giovedì 23 gennaio 2025

Trovarsi al posto giusto, nel momento giusto

Harry S. Truman
 
C'è una lunga storia di vicepresidenti che disprezzavano la loro funzione di vice. Questo ruolo era considerato così marginale che i titolari non venivano inclusi nelle riunioni del gabinetto presidenziale fino al 1919.

"Il lavoro del vice è utile quanto la quinta mammella di una mucca". - È così che Harry S. Truman descrisse la vicepresidenza quando gli fu offerto l'incarico da Franklin D. Roosevelt.

Il fatto è che alla fine Trueman accettò la posizione. Fu vicepresidente solo per ottantadue giorni quando Roosevelt morì e lui prese il potere. Quindi, Trueman passò da senatore a vicepresidente ad autorizzare lo sgancio della bomba atomica in poco meno di sette mesi.

Qualcosa di simile è successo anche a me (fatte le dovute differenze) e cioè, trovarsi al posto giusto al momento giusto ... quando l'opportunità bussa alla porta.

Avevo poco più di vent’otto anni e da qualche mese avevo terminato il mio servizio di leva. Ebbi la fortuna di essere assunto da una azienda di informatica con l’obiettivo di rinforzare la squadra dei programmatori junior. 

Per puro caso, in quel periodo l’azienda ebbe una grossa commissione di lavoro da assolvere in breve tempo. Per questo motivo non fu disponibile nessun altro personale per assistermi nel tutoraggio iniziale. 

Il responsabile, dovendomi comunque impegnare, mi affidò un incarico "di attesa". Dovevo studiare il sistema operativo che girava nei calcolatori dell’azienda e produrre delle guide documentate che in futuro si sarebbero dovute rivelare utili ai miei colleghi per usare i computer in maniera più comoda ed efficiente. In questo modo, potevo “lavorare” da solo e non essere un peso o una distrazione per chi lavorava per il progetto in corso.

Il mio stipendio era circa un terzo dei miei colleghi, ma questo non mi dava pensiero poiché era il mio primo vero lavoro nel settore.

Trascorse più di un mese e finalmente si ricordarono di me. Fui inserito in una squadra di programmatori che si occupavano degli interfacciamenti tra dispositivi programmabili.

Il mio team leader era una donna e il caso (opportunità che bussa alla porta) volle che andasse in gravidanza. Poiché in azienda io ero l’unico a conoscere i segreti del sistema operativo in uso (avendo dedicato tantissimo tempo in precedenza), il responsabile mi assegnò il compito del dirigere la squadra. Ovviamente il mio stipendio si triplicò!  

Il fatto di essere giovane e senza legami, mi favorì per essere scelto e destinato a lavorare fuori sede. Così, in poco tempo la mia posizione lavorativa migliorò, diventando responsabile di un settore operativo esterno dell’azienda, con il conseguente adeguamento dello stipendio al livello dirigenziale

Credo di dire con certezza che molti dei miei colleghi provassero “compassione” per quel lavoro inziale e solitario che conducevo i primi mesi e ad essere sincero, non avrei mai potuto immaginare cosa sarebbe successo dopo.

Qualcuno potrebbe pensare che io sia stato fortunato. Invece, posso affermare di essere stato paziente, responsabile e fiducioso nel futuro. Allora, nessuno mi controllava e volendo, potevo fingere di dedicarmi a quel lavoro  (apparentemente noioso).

Le persone pensano che la fortuna sia casuale e che devi solo essere nel posto giusto al momento giusto per individuare le possibilità. Questo funziona per gli opportunisti. Nel mio caso, ero nel posto giusto al momento giusto, avendo le giuste capacità.

Possiamo lamentarci della nostra sfortuna e delle occasioni mancate o accettare la vita così com'è. La cosa importante è essere felici dove ci si trova e impegnarsi al meglio. 

Non c'è niente di sbagliato nell'essere ambiziosi e nel voler raggiungere il proprio potenziale. Tuttavia, può avere conseguenze imprevedibili.

Prendiamo il presidente Trueman. Immaginate l'angoscia che deve aver provato per la decisione di sganciare due bombe atomiche sul Giappone. 

La sua risoluzione causò la resa del Giappone, ma il pensiero che fossero morte quasi 250.000 persone deve averlo tormentato fino alla tomba.

mercoledì 22 gennaio 2025

Trump e Musk: i nuovi Dei


Quando le aziende hanno incanalato milioni di dollari da record nell'insediamento di un presidente, non è stato patriottismo. È stato un accordo commerciale, un anticipo sulla deregolamentazione e sull'avidità incontrollata. Credo che molti lo sapevano, ma forse rassegnati o illusi lo hanno lasciato accadere.

Un senso di paura si è diffuso tra gli americani consapevoli e per l’idea che “peggio non può andare”, non hanno reagito. Il popolo americano non ha scelto il loro leader con la ragione, si sono lasciati prendere dalla rabbia. Divisi, sconfitti e presi in giro come degli idioti.

Il 20 gennaio 2025, Donald Trump non è tornato come una sorpresa, ma come un'inevitabilità. Non è un'anomalia, è un riflesso di tutto ciò che i cittadini hanno permessi di diventare.

Qualcuno richiama la vergogna dell'America e forse come paravento di una società che si vede cambiare in peggio e non sa opporsi. Il resto del mondo è rimasto a guardare, complice nei suoi modi egoistici.

La maggioranza ha applaudito i miliardari, si è abbuffata dei loro prodotti, si è aggrappata alle loro distrazioni e hanno chiuso un occhio sui costi. Mentre discutevano, mentre scorreva il tempo, loro hanno preso ciò che serviva.

Questi nuovi padroni hanno invaso l’assistenza sanitaria, le case, gli stipendi, l’istruzione, i libri, i media, la privacy, la libertà, la pace. Hanno preso l'aria che si respira e l'acqua che si beve, avvelenandole per profitto.

Questo è il mondo che gli americani hanno scelto: dove i miliardari giocano a fare Dio, dove l'influenza è moneta corrente e il potere è l'unica legge. La democrazia non è morta, è stata anestetizzata attraverso il silenzio, attraverso la complicità, attraverso l'infinito carburante dell'indignazione creata.

Le guerre, l’avidità, l’insaziabile brama di dominio hanno segnato il mondo. Si sono destabilizzate nazioni, sventrate risorse, rovesciati governi, tutto per alimentare la mostruosa macchina del profitto.

C’era tempo per agire, decenni, e sono passati in silenzio. Gli avvertimenti erano chiari. Le grida di cambiamento erano forti. Si vedevano i primi segni di un mondo in sgretolamento in tempo reale. E tuttavia, è stato distolto lo sguardo.

Non c’è ombra di raggiro o sopraffazione, è stata una resa. È stato consegnato il futuro volontariamente, e ora lo taglieranno a pezzi, riproponendolo con l’illusione di speranza, sempre per un profitto, ovviamente.

Quindi dopo aver assistito a Trump rivendicare un terzo mandato, mentre stringete le chiavi della vostra Tesla e vi inchinate davanti all'altare di Amazon, ditemi:

Con Trump re e Musk come profeta, per quanto tempo sventolerà ancora la bandiera dell'avidità sulla terra ... un tempo orgogliosamente libera?

martedì 21 gennaio 2025

Disuguaglianze nascoste

Incendi a Los Angeles

Gli incendi che hanno colpito la California sono destinati a passare alla storia come il peggiore disastro naturale e probabilmente la catastrofe più costosa della storia d’America. Sono anche la conferma ad oggi più dolorosa dei rischi che incombono da sempre su di uno sviluppo avvenuto al limite della sostenibilità ecologica, in un contesto estremizzato dal mutamento climatico.

È vero che i rischi legati agli incendi sono fisiologici in questa regione semi arida a macchia mediterranea, occorrerebbe però fare una riflessione proiettata nel futuro per cercare di capire che cosa sta succedendo.

L'11 gennaio 2025, è stato pubblicato un articolo intitolato: "Davanti al fuoco, tutti sono uguali".

È veramente così?

Indubbiamente, il fuoco non fa distinzioni tra ricchi e poveri, famosi e sconosciuti, giovani e anziani. Di fronte alla forza distruttiva della natura, tutti gli esseri umani sembrano ugualmente vulnerabili. Eppure questa uguaglianza superficiale nasconde le vere disparità che le catastrofi mettono a nudo.

Le perdite che le persone subiscono non sono solo materiali; sono esistenziali, emotive e spesso irreparabili, e queste perdite colpiscono le persone in modo diseguale.

Un ricco residente di una lussuosa villa di Malibu può soffrire per la perdita di una casa tanto quanto un lavoratore la cui modesta dimora nella periferia di Los Angeles è stata ridotta in cenere. Ma le conseguenze di queste perdite sono fondamentalmente diverse. Il primo può fare affidamento su assicurazioni, riserve finanziarie e reti sociali; l'altro affronta la miseria, senza mezzi per riprendersi dalla propria perdita.

La disuguaglianza prima del disastro è letteralmente inscritta nella struttura delle città. A Los Angeles, questo diventa particolarmente evidente: mentre i quartieri più ricchi hanno sistemi di irrigazione all'avanguardia e ampie strade di accesso per i camion dei pompieri, le aree più povere lottano con infrastrutture obsolete e strade strette. Queste differenze non sono una coincidenza, ma il risultato di decenni di svantaggio sistematico.

La linea rossa degli anni '30 ha giocato un ruolo chiave in quel disastro: banche e agenzie governative hanno contrassegnato in rosso sulle loro mappe alcuni distretti, spesso quelli con un'elevata popolazione di minoranze. Queste aree "rosse" sono state sistematicamente escluse dagli investimenti. Nessun prestito per le ristrutturazioni delle case, nessun fondo per le infrastrutture, nessuna modernizzazione del patrimonio edilizio. Ciò che è iniziato quasi cento anni fa come una pratica discriminatoria determina ancora oggi le possibilità di sopravvivenza in caso di disastro.

L'ironia è amara: le aree storicamente svantaggiate che hanno più urgente bisogno di investimenti in moderni sistemi di sicurezza rimangono poco servite fino ad oggi. Nelle aree periferiche densamente popolate di Los Angeles, dove questi modelli storici sono più evidenti, le infrastrutture obsolete non solo comportano un rischio di incendio più elevato, ma ostacolano anche le operazioni di soccorso in caso di emergenza. Quindi quando parliamo di uguaglianza prima dell'incendio, ignoriamo questa storia di disuguaglianza concretizzata.

Ci imbattiamo quotidianamente in verità apparentemente ovvie. Per esempio, appaiono in affermazioni come "Ognuno è padrone del proprio destino" o "C'è abbastanza per tutti se lavori sodo".

È facile rendersi conto quanto si può essere ciechi ai privilegi durante una discussione sulla nutrizione sostenibile. Per esempio, si giustifica senza nessuna esitazione il prezzo più alto pagato per il cibo buono, prodotto eticamente, ma ciò si trasforma in privilegio per chi è costretto ad adeguarsi ai propri guadagni. Per molte famiglie, scegliere cibo più economico non è una scelta ma una necessità economica.

La nostra percezione non è mai neutrale, è plasmata dalle nostre esperienze, dalla nostra posizione sociale e dalla nostra comprensione del mondo. Quando filosofi come Maurice Merleau-Ponty sottolineano questo punto, non stanno solo facendo un'osservazione accademica. Stanno evidenziando qualcosa che tutti noi sperimentiamo: quanto diversamente vediamo il mondo a seconda di dove ci troviamo. Per alcuni, un incendio domestico rappresenta una perdita assicurata, un inconveniente da gestire. Per altri, significa la perdita del loro intero mondo: la loro casa, la loro sicurezza, il loro senso di appartenenza.

Non si tratta solo di prospettive diverse, si tratta di realtà diverse. Quando diciamo che "L’incendio colpisce tutti ugualmente", non stiamo solo semplificando eccessivamente; stiamo inconsciamente partecipando a un sistema che maschera vere disuguaglianze.

È comodo credere in questa uguaglianza perché ci assolve dalla responsabilità di guardare più a fondo al problema; ci evita di mettere in discussione le strutture che creano queste diverse realtà.

La diseguaglianza si manifesta in innumerevoli piccoli modi: la capacità di evacuare rapidamente, l'accesso alle informazioni sui rischi di incendio, la qualità dei servizi di emergenza locali, le risorse disponibili per il recupero. Questi non sono solo dettagli; sono i mattoni della disuguaglianza sociale.

E mentre potrebbe essere spiacevole riconoscere queste disparità, questo disagio è esattamente ciò che dobbiamo provare per iniziare ad affrontarle.

Siamo disposti a guardare attentamente e riconoscere le ingiustizie che rivelano? O ci ritiriamo nel comfort di affermazioni semplicistiche che ci consentono di chiudere un occhio?

domenica 19 gennaio 2025

La caduta della metafisica nella esistenza dell’uomo (Martin Heidegger)

Martin Heidegger (1851-1924)

Martin Heidegger non è solo il nome di uno dei massimi esponenti della storia della filosofia contemporanea, ma è il simbolo, l’identità controversa legata agli episodi più drammatici della Seconda Guerra Mondiale. 
Quando il nazionalsocialismo prese piede in Germania nel 1933, molti filosofi e scienziati (come Albert Einstein ed Enrico Fermi) emigrarono in America, mentre Heidegger rimase nella “Grande” Germania, sino a pronunciarsi addirittura difensore e favorevole al clima politico: tant’è vero che venne lasciato indisturbato a tenere le sue lezioni universitarie sino all’arrivo degli Alleati.  
Il suo pensiero filosofico è guidato anzitutto dai suoi due maestri Husserl e Rickert. Proprio grazie a questi due massimi astrattisti del pensiero, Heidegger ha potuto parlare, o comunque “concretizzare” il concetto di Esistenza. Un concetto, quello di "Esistenza", bello quanto terribile per molti novelli studenti di filosofia. Dunque, Heidegger si configurerà per tutto il ‘900 come il pensatore esistenzialista, animato dalla volontà di spiegare l’"Esistenza".  

Ora cercherò di chiarire il suo pensiero: compito doppiamente arduo. Dunque, ciò che per lui determina l’esistenza è il fatto che essa (l’esistenza, per l’appunto) non è qualcosa di immutabile. È una sorta di Panta rei Eracliteo. 

Esistere significa evadere da una realtà data ed esporsi ad una condizione di possibilità.  In altre parole, se esistere significa andare al di là del proprio orizzonte, vuole dire che l’uomo è un continuo progetto, una tensione a lanciare ormeggi oltre quelli già raggiunti. 

Heidegger scriverà: 

“Il progettare però non ha nulla a che vedere con l’escogitazione di un piano mentale in conformità al quale l’esserci edificherebbe il proprio essere, infatti l’esserci, in quanto tale si è già sempre progettato e resta progettante finché è.”

L’uomo è portato per natura a cambiare la sua situazione, la sua essenza, la sua natura; La sua natura è caratterizzata dal progettare, non nel senso di un progetto urbanistico, ma derivata da un voler trascendere la situazione data, non accontentandosi mai di essere ciò che è.   

Così come l’esistenza non è un oggetto, stessa cosa vale per l’Essere. Infatti, ad avviso di Heidegger, la filosofia occidentale, da Parmenide a Hegel, è stata costruita su un errore: quello di scambiare l’Essere (possibile) con un Ente (impossibile) che può essere Dio o la materia. 

L’unico pensatore che si è avvicinato a una visione, per così dire, esistenzialistica, e non semplicemente metafisica, è stato Nietzsche. 

Mi direte, perché proprio lui? Perché lui, nella sua follia c’ha visto chiaro: l’uomo, o l’ente non è qualcosa di statico, ma è volontà di potenza. Una volontà di Potenza che è anche il “senso” dell’essere, dunque dell’esistere, dello stare al mondo. 

La condizione necessaria che porta ad istituire e a restituire sempre nuovi linguaggi e a individuare ottime chiavi di lettura del mondo di cui noi stessi siamo il fondamento. 

di Fabio Squeo

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