venerdì 1 dicembre 2023

Il re e le figlie invidiose

 

 

Molto tempo fa viveva un vecchio re che era molto triste. E perché non dovrebbe essere così? Soffriva da molto tempo di una malattia dolorosa. Nemmeno i migliori medici del suo regno o di altri vicino avrebbero potuto trovare un rimedio. La malattia lo indebolì facendolo continuamente soffrire. Non sapendo cos’altro fare, diffuse un comunicato nel regno promettendo sua figlia in sposa a chi lo avesse guarito.

Un giorno, un giovane apparve alla corte reale e rese omaggio al re.
“Cosa vuoi?” Chiese il re, ansioso di ascoltare chi potesse alleviare il suo dolore.

"Buon Dio, mi hanno detto che siete malato e che cercavate qualcuno che sapesse curarvi. Io conosco una medicina che vi potrà aiutare. Vi chiedo di lascami provare."

Il re e i suoi cortigiani erano titubanti all’inizio. Ma l’uomo sembrava convincente e sicuro di ciò che diceva e poi il re soffriva da già molto tempo per cui provare anche senza convinzione del buon risultato era anche accettabile.

Dopo un po' di riflessione, il re acconsentì. A quel punto, il giovane, dopo aver osservato i sintomi della malattia, preparò il suo farmaco e ne stabilì una accurata posologia. Ogni dose doveva essere assunta soltanto in seguito a pur lievi benefici riscontrati.

Dopo la prima dose al re girava la testa come una trottola. I cortigiani iniziarono a preoccuparsi ma il giovane medico assicurò che presto si sarebbe ripreso.
E veramente il re si riprese! Il miglioramento fu evidente per cui la somministrazione del farmaco procedette secondo pianificazione. Ben presto il grande monarca si alzò in piedi. La sua malattia sparì e ringraziò il giovane un milione di volte per la sua genialità. Come promesso, fece lo sposare con la figlia più giovane, Giada. La ragazza fu molto triste quando seppe che doveva sposarsi un popolano. Ma la notte dopo il suo matrimonio, cambio atteggiamento; era felicissima di vedere il suo sposo seduto nel suo letto. In realtà, il giovare era un principe di un regno lontano che aveva saputo della straordinaria bellezza di Giada. Si trattava di Samir, figlio di uno dei prestigiosi re orientali giunto nel regno appositamente per lei. Le altre figlie del re non si spiegavano il motivo di questo cambiamento di umore nel confronto dello sposo. Una notte, in assenza di Samir, entrarono nella stanza della sorella e le imposero la spiegazione.

Quando seppero la verità l’invidia prese il suo corso. Le due figlie, da sempre invidiose delle grazie di Giada a causa della sua straordinaria bellezza, decisero di avvelenare il proprio padre pur di incolpare Samir come responsabile della sua morte e quindi, poi farlo imprigionare e giustiziare.   

L’occasione si presentò nell’ora di pranzo. Jasmin, la figlia maggiore del re, volle presenziare la preparazione delle pietanze prima che queste fossero servite. Danil, coperta dalla sorella, colse l’attimo per versare del veleno nella coppa riservata al re.

Il caso volle che quando il re stava per bere il veleno, un movimento maldestro del braccio fece cadere il calice per terra. Il gatto che solitamente faceva compagnia al re, non perse tempo nel sorseggiare da terra quel nettare. Già molte altre volte il re ne aveva versato un po’ per dar gradimento al suo animale affezionato. Quella volta, però, il gatto, prima si contorse e dopo pochi spasmi e rotoloni sul pavimento, morì.

Il re spaventato e infuriato convocò i suoi servitori per individuare chi avesse voluto avvelenarlo.

“Chi è stato a mettere il veleno nel mio vino?” urlò “vi farò frustare fino alla morte se nessuno di voi parlerà”.

Nessuno dei servitori sapeva nulla. Uno di loro disse: “Maestà, noi siamo tutti tuoi fedeli devoti. Ci hai dato tutto il necessario per servirti al meglio, perché avremmo dovuto avvelenarti? Le principesse erano presenti mentre si preparava il pranzo. Loro potranno confermarvi che non abbiamo fatto nulla di male.”

Il re si innervosì, e urlò ancora: “Se non siete stati voi, chi può essere stato?”

Un altro servitore si fece coraggio perché stava per qualcosa di cui il re si sarebbe ancora di più infuriato. A capo chino disse: “Maestà, non mi crederete, ma ho la prova che qualcosa la principessa Danil dovrebbe sapere.”

Il re sbigottito, guardò minacciosamente il servitore e domandò: “Quale prova hai, malefico impertinente, per accusare mia figlia?”

Il servitore si fece piccolo; allungò il braccio per indicare una direzione e disse: “Maestà, la principessa Danil ha una macchia sulla parte bassa della veste. Quando lei ha versato il veleno nella coppa, non ha fatto caso alla goccia caduta.”

Il re si avvicinò alla figlia e osservò da vicino la macchia. Poi chiamò un esperto di corte e chiese: “Questa è una macchia di veleno?”

L’esperto, la analizzò attentamente e non ebbe dubbi dicendo: “Sì! Maestà, il colore è identico a quello che il veleno lascia sugli indumenti dei condannati a morte.”

A questo punto, la principessa Danil si inginocchiò davanti al padre e piangendo, disse: “Confesso, padre sono stato io. Fai di me quello che vuoi!”

Accanto a Danil si inginocchiò anche la principessa Jasmin, confessando la sua complicità con la sorella.

Attentare alla vita del re significava morte sicura per qualunque suddito. Il re, però, non voleva perdere contemporaneamente le due figlie, e chiese: “Datemi un motivo valido affinché io possa perdonarvi.”

Jasim, rispose: “Siamo state acciecate dall’invidia verso Giada. Abbiamo stupidamente pensato di indurre la colpa al suo sposo.”

Danil aggiunse: “Perdonaci, Padre. Qualunque punizione che deciderai di darci, sarà quella giusta.

Il padre, triste e deluso per la pochezza d’amore delle sue figlie, emise il suo giudizio: “Non posso darvi la punizione che meritate perché siete mie figlie, ma da questo momento perderete ogni onore di corte e vivrete con umiltà. L’invidia è una debolezza dell’anima, sintomo di tardiva maturazione.  Quando mi sarà riferito di nuovo vostro spirito d’animo rivedrò a mia decisione.”


mercoledì 29 novembre 2023

Il sogno di una stella


 

Due fratellini, Giason e Solei, amavano passeggiare insieme; discutevano di ogni cosa. Si chiedevano tutto il giorno come e perché la natura fosse così varia e colorata. Si meravigliavano della bellezza dei fiori; si stupivano dell’altezza e dell’azzurro del cielo; si meravigliavano della profondità de mare; si sorprendevano della bontà e della potenza di Dio che ha reso il mondo adorabile.

Ipotizzavano situazioni fantasiose. Per esempio, si chiedevano come sarebbe la terra senza i fiori, l’acqua e il cielo; i bambini si sarebbero dispiaciuti? Credevano fermamente nella magnificenza della natura. Si dicevano l’un l’altro che i boccioli erano i figli dei fiori; i piccoli ruscelli giocosi che scendono lungo le colline erano i figli dell’acqua; e le più piccole macchie luminose che giocano a nascondino nel cielo tutta la notte, dovevano essere sicuramente i figli delle stelle. Tutta l’umanità sarebbe addolorata per la loro mancanza.

In particolare, notarono chiaramente una stella splendente che all’imbrunire della sera, appariva nel cielo prima di tutte le altre; sorgeva vicino alla guglia della chiesa, sopra le tombe del piccolo cimitero di paese. Era la più grande e la più bella di tutte. Ogni notte i due fratellini si affacciavano alla loro finestra e in piedi, mano nella mano, la guardavano. Tra di loro gareggiavano per stabilire chi riusciva a scorgerla per primo. Spesso si udiva la vocina che gridava: “Eccola! È lì! L’ho vista!” A volte gridavano insieme. Così la stella e i due bambini divennero amici inseparabili. Prima di sdraiarsi nei loro letti, davano l’ultimo sguardo fuori dalla finestra, per darle la buonanotte; e quando si giravano sotto le coperte per dormire, dicevano: “Dio benedica la stella!”

Era ancora giovanissima Solei quando si ammalò; divenne così debole che non poteva più stare alla finestra. Giason, tristemente da solo, continuava ad affacciarsi dalla loro stanzetta come se avesse la sorella accanto. Al primo segno, esultava con la meraviglia di sempre: “Eccola! È lì! L’ho vista!”.

La piccolina, molto pallida in viso, si sforzava di esultare con lui. E poi, sorridendo e con flebile voce rispondeva: “Dio benedica mio fratello e la stella!”

Giunse il momento funesto quando Solei salì al celo come un Angioletto. Sì! Purtroppo, quell’appuntamento arrivò troppo presto! Nonostante il dolore per l’assenza della sorella, Giason non cambiò le sue abitudini. All’imbrunire, da solo, nella stanzetta, il suo sguardo volgeva al cielo.

Tristemente sapeva che con lui non c’era nessun viso verso cui rivolgersi per annunciare la stella; lei non era più nel letto accanto al suo. Sapeva che nel cimitero si era aggiunta un’altra tomba; si scorgeva attraverso le lacrime illuminate dalla stella; quei raggi, così luminosi, sembravano aprire una scia luminosa che univa la terra al cielo.

Una sera, Giason andò al suo letto solitario e sognò la stella. La rivide raggiunta da una lunga scia luminosa. In fila indiana, sulla scia, vedeva salire persone accompagnate da angeli; entravano ordinatamente nella stella. L’ingresso si apriva creando un alone pieno di luce. Qui attendevano altri angeli che con sguardi raggianti accoglievano con amore ogni nuovo arrivato.

Alcuni riconoscevano tra gli angeli i loro cari. Gli incontri erano molto affettuosi: si abbracciavano e si baciavano teneramente per poi allontanarsi insieme lungo vie di luce. Erano gioiosi e commoventi. Giason partecipava alle scene piangendo di gioia.

Un angelo accompagnava Solei che era tutta intenta a scrutare i visi dei nuovi arrivi. Giason riconobbe sua sorella e si emozionò.

La vedeva mentre le persone scorrevano all’ingresso della stella. Solei chiedeva ripetutamente all’angelo: “Mio fratello è venuto?” E lui rispondeva “No”.

D’allora in poi, il Giason guardò la stella come la casa dove un giorno sarebbe andato, quando sarebbe arrivato il suo momento; e pensò di non appartenere soltanto alla terra, ma anche alla stella, perché sua sorella era lì.

Nacque il fratellino di Giason, ma non era ancora riuscito a pronunciare la prima parola quando un’improvvisa malattia lo spense.

Ancora una volta Giason sognava la stella aperta, e la compagnia di angeli, e il treno di persone, e le file di angeli con i loro occhi raggianti rivolti sui volti di quelle persone.

Solei domandò ancora al suo angelo: “Mio fratello è venuto?”

E lui rispose: “Non è Giason, ma un altro tuo fratellino”.

Giason, dal suo letto, gridò: “Oh, sorella, sono qui! Prendimi!” E lei si voltò e gli sorrise, mentre la stella diffondeva bagliori luminosi.

Giason divenne giovane, ed era impegnato con i suoi libri quando gli fu annunciato la morte della mamma. Di nuovo di notte vide la stella, e tutta quella compagnia. La domanda di Solei rivolta al suo angelo accompagnatore, fu ripetuta: “Mio fratello è venuto?” E lui rispose: “No, è tua madre."

Un potente grido di gioia si sentì attraverso tutta la stella, Solei allungò le braccia e gridò: “Oh, mamma, sei qui con me, ora!” Giason si rivoltò nel letto allargando le braccia, volendo sentirsi compreso in quel abbraccio sulla stella.

Così il bambino Giason divenne un vecchio e il suo viso, una volta liscio, era rugoso, e i suoi passi erano lenti e deboli, e la sua schiena era piegata. E una notte, mentre si abbandonava sul suo letto, i suoi figli vegliavano su di lui; pianse, come aveva pianto tanto tempo fa, e sussurrava: “Vedo la stella, eccola! È lì! L’ho vista!”

Si sentì una voce commossa nella stanza che diceva: “Sta morendo”.

Giason ebbe la forza di rispondere: “Lo sono. La mia età sta cadendo da me come un indumento, e mi sto muovendo verso la stella. Padre mio, ora ti ringrazio. Finalmente mi hai aperto la stella.”

 Poi, rivolgendosi alla sorella, pronunciò le sue ultime parole: “Solei, sto arrivando!”

 Ogni sera quella stella illumina ancora quel piccolo cimitero; riflette e fa brillare le tombe dei due fratellini. 

 

martedì 28 novembre 2023

I chiodi nell'anima

 

 

Pasquale aveva un brutto carattere. Sua moglie subiva le sue reazioni nervose spesso accompagnate da parole pesanti. Lei era di animo buono, non era capace di rispondere a tono alle offese del marito e quindi finiva per sfogare il suo dolore nel pianto. Con il tempo, Pasquale si fece più saggio, ma aveva spento l’entusiasmo della moglie. I rapporti erano diventati freddi, formali. Lei poneva più attenzione nel parlargli e se era possibile si chiudeva nel silenzio.

In questo modo, i momenti di rabbia di Pasquale diminuirono ma continuavano a presentarsi. Si rivolse al padre anziano per chiedere consiglio su come poter rimediare a questo suo cattivo comportamento.

Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse: "Ogni volta che perdi la calma, devi battere un chiodo nella parte posteriore della tua recinzione". Pasquale non comprese il motivo per fare questo lavoro, ma volle in ogni modo attenersi al consiglio del padre.

La prima settimana l’uomo ne fissò cinque. Nelle settimane successive, mentre imparava a controllare la sua rabbia, il numero di chiodi apposti diminuì gradualmente. Intanto, si rendeva conto che era più facile mantenere la calma che prendersi la briga di battere chiodi sulla staccionata.

Finalmente giunse la settimana in cui Pasquale era stato sempre calmo e non doveva fissare nessun chiodo. Felice del suo miglioramento, si confidò col padre del risultato ottenuto. Il padre fu contento, ma gli consigliò ancora di continuare a controllarsi, procedendo in diverso modo. Gli disse: “Pasquale, mi fa piacere che hai capito che non serve arrabbiarsi, perché ciò complica la risoluzione dei problemi. Però ti chiedo di fare un ultimo sforzo.”

Pasquale tutto intento ad ascoltare il padre, disse: “Dimmi, papà. Seguirò ancora i tuoi consigli.”

Il padre riprese: “D’ora in poi, per ogni settimana in cui mantieni la calma, torna alla staccionata ed estrai uno dei chiodi infilati. Quando saranno tutti tolti vieni da me perché avrò qualcosa da dirti.”

Le settimane passarono e Pasquale fu finalmente in grado di dire a suo padre che tutti i chiodi era stati tolti. Il padre prese suo figlio per mano e lo condusse alla recinzione. Disse: “Sei stato bravo, figlio mio, ma guarda ora quanti i buchi hai fatto alla tua recinzione. Ormai è rovinata; non sarà più come prima. Ogni volta che hai offeso tua moglie per la rabbia, hai lasciato nella sua anima una cicatrice proprio come questo foro nella staccionata. Puoi dare un taglio al suo cuore e ripeterlo tante volte e poi ogni volta scusarti, chiedere perdono, ma le ferite, pur cicatrizzate, restano. Non importa quante volte dici <mi dispiace>, le ferite sono ancora lì a ricordare ogni brutto momento.

L’uomo capì quanto fossero potenti le sue parole. Pensò alla moglie e con lo sguardo basso, disse: “Spero che lei mi possa perdonare per i buchi che le ho procurato.”

Il padre, mise il braccio sulla spalla del figlio e rispose: “Certamente lei potrà. Il perdono è facile per le persone buone ma le cicatrici del passato, non vanno mai via. D’ora in avanti, sii attento ai tuoi modi perché a volte il prezzo da pagare dopo non vale il vantaggio del momento.”

 

lunedì 27 novembre 2023

Le due file in Paradiso


 

Un vecchietto, Aldo, ormai alla veneranda età di 87, sale al cielo. Le sue ultime ore erano state trascorse in silenzio. Guardava i suoi cari agitarsi, ma nella sua serenità d’animo, non capiva il motivo. Non ragionava molto, però era cosciente del suo stato fino a chiedersi: “Ma perché piangono? Mi dispiace per loro, ma non sanno che fra poco starò molto meglio di ora. Pur volendo continuare a vivere, non aggiungerei nulla di più a ciò che ho fatto e vi darei altri noie, costretto come sono ad affidarmi in tutto al vostro buon cuore.”

L’anziano ormai soltanto il respiro dimostrava di essere vivo. La sua mente era altrove. I famigliari gli apparivano come figure di un film proiettato dalle sue spalle. Chiuse gli occhi e si addormentò senza più la paura di svegliarsi.

Giunto in cielo, fu accolto da un Angelo il cui splendore non aveva nulla di uguale sulla terra. Con il caldo della sua luce si lasciava trasportare laddove si potrebbe chiamare Paradiso. In questo, spostarsi notò due lunghe file di anime allineate verso una specie porta d’uscita.

L’anziano volle sapere cosa facevano lì tutte quelle persone. Si rivolse alla sua guida e chiese: “Mi perdoni, Anima buona, perché tutte quelle persone sono in fila? Dove devono andare? E poi, perché le file sono due? Sapevo che oltre al Paradiso dovrebbero esserci il purgatorio e l’inferno.”

L’angelo sorrise, e rispose: “Aldo, dimentica ciò che ti hanno detto sulla terra. Esiste soltanto il Paradiso.”

L’anziano sorpreso, domandò ancora: “Anche per i ladri, assassini e truffatori?”

La risposta dell’Angelo fu: “Venendo qui, non c’è più nessuna distinzione per ciò che hanno fatto da vivi.”

“Non mi sembra giusto, però!” disse Aldo.

“Guarda! Le due file sono formate da anime che rinasceranno. Nella vita che riprenderanno sarà per loro motivo di redenzione. Quelle che non hanno avuto modo di comportarsi bene ora sono lì, nella fila più lunga.”

Aldo si meravigliò per la lunghezza di una fila. Sembrava infinita rispetto all’altra. Poi esclamò: “Me è lunghissima! C’erano così tanti cattivi sulla terra?”

“Anche ora ti sbagli. La fila più lunga è destinata a chi sceglie di rinascere nei paesi sfortunati, dove ci sono ancora guerre e fame. In quella stessa fila ci sono anche i generosi: quelli che vogliono cambiare il mondo con la loro forza d’amore.”

Aldo, incuriosito, domandò: “Nell’altra ci sono soltanto anime buone?”

“Nella fila più corta ci sono i martiri, le vittime degli assassini, le donne violentate, i bambini morti per fame e abbandono … tutti coloro che hanno subito ingiustizie e prevaricazioni. Questi rinasceranno nei paesi ricchi ed evoluti. Occuperanno posti di comando. Saranno coloro che porteranno inconsapevolmente dentro il dolore del mondo. Questa sofferenza farà da guida inconsapevole alle loro volontà; suggeriranno scelte miranti a migliorare la coesistenza pacifica ed espandere l’onda d’amore.”

Aldo restò impressionato e fece l’ultima domanda: “Devo mettermi in fila anch’io?”

L’Angelo rispose: “Seppure la prima fila è più corta, sono entrambe lunghe. Avrai tempo per ascoltare il tuo cuore e decidere in quale fila accodarti.”


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