domenica 13 agosto 2023

Il senso delle parole

 

 
Il senso delle parole può essere ambiguo due volte. 

La prima, per via del significato formale frainteso o confuso. 

La seconda, per una refrattarietà e/o per deformazioni naturali degl'organi sensoriali dovute a tantissimi fattori che impediscono di “sentire” il significato. 

Il grado di attenzione, quasi sempre, è uno zoom sull’area di interesse, cioè, una misura di ingrandimento dell’immagine "pensiero", che nulla aggiunge all’informazione originale, se non la ricchezza dei particolari riscontrati.

Per chiarire la mia idea, vi sottopongo una serie di parole che formano una frase a senso compiuto. 

Queste dovrebbero trasmettere un messaggio:

Saper riconoscere la nostra responsabilità affinché gli eventi si realizzino”.

Per qualcuno, questa frase sembra discendere dalla fantasia, per altri, dalla filosofia (definita malignamente, la scienza delle cose inutili). 

Per tutti, invece, assume un significato diverso, proiettato nell’ambito contestuale dove solitamente la propria psicologia si focalizza. 

Il livello di comprensione della frase è misurabile con un numero compreso da zero a indefinito, in relazione all’età, alla cultura, allo stato psicologico del momento, allo stato di salute, alle menomazioni e a qualunque altro elemento disturbatore del profilo emotivo. 

Usiamo tantissimo le parole; ci arrivano da moltissime fonti e in forme diverse. 

Siamo bombardati da dati e istruzioni. 

Le scienze sono castelli montati con le parole. 

La tecnologia le combina e, come in un gioco di magia, crea nuove formule per produrne altre. 

Dante si è ritrovato nella selva oscura nel Medioevo, dove potremmo trovarci noi, ora?

Saper riconoscere ciò che è meglio per noi stessi in ogni momento di vita è un’abilità da coltivare, imprescindibile in una società che si muove ed evolve con le parole. 

Essa conduce all'unica felicità consentita all'imperfetto essere umano: consapevolezza di valere e il motivo per esistere.

sabato 12 agosto 2023

ETT ci descrive la sua realtà


ETT: Miliardi di miliardi di secoli addietro, noi extraterrestri eravamo pressappoco come siete voi ora. Cioè, legati indissolubilmente alla materia e come tali, il tempo e il divenire si divertivano a creare momenti di agitazione e di pausa allo spirito intellettivo.

A quel tempo, anche noi sopportavamo la tirannia della biologia e ci dimenavamo tra la nascita e la morte in un ciclo ripetitivo fino alla noia. 

Chissà quante volte questo ciclo si è interrotto a causa del rallentamento della biologia o per capricci di un volere, inspiegabile alla vostra ragione. 

Ogni ciclo era occasionalmente influenzato da cause esterne per cui esso introduceva nuove variabili nel panorama conoscitivo. In un certo senso, puoi ricondurre questo concetto a quello di evoluzione.

LUIGI: Ti Prego, amico mio, ragiona come se fossi anche tu un umano.

ETT: Ci provo!

Devi ammettere, Luigi, che in assenza di dolore, voi umani vi identificate con il pensiero.

Questo è immune al tempo; lo scrivete sui libri; lo organizzate e lo strutturate in modo da dargli il significato di scienza, filosofia, storia, eccetera.

Il pensiero è un frutto che voi considerate umano e che finisce nella memoria postuma quando il corpo non esiste più.

LUIGI: Infatti, proprio per questo motivo usiamo costruire monumenti, targhe e registrazioni varie, a supporto di una memoria storica rivolta alle generazioni future.

ETT: Riesci a immaginare la possibilità per l’umano di far “vivere” il pensiero staccato dal suo corpo?

LUIGI: Sì, nel caso della memoria storica.

ETT: Non intendevo quella!
Noi extraterrestri, siamo pensiero senza corpo e riusciamo a dar forma all’apparire a nostro piacimento. Nei confronti degli umani, quasi sempre ci mostriamo come vorrebbero vederci.

LUIGI: In altre parole, se io fossi stato condizionato da qualche rappresentazione cinematografica, avrei potuto vederti nelle sembianze di ET, così come Steven Spielberg ha sceneggiato?

ETT: Esattamente!

LUIGI: In che modo un pensiero si potrebbe materializzare?

ETT: Usando qualche termine a te molto caro, direi: attraverso la virtualizzazione del suo messaggio.

LUIGI: Non ti capisco!

ETT: Osserva un oggetto! Credi di vederlo davvero?

LUIGI: Se c’è luce, certamente!

ETT: Senza dei tuoi occhi, anche con la luce ti sarebbe impossibile fissarlo!

LUIGI: Ovviamente.

ETT: Gli occhi, quindi, sono strumenti che traducono ciò che vedi in un pensiero vestito con l’immagine. 

Ribadendo lo stesso concetto con parole diverse, direi che grazie alla tua biologia è possibile tradurre una realtà esterna a te stesso in una virtuale, presente soltanto all’interno della mente.

LUIGI: Vuoi farmi intendere che ciò che vedo non è reale?

ETT: Non proprio! L’oggetto che vedi è reale nella misura in cui si rapporta a te stesso.

LUIGI: Allora dimmi perché tutti crediamo di vedere lo stesso oggetto? 
La prova sta nella capacità di descriverlo esteriormente con grande precisione e di concordare totalmente nel giudizio. 

Per esempio, una palla rossa è rossa per tutti gli umani (tranne se ci sono problemi di daltonismo); nessun umano, sano di mente, potrebbe negarlo. 

Si potrebbe discordare sulla tonalità ma si concorda sicuramente sul fatto che si tratti del colore rosso.

ETT: Ciò che vedi rosso e che è rosso per tutti i tuoi simili, potrebbe essere qualunque colore a cui tutti voi umani, per la stessa associazione, vi siete convenzionati dalla nascita.

Supponi che un uomo nasca cieco, in che modo potresti descrivergli il rosso? 
Quali argomenti useresti per fargli intendere la differenza tra il rosso e il giallo?

LUIGI: Secondo questo ragionamento, il mio rosso potrebbe non essere rosso?

ETT: Direi che il tuo rosso è il colore che ti è stato qualificato come tale; non importa se poi sia o no il “rosso” di tutti. 
 
 

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