sabato 25 maggio 2024

Parole mute

 

 
I rumori della vita sono troppo intensi, specialmente quando si ha vent'anni. Tento di parlare con il cuore, molte volte però, le parole escono distorte, irriconoscibili, in alcuni casi, forse mute. Testardamente e senza aggiungere nulla di diverso, insisto a ripeterle, credendo che con un tono di voce più caldo o con un ardore più vivo, si possa ottenere un'attenzione più profonda.
Purtroppo, non ci sono orecchie pronte ad intercettare il significato di quella veemenza che giunge con il sapore di vecchiume.
Si incrociano soltanto sguardi muti, idee inespresse e speranze ingurgitate nel silenzio dell'attesa di cenni d'intesa.
Questi sono stati momenti miei o ora sono vostri, chiusi nel mistero dell'età giovanile.
Con il ruggito di un leone ferito, chiudo nella speranza l'illusione di offrire uno spiraglio della mia esperienza, nella consolazione di aver lasciato l'ombra del mio essere nella scia del ricordo di una maturità sofferta e allo stesso tempo, colma di tanta vita.

venerdì 24 maggio 2024

Il senso delle parole

 


 
Il senso delle parole può essere ambiguo due volte. 
La prima, per via del significato formale frainteso o confuso. La seconda, per una refrattarietà e/o per deformazioni naturali degl'organi sensoriali dovute a tantissimi fattori che impediscono di “sentire” il significato.
Il grado di attenzione, quasi sempre, è uno zoom sull’area di interesse, cioè, una misura di ingrandimento dell’immagine "pensiero", che nulla aggiunge all’informazione originale, se non la ricchezza dei particolari riscontrati.
Per chiarire la mia idea, vi sottopongo una serie di parole che, formando una frase a senso compiuto, dovrebbero trasmettere un messaggio:
Saper riconoscere la nostra responsabilità affinché gli eventi si realizzino”.
Per qualcuno, questa frase sembra discendere dalla fantasia, per altri dalla filosofia (definita malignamente, la scienza delle cose inutili). 
Per tutti, invece, assume un significato diverso, proiettato nell’ambito contestuale dove solitamente la propria psicologia si focalizza.
Il livello di comprensione è misurabile con un numero compreso da zero a indefinito, in relazione all’età, alla cultura, allo stato psicologico del momento, allo stato di salute, alle menomazioni e a qualunque altro elemento disturbatore del profilo emotivo.
Usiamo tantissimo le parole, ci arrivano da moltissime fonti e in forme diverse. Siamo bombardati da dati e istruzioni. Le scienze sono castelli montati con le parole. La tecnologia le combina e, come in un gioco di magia, crea nuove formule per produrne altre.
Dante si è ritrovato nella selva oscura nel Medioevo, dove potremmo trovarci noi, ora?
Saper riconoscere ciò che è meglio per noi stessi in ogni momento di vita è un’abilità da coltivare, imprescindibile in una società che si muove ed evolve con le parole. 
Essa conduce all'unica felicità consentita all'imperfetto essere umano.
 

mercoledì 22 maggio 2024

Essere cattivi, perchè?

 

La cattiveria?
Chissà da quale angolo sperduto dell’universo sarà giunta!
La cattiveria è una malattia dell’anima molto difficile da curare.
Essa ha bisogno dei santi per combatterla. 
Si innesca nel cuore degli uomini per debolezza dello spirito e per la sfortuna di nascere nel momento e nel luogo sbagliato. Subire una cattiveria è come scoprirsi sotto una doccia gelida … e non puoi farci nulla! 
Ti rendi conto di quanto si possa rimproverare ad un essere umano e di quanta naturalezza esiste nel mondo degli animali.
In qualità di tecnico, ho imparato a non dimenticare che ogni soluzione a qualunque problema conserva vantaggi e svantaggi. Ammaliati dai vantaggi, spesso gli svantaggi ci appaiono piccoli e trascurabili ma che nel momento giusto mettono in forse il giudizio iniziale. Se per godere della consapevolezza bisogna convivere con la cattiveria, allora qualcuno potrebbe rinunciarci.
Vi confesso che mi sforzo tantissimo nel vestire i panni di colui che è preso dalla cattiveria, ma non trovo né una spiegazione plausibile né il gusto per esercitarla. 

Tento di filosofare su possibili motivazioni, ma ho l’impressione di vagare come uno stupido in un campo dove non esiste la razionalità. Nello scavare sul fondo dei pensieri mi è facile perdere nella fantasia o nei ricordi infantili. Allora, quando giocavo con le formiche o soffiavo sulle corolle dei piccoli fiori per figurarmi il polline, forse ero cattivo?
Io ero grande e potente mentre quei piccoli esseri correvano indifesi per trovar rifugio. Improvvisamente mi rendo conto che forse il cattivo è un bambino che non ha mai giocato con i fiori, le lucertole e le farfalle.
Quel bambino, ora adulto cattivo, non ha avuto modo di vivere la tenerezza dei sentimenti più semplici; non ha sentito la dolcezza di una carezza o l’ebbrezza di sentirsi amato e padrone di un mondo tutto da scoprire nel clima dell’Amore.
 

Un inguaribile ottimista

 

Nella vita siamo attori protagonisti di un film che ci giriamo nella testa e del quale alcune scene tentiamo di condividere con illusorio successo.
Un esempio è ricavabile dalla qualità dell’attenzione che riusciamo a catturare nei momenti in cui vogliamo “istruire” il mondo esterno attraverso il colloquio. È nostra convinzione che non esiste nulla di più importante di ciò che vogliamo esprimere e contemporaneamente, non esiste nulla di più irrilevante di ciò che ci viene riferito. Desideriamo che Il nostro mondo, tutto colorato e sempre interessante, brilli e appaghi la inconsapevole volontà di potenza presente in gran quantità nella psicologia individuale.
Tutto questo emerge e condiziona qualunque assembla convocata per discutere qualsiasi problema e cercarvi una soluzione comune condivisa. In questi casi, esattamente come aria che riempie il vuoto, il nostro film vorrebbe imporsi nella sala cinematografica delle riunioni. I dibattiti vivaci, noi vorremmo trarli dalle nostre trame, cosicché si apprezzi il lavoro del regista e si rimanga impregnati dall’empatia degli attori.
Mi è capitato di partecipare a molte assemblee dove i decibel erano le unità di misura dell’importanza dei concetti esposti e dove per catturare l’attenzione bisognava presentarsi come giocolieri delle parole. 
In queste occasioni, mi illudevo che qualcuno dei partecipanti avesse veramente interesse per quanto potevo illustrare. 
Il tempo della precaria attenzione era proporzionale alla pazienza dell’ascoltatore e al senso dell’educazione al colloquio. Scoprivo a posteriori che parlavo a me stesso e che riempivo solo vuoti temporali nello spazio assembleare.
Lo scoraggiamento conseguente alla presa di consapevolezza di tale realtà diventa mortificazione quando l’obiettivo della riunione si perde nella nebbia delle possibilità o fraudolentemente si ignora dietro il sipario delle buone intenzioni.
Non si può immaginare, invece, come sia meravigliosamente magico parlare a persone a cui piace ascoltarti e vuole capire fino in fondo ciò che stai esponendo. 
Queste persone hanno gli occhi incollati sulla tua bocca e il pensiero in continuo combattimento con il sentimento. 
Queste non stanno preparando un’obiezione, ti confermano l'ascolto con assensi impercettibili che ti fanno intendere di seguire il filo logico, non interrompono perché attendono di cogliere il momento giusto affinché sia tu a permettergli di parlare. 
Le pause diventano opportunità per manifestare emozioni e gareggiare con atti di generosità.
Ultimamente ho avuto un incontro etichettato con la parola “feedback” per la celebrazione di un evento concluso. Vi confesso che l’incontro è stato piacevole per la presenza di dolcetti degustativi, ma non ricordo tuttora a quale scopo è servita la mia partecipazione. 
Pensando a ciò che mi ero proposto di riferire all’assemblea, continuo a ridere come un matto, per come continuo a essere un inguaribile ottimista.
   

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