mercoledì 22 maggio 2013

L'operosità delle api come risorsa umana insostituibile - di Fabio Squeo





“C’è un’ape che si posa su un bottone di rosa: lo succhia e se ne va: tutto sommato la felicità è una piccola cosa” recita Trilussa.

Ecco che,  la nostra amica Maia non si smentisce mai davanti alle lusinghe e ai richiami d’amore di madre natura. I suoi colori sono magnetici, di un giallo sgargiante che conferiscono, alle bellezze dionisiache donate dalla natura, una dimostrazione della presenza di Dio nel paesaggio terreno.

Nella mitologia greca erano considerate messaggere delle Muse per la loro sensibilità ai suoni, ma erano anche il simbolo del popolo obbediente al suo re.

Quando, secondo la leggenda, Zeus bambino fu nascosto dalla madre Rea, in una grotta del monte Ida a Creta per sottrarlo al padre Crono che voleva divorarlo, fu nutrito, oltre che dal latte della capra Amaltea, da un miele prodotto dalle api locali.

Per la sua operosità, l’ape, si distingue continuamente rispetto ad altri insetti che, molto spesso, conducono una vita parassitaria e inerte nelle polverose toppe delle serrature, anfratti bui, impensabili e impraticabili per l’uomo.

Le api sono insetti speciali ed è un peccato che se ne vedono sempre meno in giro. Si sta verificando, come direbbero gli esperti: “una sindrome di svuotamento degli alveari”.

L’ape è un insetto innocuo fondamentalmente; è dotato di un pungiglione che gli consente, in caso di attacchi da parte di predatori molto più grandi, di difendersi con estrema naturalezza. Le api sono insetti che non conoscono sofferenze e solitudine poiché vivono quasi sempre in compagnia, condividono dolcemente affetti di ogni sorta. Sono insetti sociali.

Le loro opere sono capolavori e degne di ammirazione da parte di melensi e appassionati cultori, i quali con il giusto approccio scientifico e culturale obbediscono ad un’etica della cura e della salvaguardia del panorama entomologico.

Le api sono, pertanto, insetti fondamentali per l’ecologia del paesaggio naturale, esse vanno tutelate e rispettate, poiché rappresentano “il termometro dell’ambiente fisico-ecologico”; in altre parole, fungono da regolatori di temperatura o di attività legate a fenomeni retti da processi di impollinazione e ritmi di trasformazione e di sviluppo all’interno delle bioecologie. 

Le api sono fondamentali per l’equilibrio naturale; esse  assicurano principi nutritivi indispensabili per l’alimentazione, che dipende per oltre un terzo da coltivazioni impollinate attraverso il loro lavoro.

Celebre è la frase di Albert Einstein che recita: “Se le api si estinguessero, all’uomo resterebbero 4 anni di vita”.

Quindi la famosa frase è un invito a fare appello al proprio senso di responsabilità che sia ha nei confronti della natura, a non far uso indiscriminato dei pesticidi chimici.

Onde evitare a promuovere il disordine a danno degli alveari  che nel tempo spopolano è necessario riconoscere nell’ape “la grandezza di una risorsa”. Le api sono una forte risorsa non solo per l’essere umano che attraverso i segreti dell’apicoltura, ricava nutrimento (produzione di miele) e sapori tipici, ma anche per l’ambiente e la bio-fauna circostante. 

L’allevatore, certamente, deve possedere requisiti particolari ed efficienti: cioè uno spiccato senso dell’organizzazione del proprio lavoro mirato al rispetto e alla valorizzazione dell’arte dell’apicoltura;  egli deve munirsi di un notevole senso critico in termini di osservazione e indagine pratica e in ultima analisi, assumere la chiara condotta morale che gli garantisca, per dirla con l’agronomo Massimo Girotti,  “la giusta apertura mentale a qualsivoglia innovazione di carattere tecnico o di conoscenze agrarie”.

L'ape, emblema dell'operosità, è sempre stata fin dai tempi antichi un insetto simbolico e recuperabile attraverso lo studio dei miti, leggende e religioni, nota già dalla pre-istoria per la propria utilità e umiltà. Grazie a numerose testimonianze sono stati trovati, nell’arte rupestre, graffiti e segni di un passato spettacolare.

Uno scenario d’amore e di naturalezza che ha rappresentato l’uomo contemporaneo nei rapporti sociali e di produzione  e ancora lo condiziona.

Comunicare con il sesto senso


 
 
 
 
 
 
 
 
 
Le esperienze di vita sono intrinsecamente non comunicabili. 

Possono certamente essere scritte e raccontate, ma non trasmettono il profondo vero senso. 

Arrivano al lettore o all’ascoltatore con parole ordinate in frasi che hanno un accurato senso logico, ma prive di peso. 

Il protagonista potrebbe infuocarle con la sua foga, il suo calore e il tono di voce, ma otterrebbe solo attenzione e vaga interpretazione di un vissuto non suo.

Alcuni rimangono impressionati dall’enfasi, dallo stato di agitazione, dalle reazioni straordinarie del comunicatore, ma difficilmente, il senso dei contenuti tocca l’anima nella direzione giusta.

Una situazione simile è riscontrabile vedendo un film. 

Dimenticando se stessi nel buio della sala cinematografica, entriamo nella trama, nella sensibilità degli attori e siamo condizionati dalle loro esternazioni, ma è necessario attendere la fine del film, per ricomporre a freddo tutti gli elementi psicologici che danno il contenuto alla trama.

Nel momento in cui si vuol comunicare un’esperienza vissuta, l’ascoltatore promette e non manterrà la promessa, che comprenderà il senso dopo, mentre subito offre la sua solidarietà e consolazione.

Non intendo dichiarare un’ipocrisia diffusa, che in alcuni casi potrebbe anche esserci, ma di un modo di rispondere all’esperienza del prossimo, “naturale”.

Ho sperimentato l’impossibilità di camminare e di manifestare in pubblico l’handicap. 

Vi assicuro che si è protagonisti di una comunicazione silenziosa molto articolata e presente nella maggioranza delle persone, indipendentemente se si è conosciuti o no.

La malattia o l’handicap, è “visto” inconsciamente come un male che si vuole esorcizzare e si tenta un’emarginazione sotterranea della persona colpita.

A livello di coscienza, poiché l’emarginazione non è una virtù, si reagisce con atti esteriori formali di solidarietà.

Questa interpretazione “cattiva” delle reazioni del prossimo, le riscontriamo in modo palese (assenza di coscienza) anche tra gli animali, i quali addirittura, minacciano l’esemplare menomato che chiede sostegno dal gruppo.

Se ci fate caso, le occhiate che vogliono apparire fugaci o casuali, le pause di colloquio che si notano alla vista di una persona menomata, sono momenti intensi di comunicazione senza parole.

I contenuti del colloquio nascosto sono chiarissimi e fanno molto male a chi, oltre al danno, riceve la beffa.

martedì 21 maggio 2013

Il sesto senso a rapporto




AMORE: Ciao Luigi, ti sento triste. Dimmi, qualcosa ti inquieta?

LUIGI: Sono triste per causa tua!

AMORE: Ti sei innamorato?

LUIGI: Dai non scherzare! Mi hai convinto che amare non è essere innamorati e ora, vuoi che io lo confonda con l’innamoramento?

AMORE: Conosco voi uomini! Mi tirate dentro discussioni che non mi competono e allora faccio buon viso a cattivo gioco.
Forza, sfogati! Dimmi che cosa non va.

LUIGI: Mi rattristo vedere associato il tuo nome a parole come “malefico”, “assassino”, “traditore”, e potrei continuare per molto.

Mi hai insegnato che l’Amore non conosce cattiveria, è piena dedizione al bene. Vederti accanto a quelle parole, immagino il declino dell’uomo, l’inutilità della sua storia.

AMORE: Ti comprendo, Luigi! 
Contemporaneamente, però, sono costretto a redarguirti. 
Hai dimenticato due elementi importanti che mi caratterizzano. 

Il primo riguarda la gioia di “essere” in Amore. La persona che mi porta con sé, deve sorridere, non essere mai profondamente triste, perché porta nel suo cuore la certezza e la consapevolezza dell’esperienza del bene. 

La seconda, non meno importante, l’Amore non è uno stato di reazione alle esperienze condotte con gli altri, non è passività interiore. 

L’amore è una forza che prescinde dall’amato e che mira dritta al suo bene. L’amore si presenta con la forza del dominatore e non ammette altro se non la vittoria.

LUIGI: Credo di averlo sempre saputo! Tu mi parli continuamente e mi rendi un guerriero frastornato nel mondo degli egoismi e della materialità. 

Alberghi nel mio cuore, ma continuo a chiedermi perché non invadi il cuore di tutti. Sei bello, splendente nel cuore di eroi e santi, mentre rimani eclissato fino ad annichilirti nell’animo di tantissimi uomini.

AMORE: Studiare d’Amore non si finisce mai!
In qualità di professore, dovresti saperlo.  

La mia volontà e ambizione, mira esattamente all’obiettivo che lamenti. Io opero in continua espansione e invasione del mondo buio al bene. 

Ho bisogno dell’apporto di tutti gli esseri viventi affinché io possa colonizzare tutti i cuori. 

Non posso impormi con i mezzi tipicamente umani, pressoché sbrigativi. Ho bisogno di consapevolezza e grande maturità dell’anima umana.
L’uomo in sé, è fondamentalmente buono, nonostante si tenti di dipingerlo come diavolo. 

Il suo problema è semplicemente di natura funzionale; un po’ come i tuoi programmi per computer, che inspiegabilmente compiono azioni non previste dal suo generatore (il programmatore). 

Tutti gli uomini vivono la realtà quotidiana come una propria proiezione mentale, assolutamente originale, e pertanto, costruiscono dei castelli ideologici responsabili per scelte comportamentali errate. 

Il vostro agire è frutto di un modello mentale incentrato su apparenti valori imprescindibili. 

Soltanto se questi valori sono in linea con il bene del prossimo, allora io posso invadere i cuori e regalare tutta la gioia che meritate.

LUIGI: Ragionar d’Amore è facile ma con le difficoltà di cui parli, operare d’Amore mi sembra un dono.

AMORE: Non disperare, Luigi! Le vie del Signore sono infinite e come tu ben sai, io mi trovo dove va Lui.  

Sorvolando




Mi accompagno dal tempo della prima ragione.

Un'unione indissolubile, silenziosa,
intima fino al rossore.

Disegni giganteschi coprivano il cielo.

Affidato alla speranza del domani,
il piccolo fiore ha lentamente aperto i suoi petali.

Tra i freddi venti del divenire 
e le piogge degli umori,
il germoglio ha indurito il suo stelo.

Ora è tronco,
e prima che il tempo lo svuoti,
affondi le radici nei piaceri dell'animo umano.

Sollevi in alto la chioma delle sue foglie,
per convincersi di non essere nato invano.

 

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