domenica 17 marzo 2013

Paolo e Antonio


 
Un padre sul letto di morte chiama a sé i suoi due figli gemelli per renderli consapevoli di aver redatto il testamento nel pieno delle sue facoltà mentali.

I due ragazzi, essendo stati affidati a due famiglie diverse, avevano maturato due stili di vita diversi, sostenuti da due filosofie educative opposte. 

Il primo, Antonio, era ormai un uomo semplice e generoso; spesso non curava i propri interessi per aiutare gli altri. 

La sua riservatezza era spesso confusa come timidezza e incapacità di affrontare la vita a muso duro. 

Antonio amava leggere ed era facile trovarlo solitario ammirando tramonti o osservando piante e animali liberi in natura.

Paolo, invece, appariva agli occhi dei più, vivace, intraprendente e sempre al centro di ogni evento che lo riguardava. 

La vita agiata che gli era stata permessa era responsabile dei convincimenti per cui studiare era inutile e arrivare primi, anche a discapito di altri, era fondamentale per dar senso alla vita.

Per via di questi due caratteri così diversi, i due fratelli si vedevano raramente.

Alla morte del padre si ritrovarono dal notaio per la lettura del testamento.

Con somma meraviglia dei testimoni che assistettero alla lettura del testamento, si seppe che il padre avesse lasciato ogni suo avere al figlio Paolo, mentre ad Antonio lasciò soltanto una lettera scritta di suo pugno in cui si leggeva:

Caro figlio mio, ho dovuto lasciare tutto a Paolo perché la sua famiglia adottiva verrà con me in cielo. 

Presto, la sua vita avrà una svolta e allora potrà contare soltanto sul patrimonio che io lascio.


Tu, Paolo, sei stato fortunato hai una famiglia che stravede per te; 
hai una saggezza che vale mille volte ciò che ho lasciato a Paolo. 

Inoltre il tuo cuore è d’oro. 

Non diventerai mai ricco perché il tuo pensiero non volge a far profitti e non perdi occasione per dividere quel poco che hai con gli altri.  

 Io andrò in Paradiso sapendo di raccontare tutto questo al Signore e nasconderò la lacrima se mi chiederà di Paolo”.  

Il sentiment di facebook




Il sentiment è una parola inglese che nasconde l’ambiguità di due parole italiane: sentimento e opinione. 

Cattura contemporaneamente l’attenzione dei sognatori romantici e dei concreti giornalisti, mediandola in un compromesso di valori e logica.

Facebook, Twitter, Linkedin, ecc, sono social network, all’interno dei quali, l’iscritto denuncia il suo “umore”, sia sottoforma di augurio o speranza ipotetica, sia come ferma convinzione personale.

Questo “clima” di idee potrebbe essere interessante sottoporlo ad una analisi scientifica dalla quale ricavare convinzioni diffuse e previsioni di risposte a particolari stimoli.

Gli utenti di facebook (scegliendo uno a caso), potrebbero essere visti come cavie, come una fetta del campione statistico da cui estrarre un “sentimento” in essere e dal quale capire come reagirebbero se fossero provocati.

Questo fenomeno non ancora ufficializzato tra le indagini statistiche tradizionali è tuttavia tenuto in gran considerazione. 

I politici, gli economisti, gli imprenditori, ufficialmente danno poco credito ai social ma privatamente si fanno in mille per sapere che cosa si dice su loro conto.

Tra le novità di San Remo, snobbato dai giovani “in” negl’anni precedenti, è stata prevista una stazione “connessa” ai social network durante la celebrazione dell’evento televisivo. 

Probabilmente, l’intenzione del direttore artistico è stata quella di voler ascoltare l’eco del “sentiment”, sperando di vederli più coinvolti e eventualmente ritoccare in corsa la rotta di navigazione della trasmissione.     

sabato 16 marzo 2013

La bacheca di Facebook


 
Se appartieni alla schiera dei frequentatori di Facebook, fai parte di un nuovo modo di far opinion, sei un campione statistico che concorre a formare il “sentiment” di coloro che si affidano alla rete per esternare idee più meno congruenti. 
La novità del fatto sta proprio che alcuni studiosi tendono a valorizzare questo aspetto e lo stanno già studiando per capire in che modo interpretarlo prima di affidarlo all’utilizzo degli interessi commerciali o politici che siano.
Come ogni novità che si affaccia tra le realtà umane, anche questa crea schieramenti. 
Ci sono coloro, amanti della tradizione, che minimizzano la novità, fidando nell’ignoranza come forza di stabilizzazione e di continuità. 
Ci sono, invece, i più attenti, forse anche curiosi, che non lasciano nulla al caso o al “non provare”, i quali, percorrendo le nuove strade, si comportano come le navi rompighiaccio che solcano mari apparentemente gelati in superficie. 
Quest’ultima schiera di audaci è poco numerosa ma ha il vantaggio di arruolare velocemente simpatizzanti. 
Una notazione che è incontestabile riguarda l’età degli esploratori. 
Sono giovani intraprendenti che scegliendo di non perder tempo a lamentarsi e di non dar forza a chi crede di pensare per loro, scuotano la novità per cercare il modo di ottenerne benefici.

venerdì 15 marzo 2013

Il BIOS (lezione n.2)



Foto: "Da qualche parte c’è luce. Forse non sarà una gran luce ma la vince sulle tenebre."♥

Charles Bukowski

Gli uomini inconsapevolmente operano secondo motivazioni che si riscoprono soltanto a posteriori. 

Non mi riferisco a quelle apparenti, dettate dalla sapienza, dalla logica o dalla necessità, ma a quelle dettate da un’apparente ovvietà.

Ogni essere umano è diverso da un altro, perché?

Sprecar parole per motivare differenze così evidenti, è un modo per annoiarsi o filosofare.

Per rispondere, divertendosi, a questo quesito, mi servo di un elemento d’informatica: il BIOS.

Ogni essere umano ha un BIOS magistralmente configurato e personalizzato dal Padre eterno. 

Anche se il funzionamento generale della macchina Uomo è governato dal suo sistema operativo (come Windows o Linux), le particolarità costruttive del corpo fanno sì che esso, per svolgere alcuni compiti basilari su cui costruire le operazioni più fantasiose e complesse messe a disposizione delle applicazioni di vita, debba rivolgersi a un interlocutore in grado di parlare una “lingua“ standard, nascondendo i dettagli biologici e logici, specifici del corpo della particolare persona su cui lavora.

Questo, disaccoppiando le applicazioni e il sistema operativo dal corpo (hardware), semplifica la progettazione del software, da un lato, e permette al Creatore di avvalersi di una certa libertà progettuale, dall’altro. 

Infatti, il progettista del carattere degli uomini, nel definirlo, non deve più preoccuparsi di quali segnali emotivi e di quali temporizzazioni sono necessarie usare nella comunicazione tra i neuroni nel cervello e il movimento delle mani, ma si limita a dialogare con un interlocutore standard. 

Questo interlocutore è il BIOS (Basic Input/Output System), un programma relativamente piccolo ma di fondamentale importanza, sempre più spesso memorizzato su chip e alloggiato sulla nostra motherboard.

Il BIOS può essere aggiornato senza dover rinascere qualora l’esperienza traumatica modifichi la sua configurazione.

Se si riuscisse a scoprire dove risiede il nostro BIOS, sfruttando la clonazione, potremmo vivere in eterno. 

In questo modo avremmo rubato un grande segreto a quel burlone del buon Dio.

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