Paolo e la moglie Sara erano
seduti in un angolo della libreria bar, accanto alla piccola caffetteria che
profuma sempre di caffè espresso e cannella.
Un ragazzino ci passò davanti
piangendo.
Guardava i volti degli adulti
troppo assorti nei propri pensieri per accorgersi di lui. Si poteva vedere la
disperazione negli occhi del piccolo, il fragile panico nei suoi passi
affrettati, quello che a volte si vede nei bambini che si perdono nei
supermercati o nei parchi.
“Ehi, stai cercando tua madre?”
chiese Paolo.
Il ragazzo si fermò, trattenendo
le lacrime, e annuì.
“Ok, come si chiama?”
Fece una pausa, poi disse: “Lena”.
Sara si alzò immediatamente e gli
si avvicinò. Dopo tutti i suoi anni di esperienza come infermiera e assistente
nelle case per anziani, non ha mai esitato ad aiutare chi eventualmente si
trovasse in difficoltà.
Prese la mano del bambino e gli
disse dolcemente: “Andiamo a cercare la tua mamma”.
Paolo suggerì di provare alla
reception, dove il personale avrebbe potuto fare un annuncio. Una dipendente
che si aggirava nei pressi sentì il suggerimento di Paolo.
“Posso aiutarti?”, chiese.
Così Sara consegnò il bambino
smarrito alla dipendente, che subito dopo diffuse la notizia attraverso la sua
radio.
Si seppe dopo che il bambino era
figlio di una dipendente della libreria, che forse era già tornata a casa
dimenticandosi del figlio sul posto.
Sara si sedette nuovamente al
tavolino per completare la sua colazione.
Una donna seduta dietro di lei,
forse sulla settantina, scuoteva la testa e borbottava: «Che razza di madre è se abbandona suo figlio!»
Si aprì il chiacchiericcio dal
quale emerse che si trattava anche lei di un'infermiera, ma in pensione. Il discorso
che si intraprese si allargò fino a quando la donna seppe che anche Sara era un’infermiera.
Così si confidò lamentando che le mancava tanto il lavoro e che per questo motivo
era tornata a farlo part-time come collaboratrice esterna. Sara sorrise e le disse
che anche lei stava per andare in pensione.
Alla fine di quella intromissione,
Sara si avvicinò al marito e gli disse: “Quella donna non mi piace”.
Questa esternazione indusse Paolo
ad una riflessione.
La società sembra più rozza oggi.
Il cambiamento si manifesta in piccole cose: maleducazione, presunzione,
mancanza di semplice civiltà.
Non è che Sara fosse scortese. Al
contrario, era profondamente compassionevole, sempre pronta a fare di tutto per
i pazienti. Non è la vecchiaia che la logora, ma tutto ciò che si deve
sopportare per arrivarci.
Le famiglie difficili. La
burocrazia. L’impazienza. Le persone incollate ai loro telefonini mentre si
parla. Poi ci sono quelli che si arrabbiano subito o che non voglio aspettare.
È l'erosione dei legami che un
tempo univano, ora sfidano.
Si vive una sorta di affaticamento
da compassione, un esaurimento dello spirito.
Sara evitava le brutte notizie
perché la deprimevano. Aveva difficoltà a rimanere concentrata. Percepiva lo
sgretolarsi della società e desiderava liberarsene.
Preferiva il silenzio della sua
biblioteca di casa a qualsiasi incontro sociale. Trovava più significato nel
comfort dei libri, in una buona tazza di caffè e nell'affetto costante dei suoi
animali domestici che nella dissonanza del mondo moderno.
So che troppa solitudine non fa
bene alla salute. Ma la pace crea serenità, specialmente di questi tempi,
sembra una forma rara di ricchezza.
Non è mai più felice di quando ha
le mani nella terra o quando guarda il monsone arrivare dalla finestra sicura e
tranquilla nella sua biblioteca.
Tuttavia, nonostante le sfide e la
stanchezza, mi chiedo se ritirarsi sia un errore. Al di là delle persone
maleducate, dei bambini smarriti, delle burocrazie delle banalità, la magia
continua a brillare.
C'è una poesia di Charles Bukowski
intitolata Nirvana.
Racconta di un giovane che viaggia
in autobus e trova una pace inaspettata in un umile caffè lungo la strada. Per
un breve istante, fuori nevica dolcemente e tutto - il caffè, gli sconosciuti,
il brusio del locale - sembra perfettamente bello.
Penso che molti di noi sentano la
mancanza della magia intorno a sè.
Siamo esausti, distratti o
semplicemente ottusi a causa del troppo rumore. Dimentichiamo di rallentare.
Dimentichiamo di vedere.
Quando Sara ha detto: “Quella
donna non mi piace”, si riferiva a questo mondo che non riconosce più la tolleranza.
Non è solo la crudeltà che lei rifiuta. È l'incuria.
Gli autisti maniacali, la
burocrazia, il narcisismo digitale, la sensazione che ci stiamo lentamente
allontanando gli uni dagli altri e che qualcosa di malevolo stia fiorendo nelle
crepe.
Eppure... ricordo quel ragazzo
smarrito. Come Sara e l'impiegato della libreria hanno agito senza esitazione.
Come una piccola crisi è stata risolta da sconosciuti che sapevano ancora come
prendersi cura degli altri.
E penso all'infermiera in
pensione. Stanca, forse disillusa, eppure è tornata al lavoro. Ha scelto il
servizio invece del ritiro.
Prima o poi diventeremo tutti il
bambino smarrito nella libreria.
Ci sentiremo tutti soli,
dimenticati, emarginati dal mondo. E se saremo fortunati, qualcuno di gentile
se ne accorgerà. Qualcuno di buono ci tenderà la mano.
Allo stesso modo, ognuno di noi
troverà la strada per quel caffè tranquillo, dove, per un momento, il mondo si
addolcisce e tutto è bello.
È la scelta silenziosa di rimanere
umani.
Forse il trucco non è scegliere
tra il ritiro e l'impegno, ma tenerli entrambi con delicatezza. Abbiamo bisogno
del silenzio del giardino e della compagnia del caffè. Il rifugio della
solitudine e la grazia inaspettata della mano di uno sconosciuto.
Sì, il mondo si sta sgretolando ai
margini. Ma non ovunque. Non tutto in una volta. Finché notiamo la magia,
finché scegliamo di essere gentili, di tendere una mano, di essere disponibili,
c’è ancora speranza.