La piazza del mercato rappresenta nella metafora di Nietzsche lo scenario della vita comune dove si rappresenta tutta la farsa del vivere.
Nella frenesia del mercato troviamo sempre rumore e ressa; è il luogo in cui serve pubblicità, chiasso istrionico, strombazzamenti … allineati al gusto fieristico.
Il linguaggio della gente di mercato è un vero e proprio “fracasso”, una sgangherata gran cassa di parole buttate.
Siamo nel regno del “baccano” assordante dove ogni voce, se non è agitata, si perde nel sussurro: tutti parlano; fanno propaganda della propria saggezza con squillo di campane.
Tutti starnazzano e tutto viene logorato a forza di parole.
Nello sfodero dei fogli moneta i frequentatori si gonfiano di potere povero.
Nello sbraitare del mercato, ciò che conta non è parlare per essere ascoltati, ma per dire qualcosa, nonché sedurre e convincere.
La parola è strumento per confondere, per “far perdere la testa” alle masse incolte: in tal modo i compratori, capendo poco su ciò che è veramente grande o bello, esalteranno i loro incantatori, attribuendo falsi poteri e considerandoli legittimi padroni del loro momento.
Per
riprendersi da questa infezione collettiva occorre ritirarsi velocemente e
cercare il silenzio del mare.
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