
Complimentarsi è anche un modo di essere in società con bellezza e gioia. Dimostri di vivere bene, di essere in pace con te stesso. In più, apprezzi la compagnia e la gratifichi con il tuo interesse.
I complimenti fanno sempre bene. Alcuni restano indimenticabili e altri deludenti.
Certo, "Hai un bell'aspetto" va bene, ma è banale.
Ora, se qualcuno ti dice "Solo vederti mi illumina la giornata", il tuo umore finisce al cielo e per un po’ di tempo ti senti super.
Oppure, quando una persona a cui tieni ti dice che ti ama, non per qualcosa che hai detto o fatto, l’effetto è altrettanto sublime e ti sorprende (anche se sai di essere amato).
In un mondo in cui l'amore può sembrare condizionato e l'approvazione è legata alle azioni, l'apprezzamento puro per ciò che è, piuttosto che per ciò che fai, è raro quanto bello.
Quando, da giovane insegnante, incontravo colleghe per le quali nutrivo simpatia ed amicizia non lesinavo a complimentarmi per qualunque cosa e in qualunque occasione. L’ambiente scolastico, austero, rendeva ancora più spettacolare la mia propensione a complimentarmi.
Non mi serviva incontrare la bellezza standard, quella dei rotocalchi femminili, mi bastava il sorriso e uno sguardo amichevole perché mi sfuggisse la mia frase d’occasione.
Dicevo: “Oggi, non è soltanto il sole a splendere!”
Per risposta, ricevevo il sorriso magico … quello che sostituisce il semplice “grazie”.
Ne esistevano le brutte giornate, perché anche col cielo grigio, c’era sempre modo di far gioire qualcuno.
Dicevo: “Oggi, sei tu il sole!” – oppure – “Brilli come una candela al buio!” - o anche -“Dai luce a chi vede poco!”
Confesso che con il tempo, non potevo permettermi l’indifferenza perché sarebbe stata tradotta in “qualcosa che non va” nella mente delle mie amiche e colleghe.
Ma per me, complimentarmi era un modo di salutare e rinnovare la mia stima verso le persone disposte a condividere amicizia e allegria.
Purtroppo, in alcuni casi si corre il rischio di essere frainteso, ma questo poco m’importava.
Ho tentato, senza molto successo, di sollevare l’anima anche a colleghi musoni. Dal loro aspetto si capiva che era in procinto di scoppiare la terza guerra mondiale.
In una occasione, mi rivolsi ad uno di questi, così: “Per quanto venderesti un sorriso?”
Non c'è da stupirsi che a stento riuscivo a sbrinarlo dal freddo emotivo in cui era avvolto.
È così semplice e naturale approcciarsi con la gentilezza e il sorriso, ma in una società diffidente in cui tutto mira a un utile, o un vantaggio, questo atteggiamento suscita diffidenza.
Ed eccoci trasformati da umani a zombi.
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