È affollata la sala d'attesa. Lo è sempre. Mi agito
nervosamente, attenta a non toccare con il gomito la donna seduta accanto a me,
i cui polmoni gorgogliano a ogni respiro iperventilato. Ogni apparizione
dell'infermiera con un blocco per appunti attraverso la porta blindata, mi fa
accelerare il battito cardiaco, poi la noia, intrisa di angoscia, torna dopo
che il mio nome non è sato chiamato. Il ritmo tetro della sala d'attesa ritorna
e continuo a scorrere il mio cellulare.
Una bambina urla, con il viso
arrossato dalla febbre, ma nessuno le presta attenzione. Una coppia di anziani
siede immobile, i volti pallidi, entrambi con lo sguardo fisso a mille metri di
distanza in un abisso che solo loro possono vedere. Una giovane donna, alta e
tatuata, è assorta nel suo telefono, le sue lunghe dita bianche che scorrono
metodicamente alla ricerca di ulteriore distrazione dopaminergica.
Dopo un po' la porta si apre
di nuovo e l'infermiera chiama il mio nome.
"Come stai oggi?" mi
chiede, completamente ignara della mia agitazione. Poi mi accompagna in una
stanza claustrofobica dove le pareti sembrano la camera di tortura. Ma poi
vengo distratta da una presentazione di diapositive per il diabete e di statine
per il colesterolo e sono grata per la distrazione.
Mi siedo su una sedia e alterno l’accavallamento
delle gambe mentre aspetto il medico che mi informerà sui risultati della
biopsia. La mia ansia è fusa alla mia spina dorsale come un gemello coniugale
indesiderato ed è implacabile, ma stranamente inizia ad attenuarsi – e sono
sicura che siano le mie endorfine a offrirmi tregua dall'onda d'urto che mi
aspetto di ricevere.
Finalmente la dottoressa bussa, mentre
attendo tutta tremante, come il condannato che esorta il suo carnefice a
sbrigarsi con il suo lavoro. Lei entra nella piccola stanza, il suo lungo
camice bianco si contorce come una tromba d'acqua e una ventata di profumo
delicato mi sibila nelle narici, e i miei nervi si distendono un po' di più.
Sorride attraverso la mascherina e mi saluta con entusiasmo, e ora avverto un
barlume di speranza, perché sono certa che la dottoressa non si comporterebbe
in questo modo se sapesse che ho il cancro. Ma ovviamente è una mia presunzione.
La dottoressa si siede e digita
sulla tastiera con agile efficienza, ma non parla, e mi chiedo quale sia il
motivo del ritardo. La osservo ogni mossa, cercando indizi sottili e
all'improvviso mi rendo conto di non aver mai visto la dottoressa senza
mascherina, nemmeno in fotografia.
I miei sensi sono ipervigilanti e
sento odore di alcol denaturato provenire da qualche parte nell'angusto
cubicolo. Comincio a chiedermi se non abbia interpretato male l'ingresso
disinvolto della dottoressa e che abbia adottato un astuto stratagemma per
depistarmi prima di darmi brutte notizie.
La dottoressa spinge indietro la
sedia e si gira a metà verso di me, con l'aria di essere finalmente pronta a
parlare. Mi sporgo in avanti per assicurarmi di ascoltarla bene. Quindi, si
gira completamente verso di me e parla, con voce calma e ferma, un
atteggiamento più coinvolgente del solito.
"Sembra tutto a posto",
mi dice, "la biopsia è negativa. Non c'è cancro e sei fuori
pericolo."
Sono euforica e dico alla
dottoressa che non riesce a immaginare quanto io sia sollevata. Le spiego
che sono state settimane orribili e che potrei abbracciarla forte, e lei ride.
Cerco di fare un po' di umorismo nero e dire che "tutte le strade portano
al cimitero, ma non questa volta", ma lei non dice nulla. Poi mi chiede se
ho domande. Chiacchieriamo brevemente, poi si alza dalla sedia e mi porge la
mano.
La dottoressa apre la porta e una
folata d'aria fresca entra mentre la seguo alla reception. Guardo verso la sala
d'attesa e vedo una coppia di anziani con lividi al braccio causati da
iniezioni endovenose, ma parlano amabilmente e i loro volti trasudano calore.
La ragazza alta e tatuata non si vede da nessuna parte, ma c'è una giovane
madre di origine mediorientale che non avevo notato prima, che sta cullando
dolcemente il bambino che prima urlava. Come ho potuto non accorgermene? Mi
chiedo dove siano posizionate le antenne cellulari del mio cervello che
ricevono male.
Sono contenta che il mio buon
umore stia tornando, e mi rilasso abbastanza da sentire di nuovo la terra sotto
i piedi.
Mi avvicino alla macchina e fuori fa molto caldo.
Ci sono nuvole scure che si muovono minacciose da est, e penso che più tardi
pioverà e forse la temperatura si raffredderà un po'. Cerco le chiavi in
tasca, ma trovo solo un biglietto della lotteria spiegazzato che in qualche
modo avevo dimenticato. Controllerò quei numeri quando torno a casa, ma a
questo punto non ha molta importanza, perché in questo momento mi sento la
persona più fortunata del mondo.