mercoledì 8 maggio 2013

Evanescenze



Siamo ciò che la biologia ci costringe ad essere e ci rapportiamo secondo un modello logico codificato dalla stessa biologia e condizionato dalla legge di conservazione della vita: "sopravvivi".
Io prometto di vederti come tu credi di vedermi. 
Non chiedermi come mi vedi perché non potrò dirtelo, nè potrai comprenderlo.

Siamo mondi virtuali che interagiscono attraverso l'energia, intesa questa come stato della materia in continua trasformazione e rimodellamento.

Riporto questa storia che racconta in modo diverso il mio pensiero.
"Nel ventre di una donna incinta si trovavano due bebè. 
Uno di loro chiese all’altro: 
 - Tu credi nella vita dopo il parto?

- Certo. Qualcosa deve esserci dopo il parto. Forse siamo qui per prepararci per quello che saremo più tardi.
 

- Sciocchezze! Non c’è una vita dopo il parto. Come sarebbe quella vita?
 

- Non lo so, ma sicuramente... ci sarà più luce che qua. Magari cammineremo con le nostre gambe e ci ciberemo dalla bocca.
 

-Ma è assurdo! Camminare è impossibile. E mangiare dalla bocca? Ridicolo! Il cordone ombelicale è la via d’alimentazione … Ti dico una cosa: la vita dopo il parto è da escludere. Il cordone ombelicale è troppo corto.
- Invece io credo che debba esserci qualcosa. E forse sarà diverso da quello cui siamo abituati ad avere qui.
- Però nessuno è tornato dall’aldilà, dopo il parto. Il parto è la fine della vita. E in fin dei conti, la vita non è altro che un’angosciante esistenza nel buio che ci porta al nulla. 
- Beh, io non so esattamente come sarà dopo il parto, ma sicuramente vedremmo la mamma e lei si prenderà cura di noi.
- Mamma? Tu credi nella mamma? E dove credi che sia lei ora? 
- Dove? Tutta in torno a noi! E’ in lei e grazie a lei che viviamo. Senza di lei tutto questo mondo non esisterebbe. 
- Eppure io non ci credo! Non ho mai visto la mamma, per cui, è logico che non esista. 
- Ok, ma a volte, quando siamo in silenzio, si riesce a sentirla o percepire come accarezza il nostro mondo. Sai? ... Io penso che ci sia una vita reale che ci aspetta e che ora soltanto stiamo preparandoci per essa ..."

Respirare Napoli



’A quanno simmo nate,
comm’ a duie cumpagnielle
sempe ’nzieme simmo state.
 

Piccerille currévamo senza penziere
e giuvincielle pareva
ca ’o munno fosse stato ’o nuosto.
 

Ma po’ chiunu chianu
l’ammore forte ’ncore ce sbatteva.
 

Cu’ ’e capille argentate
simmo addeventate mamma e pate,
e cu’ ’e capille ianche
simmo addeventate zie e nonne.
 

Stive sempe azzeccato a me,
âmmo reduto e pazziato
e quanta guaie avimmo affruntato.
 

Tante n’avimmo passate
e mo ’un te capisco chiù.
Vulesse sape’ ’a te
pecché me staie lassanno…
 

Tu nun me puo’ tradi’ accussì…
t’ aggio sempe vuluto bene
e tu manco l’hê capito.
 

Statte cu’ me…
Si te ne vaie luntano
’stu core rummane scunzulato
e sulo ’a morte
me sento ’e aspetta’.

Lirica di Carmen Percontra

Foto

Al riferir di Napoli, il mio cuore sobbalza.

Colori, calori e passioni
sono lingue di fuoco che pervadono indicibili sensazioni.

Abbagliante splendore,
 immerso nella più trasparente bellezza,
aleggia come incanto nell'anima romantica.

Emozioni scintillano al posar di cuore.
 
Non ho motivo per gioir di una triste storia d'amore.

Capisco, soltanto allora, che respiro poesia.   

martedì 7 maggio 2013

Presentazione del libro a San Ferdinando di Puglia



Siete tutti invitati

Pascal e la mente umana - di Fabio Squeo

Blaise Pascal (1623-1662)
 
Si parla di Pascal come di un talento esploso sin dalla tenera età, poiché la sua vivacità e l’oculata osservazione per le piccole cose della realtà lo condizionavano fino a “domandare sino alla noia”.
Ci informa la sorella Gilberte Périer:

“Appena mio fratello raggiunse l’età della ragione, diede segni di straordinaria  intelligenza, e non tanto per le risposte quanto per le domande”.

Questa è la caratteristica di un bimbo prodigio il quale, piuttosto che vivere “l’ebbrezza continua di gioventù” [François de la Rochefoucauld]  (… prendere a calci il pallone o gettare un urlo “Tana scopro tutti! ” -  gioco del nascondino -)  annuncia (… è lo stesso Pascal a confidarcelo): “Gli uomini si dedicano ad inseguire una palla o una lepre; è il piacere persino dei re” .

Ma egli  preferiva di gran lunga l’armonioso potere del silenzio, quale motore che muove l’universo delle creature; quindi decide, per sempre, di rannicchiarsi ai piedi di un ciliegio al fine di contemplare le bellezze del creato, i suoi rigogli vegetativi, e raccogliere i frutti nei tempi delle prime allegagioni.
Si pensi che a soli 19 anni scoprì il primo computer della storia, conosciuto come Pascalina.
“La sua curiosità era inarrestabile” - scrive Gilberte - e col passar del tempo, l’acuta osservazione e la passione per la vita non bastarono a delineare il suo temperamento, ma “crebbe in lui la forza del ragionamento”.

Un ragionamento costellato di logica-matematica, che ben presto gli riserverà notevoli sbalzi di umore, soprattutto per la complessa condizione umana di cui egli era un protagonista all’interno di uno scenario di precarietà e di miseria. 

Pascal scrive: “Un albero non sa di essere miserabile, ma essere grande significa conoscere di essere miserabile” .

Il sentimento di precarietà della condizione umana è un dato intrinseco alla natura umana, che le conferisce il negativo presagio di essere corpo finito o finitezza nella sostanzialità.  

Un ragionamento, che nel tempo gli solleticherà la consapevole conferma di un concetto di vita fondamentale, peraltro coincidente col percorso in cammino verso la verità: cioè la  possibilità di sfatare, dopo accurate analisi geometico-matematiche, infinite realtà, sempre ancora da scoprire, e nonostante il sistematico impegno compiuto, esse aumentano sistematicamente a dismisura. 

Secondo Pascal, l’attività della mente umana è talmente infinita che non basterebbe una vita biologica in grado di raccogliere gli infiniti limiti imposti dalla natura; questo, però, non significa porre sotto scacco il fine ultimo dell’uomo e marchiarlo dell’impossibilità ontologica alla ricerca del vero, anzi, egli crede nell’uomo ed è convinto dei suoi valori più intimi  che fanno leva sulla condotta dell’agire morale. 

“L’uomo non è mai semplicemente una cosa tra le tante cose” [Martin Heidegger].  

Secondo Pascal, l’uomo è “una canna, ma pur sempre  pensante” : certo fragile, dinnanzi alle intemperie dell’universo dei limiti, ma pur sempre pensante e sussistente, cioè in grado di trovare la strategia più conveniente alla propria auto-conservazione fisica e morale. Egli scrive: “tutta la dignità dell’uomo è nel suo pensiero” .

L’uomo deve prendere in mano la propria condizione morale-esistenziale e accettare filosoficamente la propria limitatezza, e magari, con una spolverata d’ironia , burlarsi ogni tanto delle proprie “scoperte dell’acqua calda” se si vuole scavalcare il muro delle imperfezioni.

Egli scrive nei suoi frammenti:  “L’ultimo passo della ragione umana è di riconoscere che ci sono infinite cose che la sorpassano”.

L’uomo non deve demotivarsi dal suo progetto originario che porta alla luce universale, perché tra gli infiniti sogni e le infinite notti insonne passate a realizzare il suo autentico progetto di vita, deve  rendersi conto che a breve sarà possibile per l’umanità intera “toccare il cielo con un dito”,  pur restano con i piedi saldi in terra.

Questa è la sua scommessa più grande.

Le leggi dettate dalla fisica e dalla matematica, regolano certamente il mondo dei/nei limiti, esse però non vanno assolutizzate; devono fungere soprattutto da trampolino di lancio per carpire le vere problematiche escatologiche, che non interdicano l’uomo dalla comunicazione con Dio.

Il riconoscimento dei limiti della ragione deve mirare a dimostrare la “necessità della Fede”  come unica e sola strada attraverso la quale arrivare all’individuazione di principi valevoli universalmente.

“Perché la fede abbia un qualche valore, deve saper sopravvivere alle prove più dure”. [Gandhi]

Le prove ontologiche, anche le più dure, non vanno superate secondo procedure schematiche e/o macchinose né dimostrate razionalmente ma devono risultare vere alla luce di una “intuizione” o “voce interiore”. Il che non ha niente a che vedere con l’edificio logico-deterministico definito da Cartesio (il quale attribuiva - alle scienze geometriche-matematiche – la sola conferma di una struttura profonda in grado di comprendere e interpretare la realtà).

Pascal non era interessato a pervenire ad una dimostrazione dell’esistenza di Dio, quanto piuttosto voleva assicurarsi -  stando alle leggi della phyusis - se vale la pena o no riflettere “sul sentiero che porta nella direzione di Dio, ovvero nella direzione della sua immagine”.  

“La fede, essendo un dono di Dio, non va dimostrata” …Ecco che Pascal obietterà e dirà ancora: “Il cuore conosce ragioni, che la ragione stessa non conosce”.

Non smettere mai di ricercare le leggi e i principi, unici motori dell’universo fisico. Esse sono eccellenti ingredienti per un piatto succulento.

L’uomo deve essere in grado di muovere - facendo appello  al suo buon senso – la propria ragione in termini di scelte morali e di comprensione della cultura del senso civico.

Attraverso l’appello al buon senso, l’umanità avvertirà sul proprio corpo il fruscio dell’eternità, e con le proprie orecchie saprà udire gli echi evanescenti cosparsi nell’universo.

Il cuore rappresenta, primariamente, la comprensione che porta nella traiettoria di Dio, a riconoscersi come parte di universo infallibile. 

E’ certamente interessante fare esperienza delle leggi della natura ma sarebbe ancor più conveniente “riflettere sulle esperienze stesse” stando alle antiche memorie aristoteliche.

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