lunedì 17 marzo 2025

Una lotta infinita tra il pensabile e il conoscibile

Arthur Schopenhauer (1788-1860)


È un uomo schivo, introverso, solitario, attratto dalle scienze filosofiche. Viene alla memoria Giacomo Leopardi, il grande poeta dell’”Infinito”.  In realtà, non si tratta di Leopardi, ma di Arthur Schopenhauer. Egli è stato il pensatore dal carattere difficile e palesemente critico e sprezzante nei confronti della vita. E pare che il disprezzo nutrito sia motivato anche da un episodio spiacevole accadutogli in famiglia: il suicidio del padre.

Schopenhauer nasce a Danzica il 22 febbraio del 1788 e morì nel 1860 a causa di una polmonite. Compie diversi viaggi in Italia, soggiornando a Venezia, poi a Bologna, Firenze, Roma e Napoli. Torna in Germania per dedicarsi alla carriera accademica. Affascinato dalla filosofia di Platone e da quella di Kant, cerca di lavorare inizialmente sulla distinzione tra fenomeni e noumeni.

Sappiamo con Kant, e a partire da Platone, che i fenomeni sono fatti di illusorietà, apparenza e sono presenti nel mondo dei sensi. Poi vi è il noumeno che coincide con l’essenza stessa delle cose, il pensabile, l’idea. Il noumeno, dice Kant, lo puoi pensare ma non lo puoi conoscere. Quando provi a immaginare Dio e vuoi trasformarlo in FENOMENO lo disegni, ti viene fuori un uomo con la barba bianca, anziano con delle caratteristiche umane. 

Sarà proprio così?   

E se Dio fosse un eterno fanciullo? 

Se cominci a pensare in maniera originale, stai producendo un noumeno, un’idea, o un ideale non conoscibile. Il noumeno esiste solo nella mente di chi pensa.

Ora Schopenhauer, partendo da questa visione dualistica tra fenomeno e noumeno decide semplicemente di chiamare per nome le cose: il fenomeno diventa “una rappresentazione”, il noumeno diventa “volontà”.  Bell’e buona la sua opera del 1818 si chiamerà: Il mondo come volontà e rappresentazione.   

Si può ben arguire che la dottrina della conoscenza di Schopenhauer è una sorta di kantismo fintamente ricopiato, semplificato. Egli (proprio come Kant) sostiene che la realtà non può essere conosciuta. Ma questo è un fatto decisivo per Kant (non tanto per Schopenhauer) che del principio fenomenico e noumenico ne ha fatto un’elaborazione onto-metafisica.

Schopenhauer non perde tempo e si defila con delle intuizioni: trascura tutte le analisi e le critiche che spiegano il determinarsi di un certo fenomeno.  Per Schopenhauer la natura è una sola, coperta e ricoperta dall’effetto del “velo di Maja” (una terminologia recuperata dal pensiero indiano). Le cose appaiono come filtrate, coperte da un velo colorato che permette di vedere ciò che vuoi vedere: individui, piante, animali. Da qui viene fuori il cosiddetto “dis-velamento della verità”. Le cose trovano l’essenza, la natura al di là del velo. È come se vedessimo il sole dietro le grate di una prigione. La natura che è una sola, a noi ci appare differenziata, frammentaria.

Schopenhauer scrive: “Maja, il velo dell’illusione, ottenebra le pupille dei mortali e fa vedere loro un mondo di cui non si può dire né che esista né che non esista, perché è simile a un sogno”.

Cosa significa questo? che il velo non costituisce solo l’offuscamento o la copertura della natura delle cose, ma deforma addirittura la natura stessa delle cose. Proprio come succede nei sogni che si ha una realtà deformata.

Schopenhauer si chiede: da dove nasce questo bisogno di conoscere la natura delle cose? 

Pare che in ogni essere umano vi sia una natura più forte dell’esigenza stessa di reclamare un bisogno. Con i bisogni, i desideri, noi vogliamo qualcosa, ci proiettiamo verso qualcosa che sicuramente di volontà si tratta. Ma volere un caffè o volere vivere questa vita anche quando la vita la sto per perdere è ben altra cosa. 

Per il pensatore, vi è una volontà oltre ogni volontà: una volontà che vuole solo vivere. La vita è questa. Va, si muove, si dimena perché vuole solo vivere. Come un neonato che si dimena: non è semplicemente un movimento volontario, ma è la natura della sua esistenza che lo muove alla vita.

Si tratta di una volontà superiore, una volontà di rimanere in vita anche certamente grazie alla soddisfazione di bisogni. La volontà di sopravvivere alle ostilità per la perpetuazione stessa della specie. La vita procede, mai arretra. Nascita e morte sono due fenomeni di un'unica natura. Diventa chiaro così che questa volontà è cieca: essa non ha uno scopo ben preciso se non quello di mantenere/mantenersi in vita. Diventa evidente anche un punto essenziale della stretta connessione di Schopenhauer a Giacomo Leopardi: In uno scritto di Francesco De Sanctis, il grande letterato, ha scritto un saggio in forma di dialogo su Schopenhauer e Leopardi, facendo emergere questo rapporto quasi parentale del pensiero. 

Come dice De Sanctis, Giacomo Leopardi non ha mai letto Schopenhauer, viceversa Schopenhauer non soltanto ha letto a fondo Leopardi, ma né è stato un vero e proprio fan.


 di Fabio Squeo

domenica 16 marzo 2025

Dalla cieca volontà di vivere alla volontà di Potenza (Nietszche)

Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900)


Quando Dio non è più una certezza e diventa la più grande delle bugie, l’uomo si fa libero; e facendosi libero, ha davanti a sé una sola cosa: il suo destino. Con Nietzsche sorvoliamo la vetta di una montagna molto alta. Una montagna innevata laddove le acque dei fiumi scorrono verso la valle del sospetto e si mescolano nel mare dell’irrazionalità.  

E’ il 15 ottobre del 1844 a Röcken, in Germania. Nasce Friedrich Nietzsche, un pensatore originale e fuori dagli schemi che ha influenzato, con la sua produzione, l’intero mondo occidentale.  Nelle sue svariate opere è sempre presente una critica violenta verso qualcosa: generalmente essa è quasi sempre legata alla condotta dell’uomo verso un giudizio aprioristico o addirittura verso un corteggiamento a Dio e alla sua storia nel mondo. Nietzsche è un accanito lettore di Schopenhauer; si fa influenzare e il suo pensiero diventa oggetto di ispirazione con delle conclusioni leggermente capovolte. 

Schopenhauer vedeva la vita animata da una forza libera; e per dirlo da specialisti della filosofia: la vita per Schopenhauer è cieca assolutezza di una volontà di vivere

Perché è cieca? 

Perché non porta da nessuna parte, o comunque porta nella direzione del nulla. 

Perché è assoluta?   

Perché la forza vitale da cui la vita scaturisce è libera e nascosta alla ragione. La ragione vede ogni cosa relativizzata, spaccata in micro e macro frammenti personali.  La vita si consegna all’uomo come una rappresentazione di fenomeni, o per essere più precisi, il mondo è fondamentalmente ciò che ciascuna persona vede (una rappresentazione relativa).  Per Schopenhauer la cieca volontà di vivere deve essere superata attraverso la religiosità buddhista, il Nirvana. 

In cosa consiste il superamento? 

La volontà deve essere sottoposta a "Nolontà", come lui stesso dice. Vale a dire il non-volere, estinguere ogni volontà, ogni ruota libera. 

Nietzsche è affascinato da questo discorso, ma ha altre conclusioni. Se la vita è animata da una cieca forza di volontà di vivere, io non devo estinguerla, smorzarla, nullificarla; anzi è l’esatto opposto: devo accettarla a tutti i costi, obietta Nietzsche. Proprio accettando la vita io la carico di un significato autentico. 

La vita deve passare da uno stato di cieca volontà di vivere, ad uno di “iper-vedente” volontà di potenza. Io devo poter vedere “hic et nunc” il mio destino. Io voglio questa vita, e faccio di tutto per accettarla e viverla così come mi si dà. 

Come si può spiegare la volontà di potenza?

La volontà di potenza nasce come un testo incompiuto, costituito da frammenti recuperati un po' ovunque e fatti pubblicare nel 1906. Potremmo dire che La volontà di potenza è il senso dello stare al mondo, la cui molla vitale è il sapersi affermare senza troppi giri di parole. Con e tramite la volontà di potenza l’uomo si impadronisce del suo destino facendone di esso ciò che vuole. 

L’uomo vuole la sua vita ed è in grado di imporre le proprie interpretazioni e i propri significati sulla realtà. La volontà di potenza è stato oltretutto un libro che si è fatto oggetto di propaganda e strumentalizzazione nazista, in quanto i contenuti esposti sono stati caricati di affermazione e potenza. 

Quali sono i contenuti esposti nel "La volontà di potenza"? 

Quest’opera fa principalmente riferimento ad un uomo forte; un uomo che sa ciò che vuole e riconosce la propria virtù: si tratta del super-uomo (i tedeschi lo chiamano così: Übermensch). 

L’opera era scritta in tedesco, quindi accessibile a gran parte dei tedeschi istruiti.  Hitler e tutti i nazisti fecero di questo superuomo, uomo dagli occhi azzurri, biondo e dai fascinosi lineamenti ariani. 

di Fabio Squeo

Un dialogo fra bambini


Carletto e Robertino sono due bambini che si parlano nei momenti di socializzazione all’asilo.

Robertino aveva assistito all’incontro di Carletto con la mamma all’uscita dall’asilo. Così ricordandosi delle coccole ricevute dall’amichetto, decise di porgli una domanda che avrebbe voluto fare molto tempo prima.

“Carletto, parlami della tua mamma, com’è?”

“La mia mamma è sempre con me, mi legge le favole e spesso mi porta alle giostrine. Lei mi vuole tanto bene … anche se qualche volta sono monello.”

“Si, però, dimmi di più… come ti senti quando ti bacia e ti stringe al petto?” Insistette il bimbo, riproponendo la domanda in modo più preciso.

“Sono felice e vorrei che continuasse. Non so dirti bene cosa mi succede, ma mi prende una certa magia che mi fa sentire speciale. Il mio cuore batte dí più ed io sento il suo così vicino che credo di stare dentro di lei.” Rispose Carletto mentre il suo viso si illuminava.

“Che bellooo. Come volevo provare anch’io questa tua gioia!"


Carletto, stupito, domandó: “Perché dici questo? La tua mamma è diversa dalla mia?”

“Penso che tutte le mamme sono belle, ma la mia non c’è più. Papà mi ha detto che è in cielo. Io però non ci credo. Non capisco perché è andata via senza di me. Ti giuro che non sono stato mai così cattivo da costringerla ad abbandonarmi.”

Carletto restó incredulo e un po’ terrorizzato all’idea di immaginarsi senza della sua mamma. Appena si calmò, disse con convinzione: “No, non è possibile che sia andata via. Ogni mamma non lascerebbe mai il suo bambino.”

Tentando di non piangere, Robertino rispose:
“Eppure é così! Non so a chi dirlo quanto mi sento tanto solo. Il mio papà fa di tutto per farmi dimenticare la mamma ed io gli faccio credere che ci riesce. Non voglio che sappia quanto mi manca e che rinuncerei a tutti i giocattoli del mondo pur di averla con me almeno un giorno. Povero papà, lo sorprendo molte volte incantato a pensare a chissà cosa. In quei momenti sono sicuro che pensa a lei.”


Carletto prese la mano di Robertino e suggerì: “Dai, ora giochiamo insieme e aspettiamo che la tua mamma ritorni. Sai, succede anche a me di stare lontano dalla mamma. Però, poi ritorna e dimentico tutte le mie paure. Non può esistere un bambino senza della mamma … lo ha detto la maestra all’asilo!”

Robertino strofinò la mano sull'occhio destro da dove era sfuggita una lacrima e si immerse nei giochi.

venerdì 14 marzo 2025

Cosa significa essere umani?

Fyodor Dostoyevsky

"Amo l'umanità", disse, "ma trovo con mio stupore che più amo l'umanità nel suo insieme, meno amo l'uomo in particolare". - Fyodor Dostoyevsky

Questa citazione di Dostoyevsky mi ha colpito molto, perché sembra che abbia approfondito qualcosa che solo pochissime persone si sono avvicinate,

Sembra che il grande pensatore russo abbia capito qualcosa di profondamente radicato nella nostra natura umana, assistendo all'abisso di ciò che siamo e di ciò che possiamo essere. Sembra che sia riuscito a riflettere su se stesso attraverso se stesso e da sé.

Ha osservato il mondo abbastanza a lungo da scoprire che l'umanità o la natura umana non è altro che un'entità maliziosa capace di odiare se stessa e il mondo che la circonda. O di usare tutto ciò che può a suo vantaggio con bugie ingannevoli per convincersi che ciò che sta facendo è ben lungi dall'egoismo.

Tra tutta questa confusione e perplessità si nasconde una domanda che mi lascia estremamente perplesso ogni volta che la pongo.

Cosa significa essere umani?

Essere umani significa agire da umani?

Se ci pensi un po’ ti rendi presto conto della difficoltà di trovare una risposta che poi non trovi obiezioni.

Sembra che una risposta, comunque sia, non si rivela di grande utilità poiché è scontato in quanto essendo esseri, qualunque cosa che potremmo pensare è un prodotto umano.

Esistono sono due aspetti dell’essenza umana: una parte accetta la sua natura primordiale, l’altra la combatte.

Le persone che rientrano nella prima categoria mentono, ingannano e feriscono gli altri per il proprio tornaconto. Fanno tutto il possibile per sopravvivere, anche se ciò va a discapito del prossimo. Questa parte, nei punti estremi, genera criminali, psicopatici.

La seconda parte fa di tutto tranne che cadere in questa natura primordiale e per questo si oppone e la rifugge. Generalmente sono gentili, premurosi e compassionevoli. Fanno tutto il possibile per dimostrare a se stessi di essere brave persone e di combattere quel lato primordiale, anche se non ne sono consapevoli, a meno che non ci riflettano.

Dopotutto, ferire gli altri o aiutarli ha poco a che fare con la moralità nella sua natura assoluta, ma piuttosto con ciò che la persona ritiene giusto o sbagliato.

Con questa premessa sulla duplice natura che abita ognuno di noi, si può veramente definire cosa significa essere umani?

Essere primordiali come la biologia ci ha plasmato? O cadere sotto l'affascinante incantesimo della razionalità e cercare sempre di essere contro la nostra stessa biologia?

Quale è reale? Qual è la vera definizione di essere umani?

Potresti esagerare un po' e dire che è nel trovare un equilibrio. È l'equilibrio di ascoltare la tua biologia quando dovrebbe essere ascoltata con una mente razionale.

È La soluzione perfetta, non è vero? 

È comoda una risposta che risolve praticamente tutto.

Ma dobbiamo andare oltre per sapere veramente se l'equilibrio è vero o no.

L'equilibrio è davvero una risposta, o è un modo di rientrare in una delle due categorie maledicendoci per l'incapacità di ricadere nell'altra?

Probabilmente ti convincerai che porsi la domanda solleva problemi "inutili", inducendo instabilità nei pensieri.

Forse, cercando risposte potresti imbatterti in una dura realtà che in qualche modo ti renderà cieco al lato buono, non per la sua inesistenza ma per le sue dimensioni incredibilmente ridotte rispetto al lato cattivo.

Ecco perché Dostoevskij scrisse quella citazione.

Non è una questione di cosa sia buono, ma di cosa sia cattivo e perché sembra che sia ovunque, non importa cosa facciamo per dargli un senso o per combatterlo.

 

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