lunedì 1 settembre 2025

Gli impostori dell'amore

 

L’attività dell’amore è amare. 

Il verbo porta con sé il significato di azione. Il suo intendo è fornire cibo all’anima. Esiste ed agisce per il bene di qualcuno che può essere un figlio, un compagno di vita, una qualsiasi persona che in qualche modo, entrando nella sfera dei sentimenti, sia diventata una presenza importante. 

Non pone condizioni alla persona a cui rivolge il bene: sia egli un principe o l’ultimo povero della strada. Ha bisogno della sua partecipazione completa affinché possa dimorare nel cuore; ha bisogno anche di un ambiente dove si respira aria “amorevole”.

Spesso è accompagnato maldestramente dalla passione per la quale facilmente gli addebitano la follia, ma che gli è indispensabile per muovere la volontà a dispetto della razionalità. 

Quando l’amore è in azione utilizza le emozioni per trasferire la gioia, il sorriso per aprire la strada e rompere la diffidenza. Crea empatia, fiducia per superare timori, circospezioni. Appena giunge in un cuore nuovo, inizia a rivoluzionarlo; lo libera dalle paure, elimina tensioni e comincia a coprire d’oblio i risentimenti. 

Gli interessa stabilire un clima interiore sereno prima di produrre del bene. Spesso l’odio, coltivato dalla cattiveria, costruisce mura invalicabili per cui il suo compito diventa arduo e gli occorre tanto tempo per demolire le sofisticate fortezze egoistiche.

Esistono figure che si spacciano per Amore. Si chiamano Interesse, Desiderio, Piacere, Sesso. Questi impostori hanno credito nei pensieri degli uomini perché assomigliano molto alle forme originali che sono proprie dell’amore e lo aiutano nel suo compito, ma quando ci riferiamo agli impostori, questi sosia fanno molto danno. 

Per queste controfigure è facile fingere anche se sono maldestri nelle imitazioni. 

L’unico modo per smascherarli consiste nell’individuarli sapendo che girano da soli nelle anime degli sfortunati e si muovono in un sottofondo di egoismi. Per fortuna hanno vita breve; dopo aver combinato un po’ di guai scompaiono e lasciano i protagonisti delusi, rammaricati. Se dovessero confrontare con gli originali si coprirebbero di meschinità e tenderebbero subito a dileguarsi.


*brano tratto dal mio libro "Amore" pubblicato nel 2023.

domenica 31 agosto 2025

Il "di più" non ci rende più felici



Quante volte vi è capitato di spendere una fortuna per un nuovo telefono, un nuovo divano o un paio di scarpe speciali, per poi due settimane dopo sentirvi come se fossero normali... o addirittura non le usaste più?

Da un punto di vista evolutivo, il nostro cervello è programmato per cercare novità e accumulare risorse. Nell'epoca degli uomini delle caverne, questo istinto era adattivo: chi era in grado di accumulare più cibo, strumenti o vantaggi sociali aveva maggiori probabilità di sopravvivere e trasmettere i propri geni.

Neurobiologicamente, questo istinto è legato al sistema dopaminergico, che risponde in modo più marcato non alle ricompense in sé, ma ai cambiamenti e ai guadagni inaspettati, un fenomeno noto come errore di previsione della ricompensa (Schultz, 2016). Questo meccanismo ha motivato i nostri antenati a continuare a cercare "solo un po' di più", garantendo la sopravvivenza in condizioni imprevedibili.

Il mondo in cui viviamo oggi, tuttavia, presenta una discrepanza. Invece di opportunità limitate di acquisizione, siamo circondati da scaffali infiniti – sia fisici che digitali – pieni di più prodotti, aggiornamenti e opzioni di quanti potremmo mai averne bisogno.

Ciò che un tempo ci aiutava a sopravvivere ora alimenta cicli di consumo eccessivo e insoddisfazione. La ricerca di novità del cervello, guidata dalla dopamina, è stata progettata per un ambiente di scarsità, non di abbondanza. Stiamo anche affrontando il fenomeno dei social media, dove vediamo cosa fanno (e comprano) tutti gli altri. Di conseguenza, spesso ci sentiamo spinti a cercare di più anche quando i nostri bisogni primari sono soddisfatti, rimanendo bloccati su un tapis roulant in cui il "abbastanza" rimane appena fuori dalla nostra portata.

Uno dei motivi per cui "di più" non sembra mai abbastanza è un fenomeno psicologico noto come adattamento edonico. In parole povere, gli esseri umani tendono a tornare rapidamente a un livello di felicità relativamente stabile dopo cambiamenti di vita, sia positivi che negativi. La ricerca dimostra che anche eventi importanti, come una vincita alla lotteria o una disabilità, spesso hanno solo un effetto temporaneo sul benessere, prima che gli individui tornino al loro stato emotivo di base. Questo adattamento ci mantiene resilienti di fronte alle difficoltà, ma significa anche che l'emozione di nuovi beni svanisce più velocemente di quanto ci aspettiamo.

Il modello è sorprendentemente coerente: un'ondata di attesa, un'euforia di breve durata e poi una graduale normalizzazione. Gli studi suggeriscono che la nostra attenzione si sposta dalla novità dei nuovi acquisti ai desideri insoddisfatti, riavviando il ciclo.

Nella cultura consumistica odierna, dove gli aggiornamenti e le nuove opzioni sono infiniti, l'adattamento edonico alimenta un'insoddisfazione perpetua. Cerchiamo il prossimo oggetto, esperienza o aggiornamento, ma il "ritorno sull'investimento" psicologico diminuisce a ogni passo, mantenendoci su quello che i ricercatori chiamano il tapis roulant edonico.

Pensiamo di volere di più e sembra che più cose dovrebbero renderci più felici. Eppure la ricerca psicologica dimostra costantemente il contrario: troppe opzioni possono sopraffarci, aumentare l'affaticamento decisionale e ridurre la soddisfazione per le scelte che facciamo. Questo fenomeno è noto come paradosso della scelta.

Uno studio classico di Iyengar e Lepper (2000) ha rilevato che i clienti a cui venivano presentate 24 varietà di marmellata avevano molte meno probabilità di effettuare un acquisto rispetto a coloro che avevano solo 6 opzioni. Troppa varietà portava alla paralisi piuttosto che alla responsabilizzazione.

Il problema non è solo fare la scelta, ma come ci sentiamo dopo. Con così tante alternative, diventiamo iperconsapevoli dei costi opportunità, chiedendoci se un'opzione diversa sarebbe stata migliore. Schwartz e colleghi (2002) hanno scoperto che i "massimizzatori", ovvero coloro che si sforzano di prendere la decisione migliore in assoluto, tendono a provare più rimpianti, meno felicità e livelli di stress più elevati rispetto ai "soddisfacenti", che si accontentano di opzioni "abbastanza buone".

Nella nostra vita quotidiana, che si tratti di scegliere cosa indossare, cosa guardare in streaming o cosa acquistare, avere più scelta spesso ci porta a dubitare di noi stessi invece di sentirci appagati.

Il minimalismo è spesso descritto come una tendenza di design: pareti bianche, linee pulite e ripiani vuoti. Ma in fondo, il minimalismo funziona meno come un'estetica e più come un intervento psicologico. Semplificando e riducendo intenzionalmente gli eccessi, creiamo vincoli che proteggono le nostre limitate risorse cognitive ed emotive. La ricerca sull'autoregolamentazione mostra che i vincoli possono effettivamente aumentare la libertà: meno opzioni preservano la forza di volontà, riducono l'affaticamento decisionale e aumentano il perseguimento di obiettivi significativi. In questo senso, il minimalismo non riguarda la privazione, ma la semplificazione strategica.

Le pratiche minimaliste aiutano anche a ricalibrare il sistema di ricompensa del cervello. Quando smettiamo di inseguire la novità e riduciamo il flusso di opzioni, diventiamo più attenti a ciò che già possediamo. Questo cambiamento è in linea con le scoperte secondo cui la gratitudine e il consumo consapevole aumentano il benessere più dell'acquisizione materiale. In altre parole, scegliendo intenzionalmente "meno", riduciamo il rumore del desiderio costante e creiamo spazio per un godimento più profondo, priorità più chiare e un più forte allineamento tra i nostri beni e i nostri valori.

Se l'adattamento edonico e il sovraccarico di scelta ci tengono bloccati nell'insoddisfazione, il minimalismo offre un modo per rieducare il sistema di ricompensa del cervello. La chiave non è eliminare del tutto le ricompense, ma cambiare il modo in cui le viviamo. Invece di affidarci ai picchi di dopamina indotti dalla novità, possiamo creare abitudini che generano una soddisfazione più profonda e sostenibile. La ricerca dimostra che le pratiche di gratitudine intenzionale, anche solo pochi minuti al giorno, aumentano il benessere generale e amplificano l'impatto positivo dei beni e delle relazioni esistenti. Assaporando ciò che già possediamo, rallentiamo efficacemente il processo di adattamento.

Un'altra strategia è quella di aggiungere attrito ai nostri acquisti. Studi sull'autocontrollo suggeriscono che anche piccoli ostacoli, come l'implementazione di un periodo di attesa prima degli acquisti, riducono l'impulsività e aumentano l'allineamento con i nostri obiettivi a lungo termine. Allo stesso modo, stabilire limiti rigidi, come un guardaroba a capsule o una politica di una sola libreria, riduce l'affaticamento decisionale e protegge dal disordine insito. La ricerca indica anche che indirizzare le risorse verso esperienze – viaggi, apprendimento e attività sociali – crea una felicità più duratura rispetto ai beni materiali. Queste pratiche non solo rallentano il tapis roulant edonico, ma aiutano anche a riorientare l'attenzione verso ciò che conta veramente.

Anche con evidenti benefici, abbracciare il minimalismo non è sempre facile. Un ostacolo comune è la paura di perdersi qualcosa, ovvero la preoccupazione che rinunciare o resistere agli acquisti significhi perdere opportunità. Tuttavia, la ricerca suggerisce che riformulare questa paura come gioia di perdersi qualcosa può ridurre l'ansia e aumentare il benessere, aiutandoci a concentrarci sulla libertà acquisita, piuttosto che su quella persa. Quando riconosciamo che dire "no" agli eccessi equivale in realtà a dire "sì" al tempo, all'energia e alla chiarezza, il cambiamento sembra meno una privazione e più un'acquisizione di potere.

Un'altra sfida è il senso di colpa per il fatto di rinunciare ai propri beni. Molti di noi attribuiscono identità e sentimento ai propri beni, facendo sì che il rinunciare venga percepito come un tradimento. Tuttavia, gli psicologi osservano che i beni sono spesso estensioni dell'immagine di sé e che liberarsene può effettivamente creare spazio per la crescita dell'identità. Una riformulazione utile è quella di considerare la rinuncia come una forma di gestione.

Il minimalismo può anche creare tensioni relazionali. Partner o familiari possono opporsi ai cambiamenti negli spazi condivisi o temere restrizioni imposte. In questi casi, è utile iniziare in piccolo e in modo personale, riducendo gli spazi privati ​​come un armadio o una scrivania, pur mostrandone i benefici. Col tempo, una calma visibile e una riduzione dello stress possono incoraggiare gli altri a impegnarsi volontariamente.

In definitiva, "l'abbastanza" non è un numero, è una mentalità. Significa imparare a notare quando la ricerca del "di più" ci allontana dalla vita che desideriamo veramente vivere. Il minimalismo ci fornisce gli strumenti per scendere dal tapis roulant e riconnetterci con una soddisfazione duratura.

sabato 30 agosto 2025

Corri bambino, corri

 

 

Non sono lenti i passi

di chi si affaccia al mondo e ha voglia di crescere.

 

Lento è il nostro incontro con le emozioni.

 

Lento è il fiume di umanità ad abbracciare i popoli:

ormai ha poca acqua per scorrere impetuoso.

 

Lenti sono i passi che ci conducono fuori dal buio

anche quando il sole splende alto nel cielo.

 

Lenta è la gioia per le piccole cose

quando si pensa in grande e la felicità diventa una chimera.


Anche l’amore tende a spegnersi

per chi occulta i sentimenti nella frenesia dei suoi giorni.

 

Ma tu, piccolo eroe in erba,

hai occhi limpidi per scoprire spazi immensi

e qualcuno con sottili rughe sul viso

a tenderti la mano in ogni momento.

 

Tu, spettatore affamato del mondo

lasciati guidare dai tuoi passi veloci.

 

Corri bambino, corri. Libero e felice.

 

Con le tue piccole mani

spalanca tutte le porte e sorridi

alla fantastica vita davanti a te.

 di Giovanna Sgherza 

venerdì 29 agosto 2025

Un esperienza terrificante

 

Era tardi. Le strade erano deserte e la notte era buia come non mai. Mancavano solo poche ore alla mia destinazione, ma anche se volevo proseguire, sapevo che per quella notte era finita.

Ero in viaggio da dieci ore ed era quasi mezzanotte. Lo stomaco mi brontolava e gli occhi mi diventavano sempre più pesanti. Davanti a me c'era l'uscita 252. C'era un'area di sosta per camion dove potevo riposare e magari mangiare qualcosa per la notte. Così, senza alcuna esitazione, sono uscito dall'autostrada per fare proprio questo.

La strada dall'uscita mi ha portato dritto alla stazione di servizio. Non c'era molta gente. Qualche guidatore notturno e qualche camion parcheggiato sul retro della stazione, ma a parte questo, era praticamente vuota.

Sono entrato nella stazione di servizio illuminata e poi mi sono diretto al parcheggio per camion sul retro, dove ho parcheggiato tra due file di camion, lasciandomi un posto libero. E poi, dopo aver spento il camioncino, sono sceso dalla cabina per sgranchirmi le gambe.

Fuori faceva caldo, un effetto delle notti estive di questa regione. Ho sentito di nuovo lo stomaco brontolare mentre guardavo verso la stazione di servizio a poche centinaia di metri di distanza. Non sapevo cosa ci sarebbe stato da mangiare, ma qualcosa doveva pur esserci. Anche un sacchetto di patatine sarebbe andato bene. In ogni caso, ho iniziato a dirigermi lì per scoprirlo.

Una volta arrivato al negozio illuminato, sono entrato e ho iniziato a gironzolare tra i corridoi. Era un'area di sosta per camion, quindi aveva tutto ciò che potevo desiderare. L'unica cosa che non aveva erano le persone, una vera sorpresa. Mi sono abituato a vedere sempre qualcuno nel negozio, anche a mezzanotte. Ma no, solo io e il negoziante.

Mi sono diretto verso il retro del negozio, dove c'era un frigorifero aperto con alcuni piatti pronti. Ho pensato che fosse il massimo, quindi ho preso il panino che volevo e una bottiglia d’acqua mentre mi dirigevo verso l'ingresso del negozio.

Mi sono avvicinato al bancone e ho posato le mie cose davanti al negoziante. Una parte di me si aspettava che mi dicesse qualcosa, magari un "Ciao" o qualcosa del genere, ma immagino che non fosse dell'umore giusto. D'altronde, come potevo biasimarlo? Non avrei voluto avere a che fare con clienti dopo le otto, figuriamoci dopo mezzanotte.

Mi porse la ricevuta mentre prendevo la mia roba per uscire dal negozio. E da lì iniziai la breve passeggiata di ritorno al mio pick-up. Tutti quelli che erano parcheggiati nel parcheggio dovevano dormire, e presto lo avrei fatto anch'io. Subito dopo aver finito di mangiare.

Aprii la portiera del mio pick-up, cercando di essere cortese con le persone che dormivano. E mentre mi sedevo e chiudevo la portiera, iniziai rapidamente a divorare il mio cibo. Non un singolo suono tranne i miei morsi. Tutto era tranquillo, tutto era tranquillo.

Alla fine, mi sentii appisolare mentre finivo l'ultimo boccone del mio pasto. I miei occhi stavano per addormentarsi e non mi dispiaceva affatto che accadesse. Mi sdraiai sullo schienale reclinato per addormentarmi. E poi, quasi subito, i miei occhi si chiusero da soli e mi addormentai.

"Ehihihi", sentii, mentre aprivo gli occhi. Era un suono debole, ma giurai di aver sentito delle risatine.

"Ehihihi", sentii di nuovo, un po' più forte.

Proveniva da fuori dal camion. Qualcuno stava ridendo. Perché?

Di nuovo, lo sentii, ma questa volta qualcosa sembrava molto strano. La risata era quella di un bambino. Ma perché è un...

"Clang", sentii un colpo proveniente da fuori.

Sembrava che il retro del camion fosse stato colpito da qualcosa lanciata da lontano. Istintivamente, sentii l'urgenza di alzarmi e vedere cosa stava succedendo. Di affrontare chiunque fosse là fuori. Ma mentre facevo il movimento per alzarmi, vidi il mio corpo non rispondere ai miei comandi.

"Cosa?" pensai.

Provai di nuovo a sollevarmi dal sedile, ma... non ci riuscii. Ero bloccato lì, confinato sulla sedia.

Dopo un po’, di nuovo, sentii quel clangore metallico provenire dal retro del camion, e poi ancore altre risate maliziose.

Sentii il bisogno di dire qualcosa, ma quando provai a parlare, non è uscì nessun suono dalla mia bocca.

Potevo vedere. Potevo persino guardarmi intorno. Ma la mia voce e il mio corpo rimanevano insensibili, quasi come se fossi completamente paralizzato. Le risate si sono ripetute, mentre un botto molto più forte colpì ancora il mio camion.

"CLANK!"

Questa volta, il rumore mi scosse più forte. Sentii il colpo estendersi sul mio corpo. Non riuscivo a parlare, ma sentivo comunque le vie respiratorie contrarsi, mentre la paura si insinuava in me. E nella reazione di paura, tentati uno scatto verso l'alto, ma no, il mio corpo non si mosse. Ero ancora bloccato lì.

Le risatine continuavano a farsi più vicine alla mia cabina, come se chiunque fosse là fuori fosse appena davanti alla mia portella. E in quel momento, fui preso dal panico.

Non ero più preoccupato per il mio camion né curioso di sapere cosa stesse succedendo: ero spaventato. Non riuscivo a muovermi, non riuscivo a parlare, e qualsiasi cosa stesse succedendo non era assolutamente normale!

I miei occhi si fissarono sul finestrino lato guida. Era socchiuso, quel tanto che bastava per far entrare un po' d'aria nella cabina. Quel tanto che bastava per farmi pentire di quella decisione, per paura di essere ancora più vulnerabile di quanto non fossi fino a quel momento.

Cercai di allungare la mano per alzare il finestrino, ma non riuscivo ancora a muovermi. Tutto quello che dovevo fare era allungare un po' il braccio per raggiungere il...

Un improvviso spostamento del peso della cabina mi bloccò sul posto ancora più di quanto non fossi già. Spalancai gli occhi quando mi resi conto di cosa era appena successo. Chiunque fosse là fuori aveva appena fatto un passo sul gradino di salita per arrivare alla cabina del camion.

Il mio cuore cominciò a battere sempre più forte mentre guardavo con orrore il finestrino parzialmente aperto.

Le risatine si diffondevano a poca distanza dal mio orecchio.

Provai a urlare "Ehi!" o "Fermati!", tentai di urlare, ma non mi uscì nulla dalla bocca.

Poi, all'improvviso, sentii la maniglia della portiera fare un rumore come se qualcuno avesse cercato di aprirla dall'altro lato. Era per fortuna bloccata. Ma poi vidi un braccio che si allungava verso l’apertura del finestrino.

Era il braccio di un bambino!

"Fammi entrare", sentii in tono scherzoso.

Il mio cuore sprofondò mentre cercavo di nuovo di parlare, ma ancora niente.

"Fammi entrare", ripetette quella voce.

"Ehihihih", la risatina continuava mentre la mano estranea tentava si infilava attraverso l’apertura del finestrino con l’intenzione di rimuovere il blocco della chiusura.

Il mio cuore batteva più forte di qualsiasi paragone potesse fare. Ero pietrificato mentre cercavo disperatamente di parlare e muovere il corpo.

A ogni tentativo di dire "No!" mi sentivo sempre più vicino a dirlo. Ma tutto ciò che usciva dalla mia bocca erano incomprensibili rigurgiti d'aria, nemmeno parole, solo sussulti spezzati che cercavano di mettere insieme le lettere. Sembrava quasi che stessi soffocando cercando di parlare. Semplicemente non succedeva niente.

Vedevo quel bambino avvicinarsi sempre di più mentre ripeteva la frase "Fammi entrare" più e più volte.

Continuavo a fare questi rigurgiti d'aria spezzati, ma niente che formasse una vera parola. Tutto quello che dovevo fare era dire "no", sapevo solo che era ciò di cui avevo bisogno.

La mano del bambino si avvicinava sempre di più al pulsante di sblocco, mentre il braccio sembrava allungarsi in tempo reale. Non riuscivo a vedere il corpo del bambino e il suo braccio continuava ad allungarsi sempre di più.

La mia mente correva e la paura mi consumava. Dovevo dire qualcosa. Dovevo fare qualcosa!

E mentre il dito si allungava per premere il pulsante di sblocco, risvegliai il mio corpo stagnante, urlando "No!" con la mia voce fragorosa.

In un istante, il mio corpo riprese conoscenza mentre mi alzavo per chiudere il finestrino. Mi resi conto che il bambino, le sue risate, il suo braccio teso, erano semplicemente spariti. Avevo paura di scendere dal camion, quindi non ho potuto fare altro che aspettare in silenzio, sperando di non sentire più quelle risate per il resto della notte.

Sono finito per riaddormentarmi per un'altra ora o due, dopo essermi calmato da quello che era successo. Quando si fece giorno volli abbandonare velocemente quel posto. Non sarei nemmeno riuscito a spiegare cosa fosse successo, anche se avessi voluto. Ero solo contento che fosse tutto finito.

Avevo bisogno di andare in bagno prima di partire, ma volevo anche controllare che tipo di danni quel "bambino" avesse provocato al mio camion. Così sono scesi dalla cabina e guardai attentamente intorno. Era tutto a posto, non una sola ammaccatura o graffio. Avrei giurato che un rumore forte, come quello che avevo sentito, avrebbe provocato, ma non fu così.

Iniziai a camminare verso la stazione di servizio, finalmente felice di vedere gente in giro. Avevo gli occhi iniettati di sangue mentre mi guardavo in bagno. Ero ancora sotto shock per quel sogno che avevo fatto. Doveva essere stato un sogno; niente di tutto ciò aveva senso. Sembrava reale, ma ricordo quella specie di paralisi onirica di cui avevo letto qualcosa. Non cercavo spiegazioni, volevo andar via il più presto possibile.

Altre due persone erano in bagno con me mentre iniziavo a lavarmi le mani. Non avevo intenzione di rimanere più a lungo in quel posto lì, finché uno degli uomini non parlò di qualcosa che mi ha lasciò sotto shock.

"Ehi, sai che stanotte abbiamo dormito in compagnia di un carro funebre?”

“Sì, l’ho notato stamattina. A giudicare della bara bianca, doveva trasportare la salma di un bambino.” Rispose l’amico.

Restai inchiodato con le mani ferme e lo sguardo perso, mentre l’acqua scorreva inutilmente dal rubinetto...

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