martedì 4 marzo 2025

Il giocattolo "Universo"


La storia dell’uomo è anche quella dell’allargamento dei suoi confini legati allo spazio, al tempo e al sapere.

Dalle colonne d’Ercole, passando prima dalla scoperta dell’America, per poi toccare il suolo lunare, si è sentita la prima fase di uno spasimo conoscitivo dell’uomo.

Le ultime esplorazioni spaziali, condotte con le sonde che vagabondano per l’universo, ci fanno capire che c’è ancora molta strada da percorrere per giungere al confine materiale dell’universo.

I confini del tempo stretti da un passato brevissimo e da un futuro senza dimensioni, sono ancora da determinare e quindi, il valore del suo allungamento è impensabile. Se si vuole allungare qualcosa, è necessario avere coscienza della sua lunghezza.

Per quanto riguarda il sapere, non sarebbe necessaria nessuna spiegazione circa il suo espandersi, visto che non siamo nemmeno entrati nella fase del sapere.

Condizionati dai nostri limiti, possiamo solo presumere.

Implicitamente, questo stato di presunzione della conoscenza lo dichiariamo con continue dimostrazioni pseudo - logiche che si adducono a sostegno di tesi che nascono e rimangono nel mondo delle idee.

Per esempio, vi potrei chiedere: “Che valutazione dareste su un trattato che riguarda i giochi dei colori di luce, fatto da un comitato di miopi che hanno vissuto in ambienti chiusi, dove timidi raggi di sole arrivano solo a tratti?”.

Non c’è risposta a questa domanda!

Socrate diceva di essere consapevole di non sapere: lo presero per un matto, inebetito dalla senilità.

Cristo ha giustificato la stupidità degli uomini perché operano senza sapere quello che fanno.

Nel medioevo, in pieno stato confusionario, si uccideva senza un motivo evidente, forse per precauzione al pensare.

Per queste semplici ragioni è intuibile perché tutto è ancora in divenire.

La formica che si affanna a spostare la sua pagliuzza è lì, vicino a un bambino che gioca con la sua paletta. La mamma, seduta sulla base di vecchio tronco d’albero già da tempo abbattuto, attende il calar del sole. Lo sguardo al cielo apre la mente ai suoi pensieri cercando il più lontano possibile il motivo della vita.

Ed ecco che la vita, la morte, l’amore e il paradiso sono interrogativi che sorprendono.

Dante ha collocato l’inferno nelle buie, infuocate e paurose viscere della terra, il purgatorio sulle minacciose, fredde e faticose montagne, il paradiso nella serenità e calda lucentezza dei cieli.

Se permettete, io abolisco l’inferno, ma estendo il purgatorio, dalla nostra amata terra fino agli estremi confini dell’universo.

Il nostro Creatore, dopo che ha inventato un grande giocattolo, chiamato Universo, ha sparso un’altra sostanza, estranea alla materia, con cui è riuscito a produrre un amalgama. Questa, non si è sempre legata bene con tutti i corpi. Casualmente, ha visto che in certe condizioni, essa prende una consistenza più omogenea e tende a modificarsi, migliorandosi e trasformandosi. Questo meccanismo è stato così apprezzato, che il grande Regista, mantiene alto il suo interesse, seguendo con molta passione e pazienza il decorso.

Egli verifica continuamente il suo stato e lo aiuta, lo stimola, affinché possa attraversare con disinvoltura tutti i passi evolutivi.

Sta aspettando che arrivi il giorno in cui quella piccola nuvoletta, parte di se stesso, ritorni nell’area dell’ultrauniverso dominata dalla più alta essenza.

lunedì 3 marzo 2025

Spirito della materia


Gli antichi greci, poco distratti dall’ubriacante tecnologia odierna, constatando che si nasce e poi si muore in un ciclo eterno del divenire, hanno tentato di cercare un nome all’elemento base soggetto della continua trasformazione.

Talete era convinto che fosse l’acqua, visto che sul pianeta è presente in gran quantità. Anassimene vedeva l'origine di ogni cosa nell'aria, Anassimandro tagliando la testa al toro, lo chiamava il “Tutto”.

In ogni logica, dal passato fino a oggi, è presente sempre qualcosa a cui riferirsi e dai cui, per implicazione, ricavare le motivazioni per spiegare la transazione, il mutare, il cambiamento, di ciò che ci arriva attraverso i sensi.

Una semplice constatazione ci permette di fissare l’idea della forza come elemento del cambiamento. Prendete due oggetti, metteteli vicini su un tavolo e secondo la fisica, dovrei dire che si attirano. Posso convincervi di questo, se facessi cadere uno di loro per terra. Allora vi direi che il pavimento ha attirato l’oggetto caduto e se si è rotto, capirete anche che quell’attrazione è stata violenta; fatale per l’oggetto fino al punto che si è trasformato in oggetti più piccoli.

Vi potreste chiedere, dov’era tutta quell’energia quando l’oggetto era sul tavolo. Un fisico vi direbbe che gli oggetti possiedono energia potenziale, cioè quella che potrebbe spendere, ma che si riservano per certe condizioni (come cadere dal tavolo).

Tutta la trama esiste se abbiamo i due oggetti o con un’altra parola, i due corpi.

Se abbandoniamo i formalismi della scienza, possiamo sostituire la parola energia con spirito della materia.

Sforzatevi di immaginare uno spirito livellato in gradi di raffinatezza e dalla quantità di elementi che riesce a compattare. La quantità di materia per unità di volume (densità) diventa l’indice di qualità dello spirito.

Più materia si accumula, meno raffinato diventa e meno evidente si mostra lo spirito. Una pietra è il muto esempio di uno spirito qualitativamente scadente. L’anima, invece, è l’espressione della qualità di uno spirito confacente all’essere umano. Ogni altra espressione della natura denota uno spirito derivante dalla graduazione della sua densità.

Se accettate, anche per gioco, questi assunti, possiamo divertirci a guardare il mondo e poi l’intero universo, come un ordine di spiriti in eterno dilemma tra raccogliersi nell’universale e retrocedendo qualitativamente o disperdersi, raffinandosi e celebrando la nobiltà dell’universo. Questo motore ha una logica che non possiamo spiegarci perché ne facciamo parte. Però ci affascina, perché noi esseri viventi e umani, abbiamo il privilegio di “vedere” il nostro spirito (anima) mentre siamo ancora materia.

Istintivamente facciamo spesso riferimento a questo rapporto tra spirito e materia. Usiamo parole come “forza del pensiero”, “telepatia”, “sesto senso” e “la vita oltre la vita”.

Romantica è l’idea dell’anima che si stacca dal corpo e vola in Paradiso.

Il momento della morte è piacevole per l’anima che si libera della bruta materia ed è invece, terrorizzante per il corpo che deve provvedere da sola alla sua emancipazione. L’abbandono dell’anima dal corpo lo declassa e per questo è costretto a contrarsi in cenere per unirsi al terreno e tentare un’altra avventura.

In quest’ottica, il dolore è la manifestazione dell’opposizione che fa il corpo a lasciare libera l’anima. La paura del dolore è la formidabile invenzione irrazionale messa in opera dal costruttore dell’essere umano, con obiettivo di far mantenere nei cento anni, il sodalizio tra corpo e anima.

I racconti di pre-morte di alcune persone, sembrano confermare queste fantastiche supposizioni.

Nel 1954, a soli 22 anni, una donna fu in pericolo di vita a causa di una grave emorragia e difficoltà respiratorie. Ecco il suo racconto:

“All’improvviso mi sentii attirata verso l’alto da una forza molto potente: prima uscii dalla stanza, poi mi mossi a gran velocità verso una luce di forte splendore. Non avevo più dolori… All’improvviso mi fermai con l’impressione di galleggiare sull’acqua. Avevo sensazioni indescrivibilmente belle, di nostalgia, amore, pace e benessere; tutto era assolutamente meraviglioso. Non sapevo dove mi trovavo, ma non importava, sapevo solo che volevo restarci per sempre. Ero sola, ma non mi sentivo tale. Sapevo che dovevo aspettare finché non fosse venuto qualcuno a parlarmi e sapevo anche, che da incommensurabili distanze, qualcuno stava venendo e si avvicinava a me a velocità inimmaginabile. Mi trovavo in un mondo sconfinato di nulla totale, dove esistevo soltanto io. La luce verso cui prima mi dirigevo, adesso era ovunque intorno a me: non più così sfavillante, ma più morbida, più dolce. Mi sentivo incredibilmente bene. Ora sentivo che qualcuno si avvicinava a me, superava i confini del mondo (o dello stato di coscienza?) in cui mi trovavo. Sapevo anche che stava venendo da destra rispetto a me. In pochi secondi lui entrò nel mio mondo, da una distanza di cento, mille anni luce; mi venne accanto e mi prese la mano destra. Appena mi ebbe preso la mano, io seppi che era il miglior amico che avevo. Seppi anche, che io ero una persona speciale per lui. Il brivido che mi percorse quando le nostre mani si toccarono, non è paragonabile a niente di ciò che avevo sperimentato sulla terra, nella vita che conosciamo… ”.

Se qualche brivido vi ha percorso la pelle, apprezzatelo!

È la vostra anima che si fa sentire attraverso quel rude strumento del vostro corpo.

MARINO e gli amici delfini

 

In un pittoresco paese incastonato sul mare della Croazia, abitava un bambino con occhi azzurri e capelli biondi.

Marino, così lo avevano chiamato i suoi genitori, amava molto il mare e ogni giorno la prima cosa che faceva prima di andare a scuola, era fare una nuotata rigenerante nelle fresche acque della baia di fronte casa sua.

Una mattina, scendendo il pendio che portava alla spiaggia di sabbia bianchissima, notò qualcosa di molto strano: due piccoli delfini erano distesi sulla riva uno accanto all’altro e sembravano addormentati.

Marino si avvicinò per controllare che stessero bene, ma quando si sedette accanto a loro per accarezzarli, vide che entrambi piangevano.

“Amici delfini, cosa vi è successo? Come mai siete finiti qui, fuori dall’acqua?” – chiese preoccupato.

Uno dei due spalancò gli occhi ed emise un suono soffocato come se qualcosa gli impedisse di parlare. Cercò anche di muoversi ma era esausto e riuscì a spostarsi  soltanto di qualche centimetro.

Guardando meglio Marino notò che dalla bocca del delfino spuntava un involucro di plastica arrotolato e capì che doveva intervenire subito per far respirare meglio il piccolo cetaceo.

“Ora vi aiuto io” – aggiunse mentre tirava con cautela una busta trasparente dalla bocca di entrambi i delfini.

“Grazie!!” – risposero dopo aver respirato profondamente – “ci hai salvato la vita, non riuscivamo quasi più a respirare. Come ti chiami? Noi siamo Joan e Luna.” disse Joan già rinfrancata..

“Io mi chiamo Marino. Ma come avete fatto ad arrivare quaggiù?”

“Eravamo in giro con il nostro papà, stavamo mangiando del plancton quando all’improvviso qualcosa di trasparente e gelatinoso ci è entrato in bocca e ci siamo sentite soffocare. Non riuscendo a nuotare bene, la corrente ci ha sospinte sulla spiaggia, mentre papà si allontanava credendo che fossimo dietro di lui.” – raccontò Joan guardando sua sorella Luna.

“Che sventura! Sono così dispiaciuto per voi. Ora però il peggio è passato, dovete riprendere le forze e tornare in mare aperto. Tra poco arriverà l’alta marea e sarà più facile riprendere il largo”.

Marino si posizionò tra i due delfini e cercò di aiutarli ad andare in acqua.

Luna, ripresa un po’ dalla stanchezza, ringraziò anche lei timidamente il bambino. Poi gli disse: “Verresti con noi a cercare nostro padre?”

“Certamente!” – rispose con entusiasmo – e così dicendo salì in groppa a Joan e insieme cominciarono a nuotare.

Appena arrivati in mare aperto, Marino cercò di guardare il più lontano possibile con il suo binocolo e presto avvistò un gruppo di delfini adulti probabilmente rimasti nei paraggi con la speranza di ritrovare i piccoli che si erano persi.

“Tieniti forte! Ora li raggiungiamo”  – gridò Joan e cominciò a nuotare più velocemente.

Luna li seguiva poco distante e appena ritrovato il papà subito disse: “Papà, papà eccoci qua. Stiamo bene. Siamo salve grazie a questo bravissimo bambino! Senza di lui non ce l’avremmo mai fatta!” - aggiunse raccontando la loro disavventura.

“Ti saremo per sempre riconoscenti. Non tutti si sarebbero comportati come te” – rispose papà delfino – “A molte persone non interessa nulla di noi. Sapessi quanti pesci muoiono ogni anno perché ingeriscono rifiuti di plastica e di altro genere che voi umani lasciate finire in mare senza rispetto”.

Nella voce di papà Delfino c’era tanta tristezza. Aveva perso molti amici a causa dell’inquinamento.

Anche Marino si rattristò. “Non credevo fosse così grave il problema dei rifiuti. Eppure tutti gli abitanti del paese che conosco amano molto il mare”. 

“Purtroppo molte persone lo usano quasi come una discarica, non curandosi dei danni che possono provocare” – intervenne dagli abissi Sua Maestà Nettuno che,  grazie ai suoi poteri magici, aveva seguito tutta la vicenda.

“Aiutaci Marino, fa capire a tutti gli abitanti del paese che devono essere più rispettosi dell’ambiente!” – dissero Joan e Luna.

“Farò del mio meglio. Appena rientrato a casa mi metterò all’opera“.

“Ti vogliamo bene Marino,  siamo felici di averti conosciuto” – gridarono tutti i delfini, salutando allegramente con le pinne.

Joan riportò il bambino verso il paese, lasciandolo in una caletta diversa dove l’acqua era più profonda per non rischiare di rimanere incagliata e Marino raggiunse la riva a nuoto.

Qui si rese effettivamente conto di quanto grave fosse il problema dell’inquinamento: quella spiaggia, molto vicina alla strada, era piena zeppa di rifiuti di ogni tipo. Bottigliette di plastica, lattine, cartacce, cocci di vetro e una miriade di mozziconi di sigarette infestavano  la sabbia ed erano dispersi ovunque.

Marino rimase allibito alla vista di quello scempio e promise a sé stesso che avrebbe fatto di tutto per porre rimedio a quel disastro.

Appena arrivato a scuola informò i suoi insegnanti di quello che era accaduto e propose di organizzare una campagna di sensibilizzazione per tenere pulite le spiagge del paese.

Gli insegnanti furono subito entusiasti ma alcuni suoi compagni non volevano aderire al progetto.

“Perché dobbiamo raccogliere noi rifiuti che hanno buttato altre persone?” – esclamarono contrariati alcuni di loro.

“Anche se non siamo stati noi, possiamo essere di esempio agli altri. E poi, ripulendo le spiagge tutti quei rifiuti non metteranno più in pericolo la vita di moltissimi animali marini” – ribattè Marino con occhi pieni di speranza.

Così, il giorno dopo, un bel po’ di gente, attrezzata di guanti,  sacchi e tanta buona volontà,  lavorando di gran lena fino all’ora prima del tramonto, ripulì tutte, ma proprio tutte  le spiagge del paese.

Anche il Sindaco, vedendo i cittadini all’opera, volle dare il suo contributo: fece dotare tutte le spiagge di numerosi contenitori per la raccolta differenziata da utilizzare in modo che i rifiuti non finissero più in mare.

E non solo. Impose anche multe “salate” a chi non avesse rispettato le regole anti-inquinamento.

Marino era proprio orgoglioso di quello che era avvenuto in seguito al suo suggerimento.

Una sera, mentre faceva il bagno nella sua baia preferita, sentì il fischio dei delfini poco lontano da lui. Alzò lo sguardo, nuotò un po’ più avanti e riconobbe le sue amiche Joan e Luna che lo salutavano saltellando nell’acqua.

Sicuramente quello era il loro modo di ringraziarlo a nome di tutti gli animali marini.

Però la storia non finisce qui…

Anche sua Maestà Nettuno volle lasciare un segno di profonda gratitudine a quel bambino coraggioso e intraprendente e fece una piccola magia: da quel giorno, tutte le volte che Marino guardava il mare o si prodigava per aiutare gli amici delfini, i suoi capelli diventavano blu, azzurri e verdi proprio come i meravigliosi colori del mare.
 
di Giovanna Sgherza

sabato 1 marzo 2025

Perdere la fiducia

 

Perdere la fiducia nel prossimo è una malattia mortale.

Si bruciano i germogli della speranza, si chiudono gli occhi dell’ottimismo, si stabilisce un calmo e sterile buio interiore.

Ci si sente soli muovendosi tra la folla.

Brevi frasi fatte con le stesse parole, ripetono esperienze vuote di entusiasmo, spente di passione e prive di sentimento; si muore rimanendo nel corpo.

La lenta progressione della malattia è silenziosa, si cela dietro gli steccati seriosi del lavoro, degli sfortunati eventi di vita che producono menomazioni fisiche o psicologiche.

Il bisogno di vivere insieme e di legarci con i sentimenti in una comunione che va oltre la nostra ragione, trapela dalle abitudini e dalle tendenze comportamentali.

Vogliamo inconsapevolmente stare insieme, come la terra che ci fa roteare con sé e contemporaneamente intorno al sole, ci porta in giro per l’universo.

La forza di gravità agisce come una potente calamita, costringendoci a rimanere attaccati alla superficie e imitando così, la forza dell’amore che lega le anime.

Solo per questo motivo capisco perché si inumidiscono gli occhi al più piccolo gesto di tenerezza; capisco da dove vengono tutte quelle emozioni che la musica, la poesia e l’arte tutta, inducono.

Capisco, anche, perché darei tutto me stesso a chi chiede solo un abbraccio.

Il genere umano ha avuto un grande dono che, per la sua stessa grandezza, gli appare invisibile; si tratta della capacità di emozionarsi.

Non emozionarsi significa amputarsi la parte migliore del proprio essere.

La morte, almeno per i Cristiani, è un varco di frontiera tra la terra e il Paradiso; un passo necessario ma comunque transitorio, mentre la morte delle emozioni conduce a uno stallo esistenziale perenne.

Uno stimato scrittore (Paul Auster) che porta in sé alcune cicatrici di questa malattia, scrive quanto segue:

"Credo nonostante tutto che ogni persona sia sola tutto il tempo. Si vive soli. Gli altri ci stanno intorno, ma si vive soli. Ognuno è come imprigionato nella sua testa e tuttavia noi siamo quello che siamo solo grazie agli altri. Gli altri “abitano” noi. Per “altri” si deve intendere la cultura, la famiglia, gli amici. A volte possiamo cogliere il mistero dell’altro; penetrarlo è talmente raro! È soprattutto l’amore a permettere un incontro di questo genere. Circa un anno fa, ho ritrovato un vecchio quaderno dei tempi in cui ero studente. Lì prendevo appunti, fermavo delle idee. Una citazione mi ha particolarmente impressionato: -Il mondo è nella mia testa. Il mio corpo è nel mondo-. Avevo diciannove anni e questa continua a essere la mia filosofia."

Gli altri “abitano” noi, se siamo in grado di accoglierli, se la malattia non ha murato gli ingressi.

Tutto ciò che l’uomo scopre, è sempre un passo dopo il precedente. Il passo successivo non si sa dove ci porta, però, se mosso dal bene, sicuramente quel luogo sarà migliore di quello in cui viviamo oggi.

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