mercoledì 14 maggio 2025

La coscienza che influisce sulla natura della luce

Albert Einstein - David Bohm


Energia e Luce sono responsabili di uno straordinario meccanismo impensabile a chi, immerso nel suo mondo vegetativo, non ha mai provato ad allontanarsi dal pensiero comune.

La descrizione di questo meccanismo potrebbe benissimo apparire come una volontà di discutere sul paranormale o di miraggi e fantasmi.

L’incredulità o un cortese scetticismo circonda normalmente queste argomentazioni.

Due studiosi, David Bohm, eminente fisico, e Karl Pribram, audace neuropsicologo, percorrendo due strade diverse nella prateria del sapere, sono giunti a una stessa determinazione.

Entrambi hanno scoperto come Luce ed Energia prendono in gioco il genere umano, forzando i limiti del suo sistema sensoriale, per costruire uno stupendo mondo illusorio molto vicino a miraggi e incantesimi.

Pribram, in seguito a sperimentazioni eseguite su cavie, non si spiegava perché asportando alcune parti del cervello, dove riteneva che si allocassero i nostri ricordi, questi non si riducevano, ma continuavano a rimanere nitidi. Non volle crederci, quando proseguendo con l’asportazione, fino a interessare una consistente percentuale della massa cerebrale, riscontrò l’intontimento e non la perdita selettiva di memoria della cavia.

Il riscontro gli giunse anche da colleghi che erano intervenuti su pazienti che, in seguito ad incidenti stradali, avevano subito l’asportazione o il danneggiamento di parti del cervello. Ciò lo indusse a pensare che la funzione di memoria fosse un’attività esercitata dal cervello nel suo complesso; come se fosse disseminata sull’intera superficie. Egli, però, non conosceva nessun meccanismo scientifico a cui poter ricondurre questa caratteristica.

Tutto questo non lo faceva stare nella pelle.

Immaginatevi come poteva essere la vita di questo povero signore che alternava momenti di stupore, in cui si voleva convincere che il fenomeno doveva essere frutto di una magia imperscrutabile, a momenti in cui ammetteva di non capirci più nulla, ritenendo impossibile trovare una spiegazione.

In un’altra università Bohm non si spiegava perché la luce aveva una duplice veste: a volte appariva come particelle in fuga forsennata, a volte come ordinati fronti d’onda che si espandevano nello spazio. Il fatto che lo faceva letteralmente impazzire di curiosità, era la sorprendente capacità di attraversare contemporaneamente due fori posti perpendicolarmente alla direzione di propagazione della luce.

Un altro illustrissimo fisico come Niels Bohr aveva fornito una spiegazione, ma appariva tanto divertente quanto fantasiosa, per cui gli era quasi impossibile solo prenderla in considerazione. Tanto più che, il grande Einstein la contrastava apertamente.

Per addurre comunque una spiegazione al fenomeno, pensò che la luce potesse essere una grande giocherellona; quando veniva guardata dall’occhio umano, diventava particelle in movimento, altrimenti assumeva la sua veste naturale, cioè quella ondulatoria.

Einstein, avendo postulato che nulla è più veloce della luce e avendo costruito la teoria del quanto per cui ricevette il premio Nobel nella fisica, avrebbe dovuto restituirlo, poiché le conseguenze logiche della teoria di Bohr avrebbero smentito tutto.

Einstein, insieme a un suo collega Podolsky, intervenne con un documento scritto, con cui spiegava come la nuova teoria di Bohr fosse errata.

I due scienziati ipotizzando la correttezza della teoria, non giustificavano come si potesse passare dalla forma ondulatoria a quella corpuscolare con il semplice atto di osservare la luce. Ammettendo comunque possibile la fantastica ipotesi di Bohr, si chiedevano a quale velocità potrebbe avvenire la comunicazione fra due fronti d’onda lontani tra loro, se al semplice puntamento dello sguardo la trasformazione fosse già completata.  Poiché la vista acquisisce le informazioni attraverso la luce, le particelle dovrebbero comunicare a una velocità maggiore della luce stessa affinché lo sguardo constati la nuova forma assunta.

Questa conclusione trova netta contrapposizione al principio indiscutibile che non c’è nulla di più veloce della luce.

Bohr intimamente sapeva che la sua teoria aveva bisogno di un supporto razionale più consistente per poterla difendere, ma mantenne la sua posizione con un chiarimento che produsse solo l’effetto di elevare il tono polemico nell’ambiente scientifico.

Egli precisò che la luce non assumeva i due modi alternandosi a seconda se lo sguardo umano fosse allineato o non, ma esisteva solo quando essa appariva come particelle ridenti e quindi, non sussistevano fotoni che avrebbero dovuto comunicare.

Pertanto la luce poteva mantenere il suo primato di velocità.

In altre parole, Bohr faceva notare che era errato il modo di porre l’obiezione in quanto il mondo subatomico non ammette suddivisioni in parti isolate e autonome.

Einstein, per non creare ulteriore imbarazzo al pur famoso collega, ammise che l’esplorazione del mondo subatomico era ancora un passo incompiuto della scienza e che sarebbero serviti anni di studio e riflessioni per chiarire definitivamente la questione.     

Bohm, comunque, non era d’accordo con Bohr quando affermava che le particelle non esistevano nel momento in cui non venivano osservate, ma aveva accettato l’idea che tra la fisica e la coscienza ci dovesse essere un nesso e non si dava pace nel pensare come inquadrare il mondo subatomico in una teoria complessiva che spiegasse ogni osservazione. Bohr aveva ammonito che nel subatomico bisognerebbe abbandonare il modo classico di pensare e rimanere aperti a qualunque possibilità logica.

 

Estratto dal "IL MONDO ILLUSORIO", edito Cinquemarzo

martedì 13 maggio 2025

Socrate: come dialogare efficacemente

  

 

"Socrate supera il fondatore del Cristianesimo nella sua capacità di essere serio con allegria e nel possedere quella saggezza piena di malizia che costituisce lo stato più elevato dell'anima umana." (F. Nietzsche, Umano troppo umano)

C'è una differenza fondamentale tra dibattito e dialogo. Si discute con un avversario, si dialoga con un altro ricercatore. I dibattiti sono intrinsecamente antagonistici, mentre i dialoghi sono sforzi collaborativi. Da giovani si fanno più dibattiti, da persone mature ci si impegna con i dialoghi.

Cercare la verità è la prima regola da seguire se vogliamo instaurare un dialogo socratico. Socrate usa rispettivamente i termini dialettica ed eristico. "Eristico" di solito non era inteso come un complimento nell'antichità. La parola deriva dal greco eris, che significa conflitto, discordia, e quindi ovviamente qualcosa che non favorisce una ricerca congiunta e amichevole della verità.

Socrate stesso spiega: "I giovani, come avrai notato, quando sentono il sapore in bocca per la prima volta, discutono per divertimento e contraddicono e confutano sempre gli altri imitando chi li confuta. ... Ma quando un uomo comincia a invecchiare, non sarà più colpevole di tale follia; imiterà il dialettico che cerca la verità, e non l'eristico, che contraddice per divertimento; e la maggiore moderazione del suo carattere aumenterà invece di diminuire l'onore della ricerca." (Repubblica, 539 d.C.)

La seconda regola prevede che il dialogante si preoccupi del suo interlocutore, non solo di ciò che sta dicendo. La maggior parte dei dialoghi platonici non ha il tipo di titolo che ci si potrebbe aspettare. Mentre lo stoico Seneca, ad esempio, scrisse libri con titoli come "Dell'ira" o "Della brevità della vita", Platone scrisse Carmide, Critone, Eutifrone, Gorgia, Fedro e così via. In altre parole, usò nomi di persone, non etichette per gli argomenti.

Questo perché la preoccupazione principale di Socrate era il tipo di ricerca della verità che avrebbe portato al miglioramento dell'umanità, a partire da sé stesso e dai suoi interlocutori. La sua indagine sulle proposizioni è sempre al servizio dell'esame degli individui e di come conducono la loro vita seguendo (o meno) i principi che affermano di rispettare. Questo è molto diverso da gran parte della filosofia moderna, che si concentra su argomenti astratti e impersonali, senza riguardo (presumibilmente) a chi sostiene le argomentazioni.

Al contrario, la filosofia antica, e in particolare quella socratica, era intesa come una sorta di terapia per l'anima. Ciò che pensiamo di argomenti come il coraggio, la giustizia, la pietà e così via è un riflesso della nostra visione generale del mondo. A sua volta, la nostra visione del mondo guida le nostre azioni, quindi ciò che pensiamo è importante perché riflette e plasma chi siamo e cosa facciamo.

La terza regola consiste nel dare priorità alla ragione. Sebbene a volte Socrate possa sembrare che stia discutendo con i suoi interlocutori, in realtà li mette nella posizione di discutere con sé stessi. Socrate presuppone un punto di partenza che sia gradito alla persona con cui sta parlando e poi esplora le conseguenze di tale punto di partenza. Lo fa con un occhio di riguardo alle possibili incongruenze, in modo da poter trarre insegnamento da qualsiasi problema emerga nel processo.

L'identità della persona e il suo status – ricco o povero, famoso o sconosciuto – semplicemente non hanno importanza. È solo la logica interna di ciò che dicono ad essere in questione. Ecco perché Socrate è sempre cortese: non vede l'altro come un nemico, ma come un compagno di viaggio.

La quarta regola prevede che tu sia onesto. Uno degli ostacoli alla buona dialettica si verifica quando le persone hanno paura o sono reticenti a dire ciò che pensano veramente, per paura di offendere gli altri, ad esempio, o di apparire stupide. Ricorda che l'obiettivo finale è terapeutico: la cura della psiche. Non dire ciò che si pensa veramente ostacola e rallenta la cura, sarebbe come mentire al proprio medico o terapeuta.

È interessante notare, tuttavia, che questo requisito di sincerità non si applica al socratico interrogante stesso. Per svolgere bene il suo lavoro, a volte deve fingere di condividere un presupposto o un'argomentazione con cui in realtà non è d'accordo, per chiarire tale presupposto o argomentazione ed esporla alla luce dell'indagine razionale.

La quanta regola vuole che si applichi il principio del testimone unico. Oggigiorno si sente spesso dire qualcosa del tipo "tutti sanno che...". Beh, a quanto pare questo era un problema anche ai tempi di Socrate. Argomentare in questo modo, secondo l'opinione della maggioranza, è una nota fallacia logica informale, nota come vox populi. La conversazione avviene tra te e il tuo interlocutore. Non importa quante e come le persone esterne al dialogo pensino sull’argomento. Ciò che conta è ciò che pensano le persone coinvolte nella conversazione.

La sesta regola invita a praticare il principio di carità. L'idea è di rappresentare ciò che l'altro sta dicendo nel miglior modo possibile, anche al punto di aiutare l'interlocutore a presentare una tesi migliore di quella iniziale. Questo è esattamente l'opposto di un'altra fallacia logica informale, lo "spauracchio". In quest'ultimo caso, si attacca una caricatura della posizione dell'altro, una caricatura che distorce e semplifica eccessivamente le cose in modo da poter prevalere più facilmente.

Lo "spauracchio" è ciò che fanno avvocati e oratori, usarlo non favorisce il discorso dialettico. È distruttivo, non costruttivo. 

L’ultima regola ti dice di non offendere. Viviamo in un mondo in cui tutti sembrano offendersi per qualsiasi cosa. E l'offesa non favorisce il dialogo e la comprensione, perché le persone adottano immediatamente un atteggiamento difensivo. Ancora una volta, niente di nuovo sotto il sole. Dopotutto, Socrate fu condannato a morte perché portato in tribunale da persone, in particolare dal famigerato Anito, che si erano offese per quell'attività, definendola il "tafano" di Atene.

Se non vogliamo offendere, dobbiamo formulare le cose con attenzione, consapevoli che alcune persone considerano certe opinioni parte integrante della propria identità, il che significa che prenderanno qualsiasi critica a tale opinione come un attacco personale. Si pensi a casi come la questione delle vaccinazioni, o il cambiamento climatico.

È, ovviamente, altrettanto importante non offendere noi stessi. Se leggete i dialoghi socratici, noterete che Socrate è estremamente cortese con i suoi interlocutori, anche quando diventano offensivi. Ecco perché è un modello così importante per noi, due millenni e mezzo dopo.

Detto questo, ci sono casi in cui Socrate diventa palesemente sarcastico, e alcuni in cui usa parole di disprezzo davvero forti. Sta forse commettendo un errore, come farebbe qualsiasi essere umano imperfetto?

Non necessariamente. Tutti questi casi finiscono per riguardare persone che sono allo stesso tempo potenti e ridicolmente piene di sé. In casi come questi, immagino che il tafano abbia pensato solo di mordere e sgonfiarsi, in modo che gli altri non si lasciassero intimidire dai bulli, intellettualmente o meno capaci.

 

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