mercoledì 14 maggio 2014

Gita a Praga(4)

Tra le visite più toccanti si inserisce quella fatta all’interno cimitero ebraico. 

Non posso non menzionare quella leggenda ebraica che la guida ci raccontò. 

Fermandoci davanti alla tomba di uno degli illustri padri ebraici, ci fece notare alcune monetine lasciate lì, a testimonianza dei desideri espressi da visitatori di passaggio. 

Ognuna di quelle monete era un obolo simbolico, lasciato sulla pietra tombale con l’intento di richiamare il potere del nobile defunto e catturarne i suoi benefici.

Colpito da questa inusuale usanza, scelsi la monetina più lucente che avevo in tasca e posandola delicatamente tra le altre, parlando con me stesso, 
dissi:

 “Deve essere stata molto importante la persona a cui è dedicata questa pietra tombale. 

Non voglio chiedergli fortuna per me, perché chissà quante richieste di questo tipo avrà già avuto. 

Questa mia monetina vuole aggiungere un pensiero buono a quelli di tanti altri visitatori che mi hanno preceduto.

Mi piacerebbe pensarti, caro defunto, come uno spirito ancora tutto occupato a rendere buone le persone. 

Sai anche tu che ogni persona nasce buona e poi sfortunatamente qualcuna diventa cattiva, come se fosse contagiata da un virus. 

Allora, illustre rabbino, fa in modo che la tua saggezza si consumi nel far credere che il mondo appartiene al bene e che questo va oltre le religioni.  

Dicono che per ogni azione buona compiuta o per ogni pensiero buono espresso, si annullano centinaia di azioni brutte e un angelo scende sulla terra. 

Chissà se un giorno il paradiso si potrà chiudere per mancanza d’angeli”.       

Mentre pensavo tutto questo, mi accorsi di essere rimasto staccato dal gruppo e allora, immediatamente guadagnai l’uscita.

La pausa pranzo che seguì, spinse nel “non pensarci più” quei momenti tristi appena vissuti nel cimitero ebraico. 

Fu allora, che io ripresi a parlare di fatti leggeri con i miei colleghi e a pianificare dove e che cosa mangiare.

I precedenti pasti in albergo ci avevano quasi rassegnanti agli arrangiamenti per cui lo stomaco non aspettandosi nulla di buono aveva smesso di brontolare. 

I ragazzi, invece, erano di altro avviso. 

L’età della fame non va molto per il sottile e i punti “MacDonald” sono ovunque nelle grandi città.

Dopo aver stabilito luogo e ora di ritrovo, i tre docenti liberano il gruppo. 

Travolti dalle incertezze del ristorante da scegliere e accettando senza discussioni il consiglio della guida, come naufraghi, i tre professori finirono in una birreria a menù fisso.

Un gruppo di ragazzi, fidando sul nostro buon senso (in quel momento assente), si unirono con noi per consumare il pranzo.

Che cosa si disse di quel pranzo è ancora oggi un mistero.

 (continua nel prossimo articolo)

martedì 13 maggio 2014

La gita a Praga(3)

(continuazione dell'art. precedente)

I tre giorni successivi a quello di partenza trascorsero molto velocemente, spesi nel girovagare nella terra di Jan Palach, intenti a provare le emozioni legate al vivere una città con tradizioni diverse. 

La lingua inglese, grande scoglio scolastico, mostrava ora la sua reale utilità e coloro che per anni avevano lesinato sforzi nel tentare di impararla, in quei giorni si aggiravano tra bar e negozi come sordomuti, costretti ad usare la mimica per ottenere una informazione o comprare un oggetto.

La città di Praga, come definita dalla collega di religione, nel suo centro storico si presenta come una bomboniera; bella di notte e intensamente vissuta di giorno. 

Passeggiando tra le vie ricolme di richiami d’ogni tipo, si nota la presenza di malaffare e di trappole per turisti sprovveduti. 

Giovani di colore, mani in tasca pronte a estrarre qualcosa, si aggirano come ombre minacciose. Più volte è capitato che questi si sono proposti agli ingenui ragazzi come venditori di merce pregiata o consiglieri disinteressati.

L’obiettivo dei miei ragazzi era catturare le attenzioni delle bellissime giovani praghesi. Purtroppo, l’approccio risultava quasi sempre viziato dalla fretta di andare oltre i convenevoli.

Personalmente, ho trascorso il cuore di una notte in discoteca con i ragazzi e mi sono divertito a osservarli nel loro ambiente preferito. 
Ho notato tanta energia venir fuori, tanta voglia di buttar via l’adeguamento ad una vita fatta di regole e di routine.

La mia mente correva indietro nel tempo quando alla loro età anch’io combattevo con me stesso per essere insieme con gli altri.

Il volersi divertire non emergeva spontaneamente, sembrava che lo si comandasse a venir fuori, a dispetto di una silente abitudine a vivere in un certo modo, lontani dalla eccentricità e dalle emozioni forti.   

Sono rimasto incantato per parecchi minuti, mentre il mio pensiero vagava sull’arco del tempo costellato di ricordi. 

I visi ridenti, sudati, erano i miei marchi della gioventù; erano i segni di un mondo allora diverso da quello attuale ma con gli stessi sentimenti e la stessa voglia di vedere tutto con gli occhi del cuore e della gioia.

Sono sempre convito che fare l’insegnante è un privilegio. 
Vivere e relazionarsi con i ragazzi è anche un modo per invecchiare piacevolmente. 

Sicuramente concorderete con me affermando che lavorare in una birreria è impossibile non assaggiare la birra e i ragazzi hanno molta birra in corpo.

ETT: Luigi, ti stai allontanando dal tuo racconto.

LUIGI: E’ vero! Ormai, mi è impossibile staccarmi completamente dalle mie riflessioni. Cercherò di rimettermi subito in tema.

Per il secondo giorno era in programma la visita al quartiere ebraico dove era richiesta una pausa alla leggerezza dell’essere in quanto incombeva una riflessione sulla triste memoria storica del popolo ebraico, vittima di una cattiveria epocale.

La maggior parte dei ragazzi, seri ma non troppo, hanno condotto la visita nelle sinagoghe forse in modo un po’ passivo. Non avevano un supporto storico-culturale adeguato per indurre riflessioni ed essere contagiati dal quel clima di tristezza che aleggiava intorno ai disegni dei bambini ebrei vissuti prima nei diversi ghetti e poi trasferiti negli odiosi campi di concentramento. 

Se trascuriamo le reazioni e i commenti fatti nel momento di indossare la kippah, tutta la loro visita mi è apparsa formale (dovuta perché era nel programma).

Per conto mio, ho girato per quei luoghi con in mente le scene raccontate da Primo Levi in “Se questo è un uomo”. Vi giuro che nonostante i miei quasi sessanta anni, ancora non trovo plausibili spiegazioni a ciò che in quel momento storico è successo.    

(continua nel prossimo articolo).

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