lunedì 22 luglio 2024

Il cucciolo abbandonato

 

Scrivere questo post non è stato facile per me, ma la storia deve essere raccontata. Non tutto ha un finale da favola ma questa volta poco ci manca.

La giornata stava andando bene. Rientravo a casa dopo un lungo lavoro presso un cliente a 50km di distanza da dove abito. Guidavo e pensavo a come organizzarmi per il giorno successivo. Ero un insegnante presso la scuola pubblica e contemporaneamente un libero professionista che offriva servizi ad alcune aziende della mia zona per cui avevo il mio bel da fare per conciliare le due attività. 

Ad un certo punto, lungo la strada sul mio fianco sinistro, vidi muoversi qualcosa. Incuriosito, rallentai e così potetti individuare un cane di piccola taglia legato ad un grosso albero. Fortunatamente, a quell’ora serale non circolavano macchine, così ebbi modo di accostarmi con colma su una rientranza della carreggiata per cercare di capire come essere utile per quel poveretto. Non sapendo il suo nome, usai il più classico dei nomi per famigliarizzare con lui. Bobby, in primo momento ebbe timore di me, ma quando mi avvicinai per tranquillizzarlo, iniziò un lento scodinzolo. Capii che si trattava di un cane selvaggiamente abbandonato con il triste destino di morire di stenti. Il mio cuore si gonfiò per la pena di non sapere cosa fare. Pensare di portarlo a casa avrei rischiato la terza guerra mondiale con mia moglie. Forse potevo metterlo in auto e lasciarlo in una zona dove con molta più probabilità qualcuno avrebbe potuto adottarlo. Avevo una bottiglia d’acqua nel cofano posteriore; la presi e mi avvicinai per dissetarlo.

Mentre mi adoperavo in questa operazione, un’altra macchina si fermò in coda alla mia. Scese una donna di mezza età e mi venne vicino chiedendo notizia del cane. Spiegai la situazione e di come poter rimediare al brutale abbandono di quel docile animale. 

Evidentemente, esiste un Dio degli animali perché aveva fatto fermare la persona giusta per quella occasione.  La donna era proprietaria di una fattoria adibita ad agriturismo. Inoltre, era anche una amante dei cani. Si intenerì così velocemente di quell'esserino che mi sollevò da ogni responsabilità nei suoi confronti. Lei mi assicurò che lo avrebbe portato alla sua tenuta, lo avrebbe curato e aggiunto alla famigliola di cani che già possedeva.  

In quell’occasione, mi dichiarai più fortunato del cucciolo!!!

 

Un miracolo in 3^C



Serena (non è il suo vero nome) era una delle studentesse meno performanti. Una ragazza introversa di famiglia numerosa, era educata e si comportava in modo impeccabile con un sorriso bellissimo e accattivante. Frequentava la terza classe di informatica della mia scuola. Sin dalle prime lezioni denunciava una evidente difficoltà nel comprendere gli argomenti trattati e ogni volta rimaneva un po' indietro rispetto al resto della classe. All'inizio pensavo che avesse difficoltà perché l'ordine dei suoi pensieri poco si conciliavano con la rigorosità dei formalismi tecnici, ma questo problema era generalmente lo stesso per la maggior parte degli alunni per cui non poteva essere una giustificazione. Mi consultai con i miei colleghi del consiglio di classe e tutti manifestarono la mia stessa perplessità. Ci furono riunioni in merito alle difficoltà di Serena e si pensò che la ragazza dovesse avere qualche disturbo dello sviluppo, ancora non diagnosticato.

Il consiglio di classe programmò degli interventi mirati: lavoro di gruppo extra, materiale di supporto, assistenza individuale e persino lezioni dopo la scuola. Tuttavia, il quadro non cambiò: stava "l'alunna stava lavorando al di sotto dello standard previsto". Volendo essere brutalmente sincero, la ragazza era molto, molto al di sotto del minimo accettabile. Aveva addirittura problemi con le basi dell’aritmetica.

Durante le mie lezioni sembrava prestare attenzione, annuiva e mi lanciava quel suo bel sorriso mentre le rivolgevo lo sguardo e a volte dava persino quel piccolo sussulto di consapevolezza per cui vivono gli insegnanti: il "Oh sì, ho capito!" che rende il lavoro così utile. Invece Serena continuava a non capire; cercava soltanto di compiacere.

E poi, un giorno, Serena alzò la mano. Era abbastanza insolito da essere incoraggiante, ma quando continuò, non solo per rispondere alla domanda che avevo appena posto, ma riuscì anche a dare una spiegazione molto chiara a tutta la classe del metodo utilizzato, non potevo credere a ciò a cui stavo assistendo.

Mentre correggevo il suo lavoro, restavo ancora più sbalordito. Questa ragazza, che aveva avuto tutti i sostegni educativi, improvvisamente dimostrava una competenza inspiegabile. La sua lettura divenne improvvisamente più sicura e fluente e la sua scrittura più comprensibile. Il suo apprendimento stava accelerando come un razzo. Cosa diavolo era successo?

Glielo chiesi. Sembrava sorpresa quanto me. Non c'erano state lezioni extra, non aveva improvvisamente preso in mano un libro che aveva senso per lei o non le erano state spiegate cose da un fratello o un amico. Aveva solo scoperto che, un giorno, tutto sembrava avere molto più senso.

Come tutti gli insegnanti di scuola, dovevo partecipare a riunioni trimestrali sui progressi degli alunni. Trascorrevo lunghe serate ad analizzare attentamente il lavoro dei ragazzi e i voti ottenuti in modo da poter dare loro un "livello" di competenza acquisito in coerenza con il presupposto era che tutti i ragazzi imparassero in modo davvero lineare, costruendo gradualmente un risultato dopo l'altro a un ritmo regolare.

Quindi, quando sono andato alla riunione molti apparivano scettici sui grandi progressi Serena. Probabilmente pensarono che quelle positive valutazioni fossero frutto del mio “buon cuore”.

Nel caso di Serena, mi sono presto reso conto di non aver fatto niente di particolarmente eroico, almeno niente che non facessi normalmente. Serena aveva fatto progressi grazie alle sue intrinseche capacità, ma soprattutto perché era finalmente pronta a farlo.

Una cosa simile accade quando i bambini imparano a parlare e persino quando imparano a camminare. Alcuni bambini non parlano molto da neonati, ma ascoltano ancora e, quando decidono di avere qualcosa da dire, presto raggiungono i loro coetanei.

Quindi questa, ovviamente, dovrebbe essere una storia di successo. Dimostra che i ragazzi spesso recuperano, anche se hanno un inizio più lento rispetto agli altri. Il problema è che ora abbiamo inventato un sistema educativo che ha una fretta incredibile di spingere i giovani sempre più avanti prima che siano pronti. Ciò significa che molti di loro, quando non raggiungono esattamente uno standard previsto in tempo, possono sentirsi dei falliti.

 

domenica 21 luglio 2024

Vivere il momento


Andrea amava sedersi sul muretto basso del porticciolo e nella quiete serale ammirare i riflessi di luce sulla superficie dell’acqua. Per lui erano segnali e inviti alla riflessione, godendo del film della natura.

Improvvisamente, la sua beata immaginazione fu interrotta: “Buonasera, professore! Si ricorda di me?”

Andrea non ricordava il nome di quel giovane, ma il viso, seppure più maturo, gli fece ricordare l’eclettico allievo di molti anni addietro e quindi rispose: “Non ricordo più il tuo cognome ma il tuo sguardo mi riporta indietro negli anni.”

“Sono Gianni Cataldi, corso C di informatica, 2010.” Disse il giovane con ampi sorrisi.

“Bene! Vedo che la tua vivacità persiste ancora. Dimmi che fai ora? Lavori?” Andrea mostrò gioia di ritrovare il suo vecchio insegnante.

“Sì! Lavoro e ho anche una bella famigliola!”

“Mi fa piacere sentirti dire questo. Allora sei veramente Felice?” disse Andrea con un sottofondo di ironia.

“Beh, la felicità è una parola grossa! Direi di essere abbastanza contento.”

Poi Andrea aggiunse: “Vorrei sbagliarmi, ma quando si usa la parola abbastanza, qualche problema si nasconde sempre.”

“Professore, non siamo in paradiso dove va tutto sempre bene!” Gianni abbozzò un sorriso frutto di formalità.

Andrea capii di aver toccato la suscettibilità del giovane, così tentò di spiegarsi: "Gianni, non prenderla sul personale, ma la tua generazione ha disimparato, o forse non ha mai imparato, l'abilità più importante per vivere una vita felice. Questa abilità garantisce una salute mentale stabile, una forte resilienza e una felicità duratura".

"Quale sarebbe questa abilità?" Domandò curioso.

"La gratitudine".

“Oh no!” – disse in sé, Gianni, infastidito – “Ecco ancora una volta la sua predica sulla mancanza di gratitudine, di rispetto ed etica che porterà inevitabilmente alla caduta della società. Come se questa storia non l'avessi già sentita mille volte.”

Volendo mantenere i buoni modi e abbandonare il discorso che si avviava verso il sermone, il ragazzo rispose: "Certo, è vero! Mi ha fatto piacere rivederla professore … stavo appunto tornando a casa e ..."

La fuga fu annullata perchè Andrea continuò a parlare: "Non è che la tua generazione non sia in grado di essere grata in generale. Sei bravo quanto qualsiasi altra generazione in questo".

“Ok, questa è una novità!” Pensò Gianni.

Intanto, Andrea incalzò: "Quello che manca è la capacità specifica di essere grati per le piccole cose".

"Cosa intendete?", chiese il ragazzo mentre si tratteneva ad allontanarsi.

"Essere grati per le grandi cose della vita è facile. Tutti possono apprezzare una promozione, un matrimonio, la nascita di un figlio o la guarigione da una malattia. Poche persone, tuttavia, apprezzano le cose belle che accadono ogni giorno".

Andrea stava ponendo in risalto una tendenza che andava di pari passo con l'ascesa dei social media: "Immagina questo: stai per tornare a casa dal lavoro. Per tutto il giorno non vedi l'ora di guardare il tramonto mentre guidi verso casa. Proprio prima di partire, tuttavia, vai su Internet e scopri che un tuo vecchio compagno di classe ha comprato una macchina lussuosa. Quanto vale in quel momento il tuo tramonto nuvoloso sull'autostrada? Niente. Rispetto a quello che potresti avere, non vale molto".

Gianni Annuì. Aveva capito! Oggi, ci sono un milione di modi per confrontarsi con gli altri. Non importa quanto sia fantastica la propria vita, in pochi secondi si può trovare qualcosa di più grande. È difficile essere grati per le piccole cose che hai quando sai che potresti avere molto di più.

"Perché dovresti rallegrarti di aver comprato una giacca nuova quando Mark Zuckerberg si è comprato una nuova isola privata? Questo modo di pensare è sbagliato perché basa la felicità sul confronto!"

Gianni non poteva dargli torto. Si rese conto che ciò di cui Andrea parlava era il dipinto della realtà.

"Invece di trarre felicità dai paragoni, questa dovrebbe provenire dall'atto, dalla cosa o dal momento in sé. Quando mangi un buon pasto, non sei grato perché ha un sapore migliore di quello che hai mangiato ieri, sei grato perché ne apprezzi il sapore in quel momento!

Lo stesso dovrebbe valere per ogni cosa. Sii grato per le piccole cose che hai, perché rendono la tua vita migliore. Anche in mezzo al caos della tua vita, puoi apprezzare un breve momento di riposo".

"Ma che dire della forza delle relazioni sociali, di una carriera appagante o dell'attrattiva?" - domandò Gianni – “Non sono tutti fattori tipicamente associati alla felicità?”

Andrea rise: "Ormai sono vecchio abbastanza per aver conosciuto molte situazioni. Ho incontrato molta gente che raccontavano di aver avuto matrimoni fantastici, figli meravigliosi e carriere appaganti, ma anche convinti che le loro vite fossero miserabili. Ho anche incontrato una povera mamma single, che aveva tre lavori contemporaneamente, con un bambino malato a casa, che trovava la felicità ogni giorno".

Andrea si prese una pausa, come voler invitare il ragazzo alla riflessione, lo guardò e disse: "Dimmi questo, Gianni: come puoi essere felice se continui a inseguire qualcosa di meglio? Perché cercare la felicità in ciò che potresti avere quando hai già così tanto per cui essere grato?"

Quelle parole rimasero impresse per molto tempo nella mente del ragazzo. Si era reso conto come lui stesso stesse diventando meno grato. Concentrato sul suo lavoro e altri obiettivi, spesso trascurava il presente.

La felicità non è il risultato di un lungo processo di lavoro verso un obiettivo lontano. La felicità è la somma di ciò per cui siamo grati ogni giorno.

 

sabato 20 luglio 2024

Vivere lentamente


Vivere lentamente non significa non fare nulla. Significa fare di meno, ma con più intenzione. Significa riscoprire la gioia nelle cose semplici, quelle che spesso trascuriamo nella nostra fretta.

Stamattina il sole di luglio si è allungato nel cielo. Mi sono svegliato quando volevo. Ora posso permettermelo! È una piccola cosa, ma è diversa. Nessuna corsa frenetica, nessuna lista di cose da fare, nessun piano e nessuna grande responsabilità. Solo... tempo.

Svegliandomi, non mi sono buttato subito nelle "cose ​​da fare". Invece, mi sono abbandonato all’ozio. Ho letto articoli che in altri tempi non avrei mai pensato di fare.

Il silenzio e la calma sono un bel cambiamento rispetto alla solita fretta. Riesco a sentire gli uccelli cantare, vedo i bei fiori sul balcone e mi godo il mangiare lentamente senza preoccuparmi di essere in ritardo. È un'esperienza rilassante che mi ha aperto gli occhi sulla bellezza del mondo che mi circonda, consentendomi di apprezzare le piccole cose che spesso passano inosservate nella frenesia della vita quotidiana. Sono queste piccole cose che ho perso nella fretta. 

Conosci quella sensazione di correre per un motivo o un altro? Responsabilità, commissioni, progetti: tutto si confonde. Da un po' di tempo, sto prendendo un respiro profondo e lascio che le giornate scorrano un po' più lentamente. Non si tratta di essere pigri, si tratta di notare con più attenzione ciò che ti succede.

Da ragazzo, trascorrevo le mie estati al mare con amici, sudando, correndo dietro un pallone su un occasionale campo di calcio. Non avevo nessuna pretesa, oltre a divertirmi e sentirmi parte della natura.  Da quando ho dovuto fare il marito e poi il padre tutto è cambiato. Troppe responsabilità mi costringevano a correre. 

Intanto, è cambiato anche la bellezza di quei luoghi. Dove c’erano sterpaglie, erba alta, terra battuta da lucertole, oggi ci sono costruzioni in cemento, abitazioni private con giardino e piscina interna e tanto asfalto. Ricordo come se fosse ieri quando mi incamminavo per andare al mare a qualche centinaio di metri da dove abitavo. L’aria frizzantina del primo mattino mi apriva i polmoni. La gioia di procedere con maschera e pinne nella rete a zaino portata sulle spalle era visibile. Durante il percorso incontravo i bagnanti del giorno prima con il classico ciambellone nero a tracolla a riprova di un rito che si rinnovava giorno dopo giorno, fino alle prime piogge di fine agosto. 

Sai, è un'esperienza agrodolce ritornare su quei passi d’un tempo, soprattutto quando hai perso i vecchi amici e non ci sono più i tuoi genitori.

Probabilmente, la vera felicità risiede in una serata tranquilla trascorsa sul balcone con un buon libro tra le mani. Sospendendomi, non ho paura di perdermi qualcosa; al contrario, trovo gioia in questo, che mi consente di essere presente e coinvolto nelle esperienze che scelgo. Invece di sentire una pressione costante per inseguire la "seconda cosa migliore", posso assaporare i momenti che risuonano veramente con me. C'è libertà nel lasciar andare la necessità di stare al passo con i momenti salienti di tutti gli altri. Mi consente di definire cosa significa "divertimento" a modo mio.

C'è davvero una certa pigrizia in questo atteggiamento, una buona pigrizia. Non quella che ti tiene a letto tutto il giorno, ma quella che ti permette di respirare. Di apprezzare il cinguettio degli uccelli, le farfalle in giardino, il modo in cui ogni pianta danza al soffio del vento, il lento gocciolare di un cono gelato, il modo in cui la luce del sole filtra attraverso la finestra e il modo in cui il cielo cambia colore.

Nella tempesta degli impegni di lavoro, rallentare era insolito. Sembrava così strano. Accusavo un inspiegabile disagio nel muovermi a un ritmo più lento, sebbene una vocina interna mi sussurrava: "Va bene rallentare. Non devi sempre correre."

Ultimamente abbracciare la lentezza mi ha davvero offerto la possibilità di riconnettermi con me stesso, con ciò che mi circonda e con le semplici gioie della vita che spesso passano inosservate nella frenesia della vita quotidiana.

Quindi, ho scelto di rallentare, di respirare profondamente e di vivere davvero il senso di esistere. Questo, credo, è il vero significato di slow living: assaporare il viaggio, non solo la destinazione.

A volte le cose più importanti non sono nella lista di cose da fare, si trovano nel silenzio intermedio.

 

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