lunedì 3 marzo 2025

MARINO e gli amici delfini

 

In un pittoresco paese incastonato sul mare della Croazia, abitava un bambino con occhi azzurri e capelli biondi.

Marino, così lo avevano chiamato i suoi genitori, amava molto il mare e ogni giorno la prima cosa che faceva prima di andare a scuola, era fare una nuotata rigenerante nelle fresche acque della baia di fronte casa sua.

Una mattina, scendendo il pendio che portava alla spiaggia di sabbia bianchissima, notò qualcosa di molto strano: due piccoli delfini erano distesi sulla riva uno accanto all’altro e sembravano addormentati.

Marino si avvicinò per controllare che stessero bene, ma quando si sedette accanto a loro per accarezzarli, vide che entrambi piangevano.

“Amici delfini, cosa vi è successo? Come mai siete finiti qui, fuori dall’acqua?” – chiese preoccupato.

Uno dei due spalancò gli occhi ed emise un suono soffocato come se qualcosa gli impedisse di parlare. Cercò anche di muoversi ma era esausto e riuscì a spostarsi  soltanto di qualche centimetro.

Guardando meglio Marino notò che dalla bocca del delfino spuntava un involucro di plastica arrotolato e capì che doveva intervenire subito per far respirare meglio il piccolo cetaceo.

“Ora vi aiuto io” – aggiunse mentre tirava con cautela una busta trasparente dalla bocca di entrambi i delfini.

“Grazie!!” – risposero dopo aver respirato profondamente – “ci hai salvato la vita, non riuscivamo quasi più a respirare. Come ti chiami? Noi siamo Joan e Luna.” disse Joan già rinfrancata..

“Io mi chiamo Marino. Ma come avete fatto ad arrivare quaggiù?”

“Eravamo in giro con il nostro papà, stavamo mangiando del plancton quando all’improvviso qualcosa di trasparente e gelatinoso ci è entrato in bocca e ci siamo sentite soffocare. Non riuscendo a nuotare bene, la corrente ci ha sospinte sulla spiaggia, mentre papà si allontanava credendo che fossimo dietro di lui.” – raccontò Joan guardando sua sorella Luna.

“Che sventura! Sono così dispiaciuto per voi. Ora però il peggio è passato, dovete riprendere le forze e tornare in mare aperto. Tra poco arriverà l’alta marea e sarà più facile riprendere il largo”.

Marino si posizionò tra i due delfini e cercò di aiutarli ad andare in acqua.

Luna, ripresa un po’ dalla stanchezza, ringraziò anche lei timidamente il bambino. Poi gli disse: “Verresti con noi a cercare nostro padre?”

“Certamente!” – rispose con entusiasmo – e così dicendo salì in groppa a Joan e insieme cominciarono a nuotare.

Appena arrivati in mare aperto, Marino cercò di guardare il più lontano possibile con il suo binocolo e presto avvistò un gruppo di delfini adulti probabilmente rimasti nei paraggi con la speranza di ritrovare i piccoli che si erano persi.

“Tieniti forte! Ora li raggiungiamo”  – gridò Joan e cominciò a nuotare più velocemente.

Luna li seguiva poco distante e appena ritrovato il papà subito disse: “Papà, papà eccoci qua. Stiamo bene. Siamo salve grazie a questo bravissimo bambino! Senza di lui non ce l’avremmo mai fatta!” - aggiunse raccontando la loro disavventura.

“Ti saremo per sempre riconoscenti. Non tutti si sarebbero comportati come te” – rispose papà delfino – “A molte persone non interessa nulla di noi. Sapessi quanti pesci muoiono ogni anno perché ingeriscono rifiuti di plastica e di altro genere che voi umani lasciate finire in mare senza rispetto”.

Nella voce di papà Delfino c’era tanta tristezza. Aveva perso molti amici a causa dell’inquinamento.

Anche Marino si rattristò. “Non credevo fosse così grave il problema dei rifiuti. Eppure tutti gli abitanti del paese che conosco amano molto il mare”. 

“Purtroppo molte persone lo usano quasi come una discarica, non curandosi dei danni che possono provocare” – intervenne dagli abissi Sua Maestà Nettuno che,  grazie ai suoi poteri magici, aveva seguito tutta la vicenda.

“Aiutaci Marino, fa capire a tutti gli abitanti del paese che devono essere più rispettosi dell’ambiente!” – dissero Joan e Luna.

“Farò del mio meglio. Appena rientrato a casa mi metterò all’opera“.

“Ti vogliamo bene Marino,  siamo felici di averti conosciuto” – gridarono tutti i delfini, salutando allegramente con le pinne.

Joan riportò il bambino verso il paese, lasciandolo in una caletta diversa dove l’acqua era più profonda per non rischiare di rimanere incagliata e Marino raggiunse la riva a nuoto.

Qui si rese effettivamente conto di quanto grave fosse il problema dell’inquinamento: quella spiaggia, molto vicina alla strada, era piena zeppa di rifiuti di ogni tipo. Bottigliette di plastica, lattine, cartacce, cocci di vetro e una miriade di mozziconi di sigarette infestavano  la sabbia ed erano dispersi ovunque.

Marino rimase allibito alla vista di quello scempio e promise a sé stesso che avrebbe fatto di tutto per porre rimedio a quel disastro.

Appena arrivato a scuola informò i suoi insegnanti di quello che era accaduto e propose di organizzare una campagna di sensibilizzazione per tenere pulite le spiagge del paese.

Gli insegnanti furono subito entusiasti ma alcuni suoi compagni non volevano aderire al progetto.

“Perché dobbiamo raccogliere noi rifiuti che hanno buttato altre persone?” – esclamarono contrariati alcuni di loro.

“Anche se non siamo stati noi, possiamo essere di esempio agli altri. E poi, ripulendo le spiagge tutti quei rifiuti non metteranno più in pericolo la vita di moltissimi animali marini” – ribattè Marino con occhi pieni di speranza.

Così, il giorno dopo, un bel po’ di gente, attrezzata di guanti,  sacchi e tanta buona volontà,  lavorando di gran lena fino all’ora prima del tramonto, ripulì tutte, ma proprio tutte  le spiagge del paese.

Anche il Sindaco, vedendo i cittadini all’opera, volle dare il suo contributo: fece dotare tutte le spiagge di numerosi contenitori per la raccolta differenziata da utilizzare in modo che i rifiuti non finissero più in mare.

E non solo. Impose anche multe “salate” a chi non avesse rispettato le regole anti-inquinamento.

Marino era proprio orgoglioso di quello che era avvenuto in seguito al suo suggerimento.

Una sera, mentre faceva il bagno nella sua baia preferita, sentì il fischio dei delfini poco lontano da lui. Alzò lo sguardo, nuotò un po’ più avanti e riconobbe le sue amiche Joan e Luna che lo salutavano saltellando nell’acqua.

Sicuramente quello era il loro modo di ringraziarlo a nome di tutti gli animali marini.

Però la storia non finisce qui…

Anche sua Maestà Nettuno volle lasciare un segno di profonda gratitudine a quel bambino coraggioso e intraprendente e fece una piccola magia: da quel giorno, tutte le volte che Marino guardava il mare o si prodigava per aiutare gli amici delfini, i suoi capelli diventavano blu, azzurri e verdi proprio come i meravigliosi colori del mare.
 
di Giovanna Sgherza

sabato 1 marzo 2025

Perdere la fiducia

 

Perdere la fiducia nel prossimo è una malattia mortale.

Si bruciano i germogli della speranza, si chiudono gli occhi dell’ottimismo, si stabilisce un calmo e sterile buio interiore.

Ci si sente soli muovendosi tra la folla.

Brevi frasi fatte con le stesse parole, ripetono esperienze vuote di entusiasmo, spente di passione e prive di sentimento; si muore rimanendo nel corpo.

La lenta progressione della malattia è silenziosa, si cela dietro gli steccati seriosi del lavoro, degli sfortunati eventi di vita che producono menomazioni fisiche o psicologiche.

Il bisogno di vivere insieme e di legarci con i sentimenti in una comunione che va oltre la nostra ragione, trapela dalle abitudini e dalle tendenze comportamentali.

Vogliamo inconsapevolmente stare insieme, come la terra che ci fa roteare con sé e contemporaneamente intorno al sole, ci porta in giro per l’universo.

La forza di gravità agisce come una potente calamita, costringendoci a rimanere attaccati alla superficie e imitando così, la forza dell’amore che lega le anime.

Solo per questo motivo capisco perché si inumidiscono gli occhi al più piccolo gesto di tenerezza; capisco da dove vengono tutte quelle emozioni che la musica, la poesia e l’arte tutta, inducono.

Capisco, anche, perché darei tutto me stesso a chi chiede solo un abbraccio.

Il genere umano ha avuto un grande dono che, per la sua stessa grandezza, gli appare invisibile; si tratta della capacità di emozionarsi.

Non emozionarsi significa amputarsi la parte migliore del proprio essere.

La morte, almeno per i Cristiani, è un varco di frontiera tra la terra e il Paradiso; un passo necessario ma comunque transitorio, mentre la morte delle emozioni conduce a uno stallo esistenziale perenne.

Uno stimato scrittore (Paul Auster) che porta in sé alcune cicatrici di questa malattia, scrive quanto segue:

"Credo nonostante tutto che ogni persona sia sola tutto il tempo. Si vive soli. Gli altri ci stanno intorno, ma si vive soli. Ognuno è come imprigionato nella sua testa e tuttavia noi siamo quello che siamo solo grazie agli altri. Gli altri “abitano” noi. Per “altri” si deve intendere la cultura, la famiglia, gli amici. A volte possiamo cogliere il mistero dell’altro; penetrarlo è talmente raro! È soprattutto l’amore a permettere un incontro di questo genere. Circa un anno fa, ho ritrovato un vecchio quaderno dei tempi in cui ero studente. Lì prendevo appunti, fermavo delle idee. Una citazione mi ha particolarmente impressionato: -Il mondo è nella mia testa. Il mio corpo è nel mondo-. Avevo diciannove anni e questa continua a essere la mia filosofia."

Gli altri “abitano” noi, se siamo in grado di accoglierli, se la malattia non ha murato gli ingressi.

Tutto ciò che l’uomo scopre, è sempre un passo dopo il precedente. Il passo successivo non si sa dove ci porta, però, se mosso dal bene, sicuramente quel luogo sarà migliore di quello in cui viviamo oggi.

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