e insipido finché non ti ho incontrato. Mi hai dato una ragione per avere qualcosa da aspettare con ansia. Ogni giorno.
Quindi, nel mezzo del mio caos, c'è gratitudine. Gratitudine per la tua presenza, per il tuo amore e per il sostegno che mi dai. In un mondo che spesso sembra opprimente, tu sei il mio rifugio sicuro, la mia calma nella tempesta, la mia luce.
Grazie per essere lì, per essere te. Nel mezzo del mio caos, sei tu che mi riporti a me stessa, ricordandomi costantemente la mia forza e il mio valore.
Prometto di essere anche il tuo rifugio sicuro. Potrei non darti ancora la stessa quantità di pace e conforto, ma se c'è una cosa che posso fare adesso, è restare al tuo fianco per tutto il tempo che vorrai.

 

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