domenica 25 maggio 2025

I canali del colloquio


 

Per dare è necessario avere.

Per avere è necessario aver ricevuto.

Comunicare con qualcuno implica mettersi in sintonia, interessare l’altro a sincronizzarsi sulla stessa frequenza.

L’intensità del nostro segnale non deve né attenuarsi, né esaltarsi, né modificarsi nel canale del nostro ricevitore.

Il segnale deve essere chiaro, sicuro e veloce, nel miglior modo possibile per il ricevitore.

Se è poco chiaro, non si capisce il significato di alcune frasi o parole.

Se è poco sicuro, si può perdere l’attendibilità della fonte.

Se è troppo veloce, si possono perdere informazioni e si rende il contesto privo significato.

Tramite naturali segni emotivi, istintivi, posture corporali, il comunicante apre la sua sessione di colloquio. In tale fase verificherà la disponibilità del ricevitore ad aprire il colloquio.

I primi messaggi sono elementari, non impegnano fortemente il ricevitore e servono a stimolare l'apertura dell’imminente colloquio.

Il ricevitore s’impegnerà nella comunicazione nella misura in cui l’informazione che riceverà riterrà utile. Il livello di attenzione si graduerà con la stessa misura.

Se il trasmettitore invia le sue informazioni nella banda di sensibilità del ricevitore, i messaggi sono chiari e si fissano come chiodi nel legno. Alla fine, la durata della comunicazione sarà sembrata molto breve.

Se, invece, il trasmettitore diffonde le sue notizie tenendo conto soltanto della propria banda sensibile, è facile che i messaggi arrivino confusi, ripetitivi e lunghi. Il colloquio ha realmente vita breve.

 

sabato 24 maggio 2025

La paura della matematica

 

"In matematica non si capiscono le cose. Ci si abitua e basta." - John von Neumann

John von Neumann era un matematico così brillante da lasciare il segno su tutto, dalla meccanica quantistica ai fondamenti dell'informatica. Se c'era qualcuno che poteva davvero affermare di comprendere la matematica, quello era lui. Eppure, eccolo qui a dire l'esatto opposto.

A prima vista, sembra un'osservazione umile, forse persino superficiale. Ma contiene vera saggezza e, per genitori, insegnanti e studenti, offre una verità liberatoria: la matematica non significa essere un genio. Si tratta di abituarsi a pensare in un certo modo. Chiunque può imparare a farlo.

La matematica è un linguaggio, non un punteggio. Quando pensiamo alla matematica, spesso immaginiamo fogli di lavoro, calcolatrici o test standardizzati. Ma la vera matematica – quella praticata da scienziati e pensatori – non consiste nel memorizzare formule o nell'elaborare numeri. È un linguaggio. Un modo di descrivere le idee.

Nella scienza, la matematica è il mezzo che usiamo per esprimere la struttura dell'universo. È il modo in cui definiamo, mettiamo in relazione e ragioniamo su idee che non sempre possono essere viste o toccate.

Immagina una palla. Magari è un pallone da calcio, da baseball o un pianeta. Ora elimina i dettagli superficiali: i lacci, i loghi, la consistenza. Cosa rimane? Una sfera.

Hai appena eseguito un'astrazione matematica. È quello che fanno i matematici. Semplificano cose complesse in forme ideali in modo da poterne esplorare le proprietà più chiaramente.

Una sfera non esiste realmente nel mondo fisico – non perfettamente – ma è un'idea incredibilmente potente. Perché potente? Perché una volta comprese le sfere, possiamo applicare questa conoscenza a innumerevoli problemi del mondo reale, dal calcolo del volume di un pallone da basket alla previsione del moto dei pianeti.

Questo è il potere dell'astrazione. E la matematica è lo strumento che lo rende possibile.

La pratica rende perfetti (intuitivi). C'è un'idea popolare nello sviluppo delle competenze chiamata "regola delle 10.000 ore": l'idea che servano circa 10.000 ore di pratica deliberata per diventare esperti in qualsiasi cosa.

Non è una scienza esatta, ma sottolinea un punto chiave: una comprensione profonda richiede tempo.

E questo non vale solo per la matematica. I musicisti, ad esempio, spesso dicono cose come "Suono a sensazione" o "Mi viene naturale". Ma se si guarda dietro le quinte, si scoprono migliaia di ore di scale, esercizi, errori e memoria muscolare.

Lo stesso vale per i matematici. Ciò che sembra "intuizione" è in realtà una familiarità costruita da lunghe, spesso silenziose, ore di esposizione e impegno.

Ma ecco il punto: non è necessario dedicare 10.000 ore per iniziare ad apprezzare qualcosa.

La maggior parte delle persone apprezza la musica senza mai prendere in mano uno strumento. Canzoni pop, melodie orecchiabili e successi virali sono progettate per essere accessibili e divertenti, senza bisogno di formazione.

Ma chi approfondisce – chi impara a suonare uno strumento, sperimenta con software musicali o semplicemente ascolta con più attenzione – inizia a percepire di più. Nota gli schemi, i cambi di tonalità, le armonie. Più si impara, più si apprezza.

Lo stesso vale per la matematica. C'è la "matematica pop": quei deliziosi enigmi e paradossi che non richiedono una laurea in matematica per essere apprezzati. 

Non c'è bisogno di "capirla tutta" per apprezzarla. Ma più ci si impegna – più si sperimentano le cose in prima persona, si fanno domande o si gioca con un'app o un puzzle di matematica – più si apprezza.

Se sei un genitore che si chiede come aiutare il proprio figlio a "eccellere" in matematica, la prima cosa da chiedersi è questa: cosa intendo per eccellere?

Se intendi ottenere punteggi elevati nei test, allora sì, esercitarsi con i test. Ma se intendi comprendere a fondo la matematica, allora il percorso è meno standardizzato. E questa è una buona cosa.

Non è necessario seguire un programma scolastico rigido per sviluppare il pensiero matematico. Basta coltivare la curiosità e la dimestichezza con l'astrazione.

Per esempio, fare puzzle e giochi. Sudoku, puzzle di logica o giochi da tavolo basati su schemi sono tutti esercizi per sviluppare le capacità matematiche.

La matematica non è una serie di risposte giuste: è un modo di vedere il mondo. Non è un caso per cui i migliori filosofi sono anche ottimi matematici.

Molti adulti portano con sé l'ansia per la matematica fin dai tempi della scuola. È facile pensare che la matematica sia una questione di velocità, memorizzazione o "bravura naturale". Ma questo è un mito.

La matematica non è una questione di talento. È una questione di tempo e tolleranza: tempo dedicato ad abituarsi ai suoi strani ma meravigliosi modi di pensare, e tolleranza per il disagio di non aver ancora capito qualcosa.

Va bene avere difficoltà. Va bene essere confusi. Fa parte del processo. Anzi, è un segnale che l'apprendimento sta avvenendo.

Se aiuti tuo figlio o uno studente a pensare in modo astratto, a fare domande, a trovare gioia negli schemi e a insistere quando le cose non funzionano subito, allora lo introduci alla mentalità matematica che lo accompagnerà per tutta la vita.

E forse, come von Neumann, si abituerà così tanto alla matematica che inizierà a sembrargli casa.

venerdì 23 maggio 2025

La musica che scegli di ascoltare parla di te


 

Pensiamo che la musica sia solo intrattenimento. Qualcosa per farci vibrare. Riempire il silenzio. Passare il tempo. Ma la verità è un’altra, meno tranquillizzante.

La musica è uno specchio. Mostra chi sei, non chi fingi di essere.

I tuoi gusti musicali sono come la cronologia delle tue ricerche su internet. Parlano di te. E nei modi che non immagineresti mai.

Una delle spie del tuo vero essere passa per il desiderio di controllo.

Le persone che creano playlist iper-specifiche non sono solo amanti della musica. Sono maniaci del controllo sotto mentite spoglie.

Spesso cercano di gestire ciò che sembra incontrollabile nella loro vita. Non si tratta solo di canzoni. Riguarda la capacità di manipolare umore, energia e atmosfera a comando. Si tratta di curare un paesaggio emotivo in cui sentirsi al sicuro.

Quando la vita sembra imprevedibile (con scadenze che si accumulano, relazioni che si sgretolano, emozioni che irrompono senza preavviso), queste persone si affidano alla musica come alla loro fortezza.

In questo spazio, si diventa architetti. Il DJ, il controllore del traffico emotivo. L’ascolto della musica è l’occasione di essere ascoltati.

In quei momenti ti stai automedicando. Ma nessuna vergogna. La musica diventa una droga quando è l'unico strumento che hai per tenerti in piedi.

Il tuo sistema nervoso impara a fidarsi del suono. Il tuo cervello si riprogramma intorno all'illusione di calma.

Ma ecco il problema: se la musica è l'unico posto in cui ti senti in controllo, la tua vita potrebbe gridare per una struttura più profonda, per dei limiti o per reclamare una guarigione.

Il problema non è la tua playlist, è il riflesso di qualcosa che denuncia una mancanza di controllo nella tua vita.

Ti sei mai chiesto perché le persone più emotivamente indisponibili ascoltano musica triste? Perché l'anima non dimentica ciò che non ha mai ricevuto e usa la musica per cercarlo.

Le persone più tristi non piangono sempre. A volte ascoltano musica, cercando di sentire qualcosa, qualsiasi cosa, attraverso i testi di qualcun altro.

Le persone cresciute nel caos spesso gravitano verso la musica ambiente, lenta e pacifica. Perché? Perché il silenzio e la dolcezza non sono mai stati sicuri per loro. La musica diventa una versione presa in prestito della vita che è stata loro negata.

Se non sei mai stato veramente amato, potresti ritrovarti ossessionato dalla musica del secolo scorso, come se fosse un rituale spirituale, non perché sei innamorato, ma perché speri ancora che qualcuno un giorno ti canti quelle parole.

La tua playlist non è casuale. È una bussola emotiva. Punta dritto a ciò che il tuo bambino interiore sta ancora cercando.

Usi la musica per viaggiare nel tempo verso una versione di te che ti è sembrata più viva.

Perché le persone tra i 30, i 40 e i 50 anni continuano ad ascoltare le canzoni di cui si sono innamorate da adolescenti? Perché non è una questione di musica. È una questione di chi eri quando l'hai ascoltata per la prima volta.

Quando ascolti quella vecchia canzone dei tuoi anni del liceo, il tuo cervello non si limita a ricordarla, ma ti riporta indietro.

La musica diventa teletrasporto emotivo. Il profumo dei luoghi vissuti. Il brusio delle notti d'estate. Quel viaggio in macchina; quella esperienza indimenticabile.

Ed è proprio questo il punto: non sei dipendente dalla canzone in sé, sei dipendente da chi eri quando l'hai ascoltata. È la versione di te che quella canzone ha mantenuto in vita.

Nel riascolto entri in contatto con una versione di te stesso che il mondo ti ha lentamente fatto dimenticare. Nascondi le parti più sincere di te stesso nella modalità "Ascolto Privato"

L’occasione diventa prova che sotto tutta la patina, c'è ancora un cuore vulnerabile e pulsante difficilmente da zittire.

Ti è mai capitato di ascoltare la stessa canzone più e più volte nel breve periodo? Si tratta di un loop emotivo. Non ascoltiamo le canzoni all'infinito solo perché "ci piacciono". Lo facciamo perché qualcosa in quella canzone corrisponde a ciò che proviamo e non siamo pronti a lasciarla andare.

Forse è un testo che ti colpisce troppo. Una melodia che rispecchia il tuo stato d'animo. Ogni ascolto è un tentativo di fermare il tempo. Cerchi di imbottigliare un'emozione. Di rivivere un ricordo. Ma questo schema non è sempre sano.

A volte, ciò che sembra una guarigione è solo un'ossessione mascherata. Sei bloccato, non nella canzone, ma nello stato d'animo che la canzone rappresenta. Più ripeti una canzone, più ti tiene in ostaggio.

È uno specchio che ti mostra quanto spesso i tuoi pensieri girino in tondo e quanto sia difficile per te andare avanti.

Alcune canzoni non solo suonano bene, ma ti lacerano. Senti quel verso che ti ha colpito troppo da vicino e improvvisamente ti si stringe il petto. Ti si chiude la gola. Diventi silenzioso. Perché la canzone sembra scritta da qualcuno che ha vissuto nel tuo cuore per un decennio.

Se la tua musica trasuda ancora dolore, rabbia o rimpianti, anche quando stai "bene", allora non sei completamente guarito. Stai rivisitando un dolore che ha ancora i denti. E la musica lo mantiene vivo.

La musica non mente; mostra il dolore che non hai ancora affrontato di petto. Finché non lo elaborerai veramente, le tue canzoni continueranno a sanguinare per te. Non perché ami la musica, ma perché la tua anima riconosce ancora il dolore.

In definitiva, la musica non è solo suono; è un linguaggio segreto. Ogni canzone che ami dice qualcosa su chi sei e su chi stai cercando di diventare. La maggior parte delle persone non pensa mai a cosa dice la musica di loro: ascoltano e si lasciano travolgere.

giovedì 22 maggio 2025

Papà, perché di notte c'è buio?


Non esiste al mondo e in tutto l’universo, qualcosa di più bello e sorprendente della luce.

Sappiamo che nulla è più veloce, essa procede a velocità costante in tutte le direzioni, ignora le distanze e si lascia influenzare dalle masse.

Immaginate se potessimo cavalcarla.

Come sarebbe tutto incredibile!

Quali pesi avrebbero i nostri problemi!

In un’occasione un bambino rivolgendosi al padre, disse:

“Dimmi papà, perché di giorno si vede bene, mentre di notte è buio?”

Il papà non sorpreso dal tipo di domanda rispose:

“Birbante, non sai che di notte il sole non c’è, e non ci può dare la sua luce?”.

Il bimbo, infastidito dalla risposta banale del padre, precisò:

“Papà, mi ha detto la maestra che la luce del sole corre più di qualunque cosa al mondo e arriva in zone lontanissime da noi, allora, perché deve fermarsi di notte?”.

Il padre capì che il suo bimbo voleva una risposta che facesse viaggiare la fantasia, quindi, lo invitò a sedere e cominciò a raccontare:

“Quando nacque il mondo, esisteva solo una grande stella che illuminava tutto l’universo. La luce cominciò a occupare tutto lo spazio circostante, il quale, attratto dall’energia diffusa, si curvò fino ad abbracciare la grande stella.

La luce rimase imprigionata nel mantello dello spazio illuminato, per cui si addensò così fortemente che provocò lo scoppio della stella. Gli studiosi che hanno indagato sull’origine dell’universo, hanno chiamato questa enorme esplosione: “Big Bang”.

In seguito all’esplosione si formarono tantissimi pezzettini cosmici. Alcuni rimasero infuocati e produssero nuove stelle più piccole, altri si spensero e formarono i pianeti con tutti i corpi celesti.

I tantissimi pezzettini, caratterizzati da una certa quantità di energia, appartenuta alla grande stella, si condensarono schiacciati in spazi piccolissimi. Anche a questi, gli scienziati gli hanno assegnato il nome di “massa”.

Ogni corpo esistente nel mondo ha quindi una sua massa proveniente dalla vecchia stella regina”.

Il bambino incantato dal racconto, bisbigliò:

“Anch’io papà, ho la massa proveniente dalla stella regina?”

Il padre continuò:

“Certo! Capirai ora, perché la luce, quando incontra la massa, ha paura di attraversarla. Non vuole ricreare la stessa situazione capitata alla stella regina, per cui di notte, poiché la terra si interpone tra noi e il sole, essa devia e crea il buio”.

Il bambino, dopo aver ripreso fiato, manifestò la sua meraviglia:

“Fantastico papà! Ma come è fatta la luce?”

I momenti di colloquio con un bambino sono come chiodi nel muro, appendono per sempre ricordi.

Il Padre riprese: “Tesoro, immagina se a malincuore ti facessi salire su un raggio di luce e al mio via, ti facessi partire con essa, penso che non ti vedrei più, perché la velocità con cui ti allontaneresti da me, sarebbe tale che non basterebbe la tua eternità per rivederti”.

La paura si sostituì allo stupore:

“No, papà non farmi salire sulla luce! Voglio stare con te!”.

Rassicurando il proprio figlio, il papà continuò:

“No, non ti preoccupare, perché mi sarebbe comunque impossibile farlo, a causa delle nostre masse. Che cosa è, poi, la luce, non so risponderti perché gli studiosi stanno tuttora chiedendoselo.

Ragionando sulla luce, si inducono riflessioni impressionanti.

Per esempio, si potrebbe pensare di girare per l’universo senza invecchiare”.

La discussione rischiava di allungarsi a causa della curiosità e del mistero che stava scendendo sulle parole a tonalità di fiaba. Infatti, il bambino, incoraggiando il padre a continuare, disse: “Papà, mi stai raccontando che potremmo rimanere insieme per sempre, senza invecchiare?”.

La risposta giunse subito: “In un certo senso, si! Ti spiego come.

Supponiamo di salire su un’astronave che possa viaggiare a una velocità altissima e che sulla coda porti un faro lampeggiante, in modo che si possa vedere la sua corsa. Supponiamo anche, che il lampeggio sia calibrato per dare un flash ogni secondo.

I nostri amici, che verranno a salutarci, noteranno il passar del tempo e il nostro allontanarci dalla frequenza dei flash in arrivo dall’astronave.

Mentre l’astronave si allontana, i flash giungeranno ai nostri amici al tempo di un secondo sommato quello impiegato dalla luce per giungere a loro. Capirai che ad altissima velocità, l’astronave percorrerà molta strada e ciò allungherà il tempo per far giungere i flash ai nostri amici.

Ci sarà un momento in cui il tempo impiegato dalla luce per far giungere l’informazione ai nostri amici, diventerà uguale a un secondo, allora, per una gita nell’universo di una settimana, al nostro ritorno saranno passate due settimane. Se ci spingiamo nel ragionamento, ipotizzando la velocità dell’astronave uguale a quella della luce, allora per i nostri amici, il nostro tempo si ferma. Essi non riusciranno più a vedere la luce del flash, in quanto la loro vita sarebbe troppo breve rispetto al tempo impiegato dalla luce per farsi rivedere. Nell’immobilità di un tempo senza significato, saremmo accolti nell’eternità”.

Un’esclamazione interrompe il racconto:

“Wuauuu, ma è tutto vero?”.

Il papà riprende:

“Beh! Così spiega la teoria della relatività di un certo Einstein. Però, non possiamo rallegrarcene troppo, perché a quella velocità saremo anche noi luce o energia. Io non potrò essere il tuo papà e tu non potresti più stare a sentirmi. Saremo, forse, due quanti di luce!”.

Viaggiando alla velocità della luce, si può idealizzare la magia dell’universo: le masse ritornano ed essere energia, lo spazio si contrae alla sua intimità, il tempo perde il suo significato.

Lo spazio-tempo dice alla materia come muoversi.

La materia dice allo spazio-tempo come modificarsi.

Non riesco a immaginare nulla di più bello!

 

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