(continuazione dell'art. precedente)
I tre giorni successivi a quello di partenza trascorsero
molto velocemente, spesi nel girovagare nella terra di Jan Palach, intenti a provare
le emozioni legate al vivere una città con tradizioni diverse.
La lingua
inglese, grande scoglio scolastico, mostrava ora la sua reale utilità e coloro
che per anni avevano lesinato sforzi nel tentare di impararla, in quei giorni si
aggiravano tra bar e negozi come sordomuti, costretti ad usare la mimica per
ottenere una informazione o comprare un oggetto.
La città di Praga, come definita dalla
collega di religione, nel suo centro storico si presenta come una bomboniera;
bella di notte e intensamente vissuta di giorno.
Passeggiando tra le vie
ricolme di richiami d’ogni tipo, si nota la presenza di malaffare e di trappole
per turisti sprovveduti.
Giovani di colore, mani in tasca pronte a estrarre
qualcosa, si aggirano come ombre minacciose. Più volte è capitato che questi si
sono proposti agli ingenui ragazzi come venditori di merce pregiata o consiglieri
disinteressati.
L’obiettivo dei miei ragazzi era catturare le
attenzioni delle bellissime giovani praghesi. Purtroppo, l’approccio risultava
quasi sempre viziato dalla fretta di andare oltre i convenevoli.
Personalmente, ho trascorso il cuore di una
notte in discoteca con i ragazzi e mi sono divertito a osservarli nel loro
ambiente preferito.
Ho notato tanta energia venir fuori, tanta voglia di buttar
via l’adeguamento ad una vita fatta di regole e di routine.
La mia mente correva indietro nel tempo quando
alla loro età anch’io combattevo con me stesso per essere insieme con gli
altri.
Il volersi divertire non emergeva spontaneamente,
sembrava che lo si comandasse a venir fuori, a dispetto di una silente
abitudine a vivere in un certo modo, lontani dalla eccentricità e dalle
emozioni forti.
Sono rimasto incantato
per parecchi minuti, mentre il mio pensiero vagava sull’arco del tempo
costellato di ricordi.
I visi ridenti, sudati, erano i miei marchi della
gioventù; erano i segni di un mondo allora diverso da quello attuale ma con gli
stessi sentimenti e la stessa voglia di vedere tutto con gli occhi del cuore e
della gioia.
Sono sempre convito che fare l’insegnante è un
privilegio.
Vivere e relazionarsi con i ragazzi è anche un modo per invecchiare
piacevolmente.
Sicuramente concorderete con me affermando che lavorare in una
birreria è impossibile non assaggiare la birra e i ragazzi hanno molta birra in
corpo.
ETT: Luigi, ti stai allontanando dal tuo racconto.
LUIGI: E’ vero! Ormai, mi è impossibile
staccarmi completamente dalle mie riflessioni. Cercherò di rimettermi subito in
tema.
Per il secondo giorno era in programma la visita
al quartiere ebraico dove era richiesta una pausa alla leggerezza dell’essere
in quanto incombeva una riflessione sulla triste memoria storica del popolo ebraico,
vittima di una cattiveria epocale.
La maggior parte dei ragazzi, seri ma non troppo,
hanno condotto la visita nelle sinagoghe forse in modo un po’ passivo. Non avevano
un supporto storico-culturale adeguato per indurre riflessioni ed essere
contagiati dal quel clima di tristezza che aleggiava intorno ai disegni dei bambini
ebrei vissuti prima nei diversi ghetti e poi trasferiti negli odiosi campi di
concentramento.
Se trascuriamo le reazioni e i commenti fatti nel momento di
indossare la kippah, tutta la loro visita mi è apparsa formale (dovuta perché era
nel programma).
Per conto mio, ho girato per quei luoghi con in
mente le scene raccontate da Primo Levi in “Se questo è un uomo”. Vi giuro che
nonostante i miei quasi sessanta anni, ancora non trovo plausibili spiegazioni
a ciò che in quel momento storico è successo.
(continua nel prossimo articolo).
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