ETT: Miliardi di miliardi di secoli addietro,
noi extraterrestri eravamo pressappoco come siete voi ora. Cioè, legati
indissolubilmente alla materia e come tali, il tempo e il divenire si divertivano
a creare momenti di agitazione e di pausa allo spirito intellettivo.
A quel tempo, anche noi sopportavamo la
tirannia della biologia e ci dimenavamo tra la nascita e la morte in un ciclo
ripetitivo fino alla noia.
Chissà quante volte questo ciclo si è interrotto a
causa del rallentamento della biologia o per capricci di un volere,
inspiegabile alla vostra ragione.
Ogni ciclo era occasionalmente influenzato da
cause esterne per cui esso introduceva nuove variabili nel panorama
conoscitivo. In un certo senso, puoi ricondurre questo concetto a quello di
evoluzione.
LUIGI: Ti Prego, amico mio, ragiona come se
fossi anche tu un umano.
ETT: Ci provo!
Devi ammettere, Luigi, che in assenza di
dolore, voi umani vi identificate con il pensiero.
Questo è immune al tempo; lo scrivete sui
libri; lo organizzate e lo strutturate in modo da dargli il significato di
scienza, filosofia, storia, eccetera.
Il pensiero è un frutto che voi considerate
umano e che finisce nella memoria postuma quando il corpo non esiste più.
LUIGI: Infatti, proprio per questo motivo
usiamo costruire monumenti, targhe e registrazioni varie, a supporto di una
memoria storica rivolta alle generazioni future.
ETT: Riesci a immaginare la possibilità per
l’umano di far “vivere” il pensiero staccato dal suo corpo?
LUIGI: Sì, nel caso della memoria storica.
ETT: Non intendevo quella!
Noi extraterrestri, siamo pensiero senza
corpo e riusciamo a dar forma all’apparire a nostro piacimento. Nei confronti
degli umani, quasi sempre ci mostriamo come vorrebbero vederci.
LUIGI: In altre parole, se io fossi stato
condizionato da qualche rappresentazione cinematografica, avrei potuto vederti
nelle sembianze di ET, così come Steven Spielberg ha sceneggiato?
ETT: Esattamente!
LUIGI: In che modo un pensiero si potrebbe
materializzare?
ETT: Usando qualche termine a te molto
caro, direi: attraverso la virtualizzazione del suo messaggio.
LUIGI: Non ti capisco!
ETT: Osserva un oggetto! Credi di vederlo davvero?
LUIGI: Se c’è luce, certamente!
ETT: Senza dei tuoi occhi, anche con la
luce ti sarebbe impossibile fissarlo!
LUIGI: Ovviamente.
ETT: Gli occhi, quindi, sono strumenti che
traducono ciò che vedi in un pensiero vestito con l’immagine.
Ribadendo lo stesso concetto con parole
diverse, direi che grazie alla tua biologia è possibile tradurre una realtà
esterna a te stesso in una virtuale, presente soltanto all’interno della mente.
LUIGI: Vuoi farmi intendere che ciò che
vedo non è reale?
ETT: Non proprio! L’oggetto che vedi è
reale nella misura in cui si rapporta a te stesso.
LUIGI: Allora dimmi perché tutti crediamo
di vedere lo stesso oggetto?
La prova sta nella capacità di descriverlo
esteriormente con grande precisione e di concordare totalmente nel giudizio.
Per esempio, una palla rossa è rossa per
tutti gli umani (tranne se ci sono problemi di daltonismo); nessun umano, sano
di mente, potrebbe negarlo.
Si potrebbe discordare sulla tonalità ma si
concorda sicuramente sul fatto che si tratti del colore rosso.
ETT: Ciò che vedi rosso e che è rosso per
tutti i tuoi simili, potrebbe essere qualunque colore a cui tutti voi umani, per
la stessa associazione, vi siete convenzionati dalla nascita.
Supponi che un uomo nasca cieco, in che
modo potresti descrivergli il rosso?
Quali argomenti useresti per fargli
intendere la differenza tra il rosso e il giallo?
LUIGI: Secondo questo ragionamento, il mio
rosso potrebbe non essere rosso?
ETT: Direi che il tuo rosso è il colore che
ti è stato qualificato come tale; non importa se poi sia o no il “rosso” di
tutti.
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