martedì 1 aprile 2025

Il “Bello” come forma di buon auspicio (Sartre)

Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoire

 

Jean-Paul Sartre è stato uno dei filosofi francesi più influenti di tutti i tempi. Figura di spicco della filosofia esistenzialista a cui si riferiscono molti episodi singolari della sua vita.

Si racconta che pur avendo vinto il premio Nobel 1964 in letteratura, si rifiutò di ritirarlo, giustificandosi così: “Nessun uomo merita di essere consacrato da vivo”.

Ma non fu l’unico premio a rifiutare, tra altri riconoscimenti, non accettò la “Legion d’onore”, la più alta onorificenza dello Stato Francese, e perfino di entrare a far parte del prestigiosissimo Collège de France.

Il pensiero di Sartre abbraccia un ampio campo di indagine, difficile da ricondurre ad un’unica corrente filosofica. Sebbene la sua vita si sia svolta in un preciso periodo storico, egli si impone come pensatore sempre attuale.
Nella sua vita frequentò anche gli ambienti psicoanalitici, entrando in contatto, tra gli altri, con Jacques Lacan. 

Si riporta perfino di una sua “singolare” conversazione con Lacan, nella quale Sartre raccontò della propria angoscia (grande tema della sua ricerca letteraria e filosofica) e di un sogno. Lacan rimase molto “perplesso” davanti a Sartre e lo invitò ad intraprendere un’analisi psicoanalitica.

Data la sua grande attività intellettuale e politica, Sartre viaggiò in lungo e in largo. Tuttavia, il filosofo non riusa mai a superare la paura di viaggiare in aereo.

Sartre racconta: “Ho preso l’aereo cento volte senza abituarmici. Di tanto in tanto la paura si risveglia – soprattutto quando i miei compagni di viaggio sono brutti quanto me; ma basta che ne facciano parte una bella ragazza o un bel ragazzo o una deliziosa coppia di innamorati e la paura svanisce; la bruttezza è una profezia; c’è in essa un certo estremismo che vuole portare la negazione sino all’orrore. Il Bello appare indistruttibile; la sua immagine sacra ci protegge; finché resterà tra noi la catastrofe non accadrà.”
La fobia di Sartre trova nel “Bello” un limite, un elemento capace di neutralizzare l’angoscia dovuta all’emergere dell’assenza di controllo davanti al rischio catastrofico, senza soluzione, dell’incidente aereo.
In questo passaggio autobiografico Sartre evoca uno degli scopi fondamentali che il “Bello2 permette di ottenere nel suo rapporto con il Reale della vita: disinnescare la sua emersione traumatica, evitare il suo imporsi distruttivo.

Per questo, Sartre aveva inventato una sorta di rituale, cercando, nella fila dei passeggeri, quel “Bello” che avrebbe potuto rispondere alla sua angoscia, agendo da buon auspicio per il volo.

Possiamo cogliere in questa dimensione del “Bello” una chiara marca difensiva, tale da ridurre l’esperienza estetica ad una sorta di funzione ordinatrice e riparatrice simbolica. Se c’è Bello, c’è protezione, c’è ordine e salvezza.

Lo stesso Freud aveva sottolineato come, ad un occhio maschile, la bellezza femminile potesse avere un valore fallico; nella bellezza delle donne, indica Freud, l’uomo troverebbe un velo capace di “annullare” l’angoscia di castrazione. Ecco ancora un certo uso della bellezza, come “velo”, limite che impedisce il contatto traumatico con la realtà.

In ogni forma idealizzata, spiritualizzata, disincarnata di bellezza possiamo vedere un processo simile: l’evitamento del dato corporeo come protezione dalla mortalità della carne.

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