giovedì 20 marzo 2025

Problematicità e mistero dell’essere nella relazione di esistenza

Gabriel Marcel (1989-1973)

 

Se per molti esistenzialisti atei, l’uomo esiste nella problematicità e si definisce mano a mano in una dimensione senza senso e senza scopo, con Gabriel Marcel l’esistenza non è più un problema, ma un dono. Questo fatto, chiaramente, ci dice che siamo davanti a un filosofo credente, religioso.

Gabriel Marcel è stato considerato il maggior esponente del contemporaneo “esistenzialismo cristiano”. Per i non addetti ai lavori, può sembrare una volgarità.  Se non vi piace Esistenzialismo cristiano, sostituite le due parole con “il mistero dell’essere”.

Dunque, Marcel è il filosofo del mistero dell’essere. Egli nasce a Parigi il 7 dicembre 1889 e muore a Parigi nel 1973.  All’età di quattro anni perde la madre. A diciotto anni consegue il diploma superiore e si laurea in filosofia alla Sorbona di Parigi nel 1907.  All’origine del processo conoscitivo vi è la ricerca filosofica attorno all’essere, al suo concetto; una indagine rigorosa che porta chiaramente ad una problematizzazione.

Cosa ne viene fuori?

Il problema. Se problematizzo su Dio, Dio diventa l’oggetto del mio problema. Se problematizzo sulla mia coscienza, la mia coscienza ne è l’oggetto del problema. Ad avviso di Gabriel Marcel non è proprio così.

Secondo Marcel, una indagine attorno al problema dell’essere, non può sussistere. L’Essere, dirà Marcel, non rappresenta un problema, ma un mistero. 

Che cosa è un problema?

Il problema è qualcosa che può essere analizzato, misurato, quantificato e risolto con strumenti matematici. L’Essere non è una equazione, non è un calcolo algebrico divisibile, scomponibile o frazionabile.   Il problema è qualcosa di risolvibile anche con la calcolatrice.

In altre parole, la categoria dell’Essere non rientra nel problema perché l’oggetto del problema (l’Essere) non è affrontabile in maniera “oggettiva”. Questo accade perché all’interno dell’essere, ci sono io con il mio essere che domanda. Ancora meglio: All’interno dell’essere, il soggetto si pone la domanda sull’essere che è (il soggetto medesimo) lo stesso essere.  Quindi, ad avviso di Marcel, l’oggetto della domanda riguarda anche il suo soggetto. Ergo soggetto e oggetto sono strettamente in relazione.

Con Ciò Marcel, prende già da subito le distanze da Cartesio, tra la res cogitans e la res extensa (tra la realtà pensante e la realtà fisica). In Cartesio avviene una separazione che in Marcel non avviene. In questa unità, all’interno di questo nodo di relazione soggetto-oggetto che si espleta il mistero. Il mistero dell’essere avviene come un atto puramente comprensivo, a mio avviso intuitivo: Il mistero è qualcosa in cui io mi trovo coinvolto, compreso, nel problema dell’essere: ed ciò mi impedisce di avere una chiara distinzione tra l’io e l’oggetto.

L’essere umano, dice Marcel, vive in una dimensione di questo tipo: È proprio questo “coinvolgimento dell’essere nell’essere stesso” che risveglia il mistero dell’Essere. Il mistero dunque è dell’homo viator, in cammino sulla via della com-partecipazione.

Non si nasce mai soli; incontriamo sempre il volto dell’altro sulla via dell’essere; mai dobbiamo disabituarci all’idea di aprirci a una dimensione intima e col mio mondo. Perché il mio mondo è anche il tuo. L’essere delle nostre domande è lo stesso essere su cui poggia la nostra esistenza. Questo ci ha insegnato Gabriel Marcel.


           di Fabio Squeo

mercoledì 19 marzo 2025

Auguri, papà

 

Caro papà,

oggi si celebra la tua festa. Io sono felice per questo anche se per me tu sei importante in ogni minuto della mia vita.

Il tuo ruolo nel mio mondo d’amore potrebbe apparirti secondario rispetto a quello della mamma, ma ti assicuro che non è assolutamente così!

I miei pochi anni mi chiedono di più la presenza di mamma, ma questo non vuol dire che non ho bisogno di te. Devi sapere che noi piccoli non abbiamo ancora imparato a fare le differenze. Non siamo in grado di avere una misura d’amore che ci permette di fare confronti.

Ti faccio un esempio. Tra i miei giocattoli trovo il leone, la giraffa, l’elefante. Ognuno di questi è bello e mi piace. Non capisco perché mi dovrebbe piacere di più la giraffa rispetto al leone. Entrambi sono miei ed esistono per farmi contento.

Sarebbe sciocco dire che non mi piace la giraffa perché ha il collo lungo, poiché diversamente non sarebbe più una giraffa. Oppure, sarebbe ancor più sciocco dire che non mi piace il leone perché fa paura; se non fosse così, non sarebbe un leone. Quindi ogni presenza ai miei occhi è bella e importante soltanto per il suo essere.

Non ti far ingannare da alcuni miei atteggiamenti. Mi fai ridere quando ti vedo preoccupato perché traduci qualche mia reazione come un gesto rifiuto. Noi bambini abbiamo i nostri tempi e le relative necessità.

Ora, papà, ti svelo un segreto. I bambini hanno dei modi naturali di comportarsi che l’adulto razionale giustifica negativamente. Ti ricordi quando tentavo di colpire con la testa il tuo viso? Ovviamente, tu e mamma mi avete rimproverato e riconosco che dovevate farlo! Però, sai perché lo facevo?

Per puro amore! Ti stupirai, ma è la verità.

Prima di giustificare questa risposta, voglio chiederti: quali sono i modi che ha un bambino per esprimersi e farsi capire, tenendo conto che non è ancora in grado di manifestare in chiaro le proprie necessità, ansie o paure?

Gli adulti conoscono un’infinità di parole eppure non si intendono, figurati come potrebbe farlo un bambino che mozzica le poche parole sentite un po’ qua e un po' là!  Di sicuro, pronuncio con chiarezza soltanto due parole: mamma e papà; tutte le altre sono ancora in costruzione.

Ora, però, ti sto scrivendo usando le parole del nonno. Così, tramite lui posso darti la spiegazione per le mie testate e ogni altro comportamento strano che ho assunto (compreso il lancio del peso finito malauguratamente su un posto sbagliato).

Lo sai cosa fanno i cuccioli dei leoni quando incontrano il loro padre? Li prendono a testate? Credi che vogliono fare del male? 

Per il leoncino è inconcepibile che il suo gesto possa provocare danni o suscitare una dura reazione del papà. Egli è convinto che l’enorme forza e autorevolezza del genitore sia la garanzia della sua immunità e quindi certezza di docile accettazione della birichinata. Pertanto, le testate del leoncino sono da interpretare semplicemente una ingenua provocazione del piccolo che intende provare l’amore del papà leone. Inoltre, il papà leone sarebbe stupido se prendesse sul serio le testate del leoncino e reagirebbe con una zampata pericolosa sul visino del cucciolo.

L’altra cosa che fa arrabbiare anche mamma riguarda il lancio degli oggetti. Non immagini come mi diverto vedendo le vostre facce sorprese!

Non credi che sia un bel modo che ho inventato per richiamare la vostra attenzione?

Ecco, noi bambini usiamo modi semplici per attirare attenzione. Beh, può succedere che qualche oggetto finisca nel posto sbagliato (come, per esempio sullo schermo della televisione), ma è dovuto al fatto che non siamo giocolieri, capaci di destinare con precisione il lancio.

Ho notato il tuo viso dispiaciuto, papà Scusami.

Il nonno mi dice che tutti i papà sono ponti silenziosi che uniscono le sponde di fiumi agitati. Sostengono il peso del loro compito con dedizione e lo fanno senza tanta scena. Loro si accontentano della gioia di preparare in discrezione un futuro luminoso per i loro figli.

Nel giorno della sua festa, il pensiero rivolto al papà è un riconoscere il suo impegno per rendere la strada della vita dei propri figli priva di ostacoli, ora e in futuro.

Grazie, papà.

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