domenica 21 settembre 2025

La scrittura: un mondo da scoprire

 

Per gran parte della mia vita ho vissuto in silenzio. Non ho mai voluto essere una persona che parlava troppo. Temevo che se le mie parole fossero corse a perdifiato, il mio cuore non le avrebbe seguite.

Anche quando mi sentivo ferito, le ingoiavo in silenzio. Anche quando la gioia mi riempiva il petto, cercavo di non apparire troppo euforico, nascondendo ogni emozione con cura. Così ho scelto la resistenza all'espressione, la pazienza alla protesta silenziosa. Dentro di me ero spesso intrappolato. Ma esteriormente ero teso – credevo che questo significasse vivere da adulto.

Poi un giorno, ho iniziato a scrivere. E in quel mio mondo silenzioso, è iniziato un inspiegabile senso di pace. All'inizio, erano solo poche righe. Mi bastava osservare un tramonto o assistere a dei modi gentili, per far scattare la voglia di raccontarmi.

Quei momenti, che un tempo trascorrevo senza una parola, vivendo nella fantasia, diventarono frasi. E quelle frasi divennero il mio essere fuori.

Mentre il peso dentro di me fluiva fuori attraverso la scrittura, finalmente sentivo di essere veramente vivo. Prendevo consapevolezza del mio esistere. 

Alcuni dimostrano la loro vitalità attraverso un cuore che batte o un respiro costante. Ma per me, era attraverso una pagina scritta, il leggero tamburellare dei tasti, la silenziosa formazione di linee su uno schermo, l'atto di rivedere, cancellare e riscrivere.

Attraverso quel ciclo, riaffermavo la mia presenza. Erano i silenziosi frammenti del mio cuore, i pensieri che non avevo mai condiviso con nessuno.

Scrivere non significa semplicemente produrre qualcosa da leggere poi.

Significa evocare sottili echi interiori e lasciarli dolcemente espandere nell’anima.

Attraverso la scrittura, ho dato vita a emozioni che giacevano sepolte nel cuore – ciò che temevo, ciò che amavo. Ricordi dimenticati iniziarono a riaffiorare tra una frase e l'altra. E capivo così che essere vivi non significa solo respirare, ma guardare dentro di sé, comprendere e prendersi cura di sé.

A volte, scrivere era uno specchio delle mie ansie. Capivo che ci sono sentimenti che possono essere condivisi senza essere espressi. E questi sentimenti possono fluire nel mondo attraverso le parole.

Scrivere non era solo un ponte verso gli altri, ma prima di tutto, un sentiero silenzioso che riconduceva a me stesso.

Percorrendo quel sentiero, ho lentamente incontrato i paesaggi interiori che un tempo avevo ignorato: gioia, dolore, amore, rimpianto.

Tutto è riemerso attraverso la scrittura. E da allora, non ho distolto lo sguardo. Ho affrontato tutto, dolcemente, con cura.

Quindi, per me, scrivere non è una cosa da poco. È il modo in cui ricordo la mia vita. È il modo attraverso cui prende significato il periodo tranquillo che ho vissuto. È il modo con il quale cui mi aggrappo a me stesso.

Ogni pezzo che scrivo può raggiungere gli altri, ma più di ogni altra cosa, è un messaggio per me stesso. È un sussurro sommesso inviato da me a me stesso.

Ora sento che il tempo che ho vissuto senza parlare ha avuto valore. Ma il tempo che vivo scrivendo mi sembra ancora più prezioso.

Scrivendo, ho scoperto quante emozioni avevo trattenuto, e quanto a lungo avevano atteso in silenzio.

Ancora oggi, mi siedo nella mia stanza silenziosa e scrivo lentamente. Non importa che riflessi produrranno le mie parole, ma in quel momento, l'atto stesso di scrivere è la prova evidente che sono vivo.

Non è stata la parola, ma la scrittura a farmi respirare. Non il rumore, ma la scrittura silenziosa che aggiunge sapore alla vita. 

E così anche domani scriverò silenziosamente, con attenzione, un altro pezzo della mia anima.

sabato 20 settembre 2025

Sei un incanto

 

Sei un incanto

per la gentilezza che mostri,

per la dolcezza incontrollata che fluisce da ogni tuo abbraccio.

 Mentre intorno a te c’è freddo.

 

Tieni cura della tua inquietudine.

Qualcuno la confonde con ansia, paura.

Non temere, non sono mostri … sono debolezze.

Ti prendono quando sei persa

e hai smesso di sorridere,

e ancor più, quando hai smesso di credere in te stessa.

 

Ama chi ti rende poesia.

 Ti ricorda quel dolore che hai saputo affrontare,

quell’emozione che hai lasciato andare.

 

Sei straordinaria per tutte le volte che hai preferito non parlare

a chi non meritava le tue parole

e ti sei scusata per colpe non tue.

 

Sappi che tutto ciò non ti fa assomigliare a nessuno,

ti fa sentire viva,

a volte, anche sbagliata, ma sempre diversa, unica.

 

Sarebbe poco se fossi soltanto io a vederti stella,

ma è tutto il mondo che ha bisogno di meraviglie come te.

 

venerdì 19 settembre 2025

Il mistero del Dimethyltryptamine (DMT): Una sostanza psicoattiva naturale


 

"È difficile descrivere ciò che è impossibile immaginare." Cristina Rivera Garza

Nel gennaio 1991, lo psichiatra Rick Strassman, professore associato presso la Facoltà di Medicina dell'Università del New Mexico, avviò una serie di esperimenti per esplorare la relazione tra stati alterati di coscienza e neurochimica umana.

Iniettiò per via endovenosa a 60 volontari sani di mente, sottoposti a screening psichiatrico, N,N-dimetiltriptamina pura, colloquialmente nota come DMT.

La DMT è presente naturalmente in molte piante e animali, incluso il liquido cerebrospinale umano, ed è il componente psicoattivo dell'ayahuasca.

L'Ayahuasca è un decotto psicoattivo preparato con piante amazzoniche, principalmente il liana Banisteriopsis caapi e una fonte di DMT, come la Psychotria viridis. Usata tradizionalmente dalle popolazioni indigene dell'Amazzonia per scopi spirituali e curativi, induce potenti esperienze visionarie e purificatrici

L'esperienza di vaporizzare o iniettare DMT puro è diversa da quella dell'ayahuasca, che è meno intensa e molto più duratura. A differenza dell'ayahuasca, l'effetto della prima inizia entro mezzo minuto e un "viaggio" raramente supera i 20 minuti.

I risultati ottenuti da Strassman furono rivoluzionari, mandando in frantumi la sua visione della realtà e spingendolo a mettere in discussione il fondamento metafisico della sua pratica scientifica, indirizzandolo verso la neuroteologia. 

Strassman, buddista zen ed esperto meditatore, alla fine si riferiva al DMT come alla "molecola dello spirito", perché ipotizzava che il DMT, in quanto composto endogeno naturalmente psicoattivo prodotto dall'organismo, potesse svolgere un ruolo nelle esperienze legate alla nascita, alla morte e al misticismo. Come se il DMT aprisse una porta spirituale e spingesse i suoi soggetti in uno stato di samādhi o nirvāṇa.

In quell’esperimento, acadde qualcosa di molto più strano. Il DMT diede ai suoi volontari accesso a mondi alieni bizzarri, ipercomplessi e popolati con feroce efficacia. Il DMT li ha costretti a confrontarsi con cose che non potevano essere né sognate né immaginate.

In qualche modo, il DMT si è rivelato il più efficiente e affidabile strumento di scambio di realtà, che trasporta l'esploratore psichedelico in una dimensione alternativa popolata da un'intelligenza ultraterrena.

Molti dei volontari di Strassman hanno riferito di incontri convincenti con presenze intelligenti non umane, "elfi", "nani", "insettoidi" e "alieni". Quasi tutti hanno ritenuto che le sessioni siano state tra le esperienze più profonde della loro vita.

Per usare le parole di un volontario, sono stati trasportati in una dimensione che sembrava "più reale del reale".

Il DMT rappresenta un vero e proprio mistero e presenta agli scienziati una serie di profonde anomalie. Le molecole di triptamina correlate al DMT, come l'LSD, la mescalina (peyote) o la psilocibina (funghi allucinogeni), interagiscono tutte con il recettore 5-HT2A della serotonina, che regola la comunicazione tra le cellule cerebrali.

L'uso frequente di sostanze psichedeliche richiederà dosi sempre più elevate per ottenere lo stesso effetto. Inoltre, la tolleranza a una sostanza provoca anche una tolleranza crociata ad altre. Ma questo non accade con il DMT, che non crea tolleranza, e nessuno sa esattamente perché.

Inoltre, i consumatori abituali di DMT a scopo ricreativo segnalano, contrariamente alla tolleranza, il fenomeno del "lockout", in cui il DMT svapora improvvisamente e riporta l'utente quasi immediatamente allo stato di base della normale coscienza di veglia.

L'intera letteratura psichiatrica non riesce a fornire una spiegazione lontanamente plausibile di ciò che si può ottenere con un'iniezione o inalando una profonda boccata di vapori di DMT.

mercoledì 17 settembre 2025

Il dolore non è solo un dato da misurare


 

Il dolore non è solo un dato da misurare o una variabile da trattare: è l’apertura di una comunicazione incarnata che chiama una risposta relazionale. Quando la medicina riduce la sofferenza a un sintomo misurabile, confrontabile, perde la possibilità non solo di curare meglio, ma soprattutto di riconoscere la persona come individuo. Il termine stesso individuo individua e rivela la posta in gioco: in-dividuum, ciò che non si può dividere. L’essere umano non è una somma algebrica di parametri clinici, organici, funzionali, né tanto meno un insieme di dati scomponibili e isolabili. 

L’essere umano è una totalità sorprendentemente irriducibile che comprende corpo, psiche, storia, relazioni, universo ermeneutico e simbolico. Quando la medicina “divide” per analizzare, guadagna certamente precisione e rigore tecnico ma rischia di perdere l’orizzonte della complessità umana. Con ciò non voglio dire che la divisione analitica debba passare in secondo ordine o essere svalutata. 

Al contrario, essa rimane uno strumento necessario: senza la capacità di distinguere, classificare, misurare, la medicina non sarebbe in grado di offrire diagnosi tecnicamente affidabili né di sviluppare terapie risolutive efficaci. L’analisi è ciò che consente di oggettivare il fenomeno, di renderlo comunicabile, di confrontarlo con protocolli condivisi.

Il problema nasce quando questa prospettiva diventa “esclusività”. Nel senso che l’approccio analitico non si limita più a essere uno strumento tecnico di conoscenza, ma pretende di esaurire l’intera verità della sofferenza del paziente. In questo modo, ciò che è solo un frammento di laboratorio viene dichiaratamente assunto come il tutto di una totalità ben diversa e lontana dalla complessità umana di cui si parlava. 

La prospettiva analitica, dunque, deve restare “aperta”, mai assoluta. Deve riconoscere i suoi limiti e accettare che i dati oggettivi non dicono mai tutto. Solo in questo modo l’analisi ritrova la sua funzione originaria: non sostituirsi alla persona, ma mettersi al servizio della sua cura e apertura comunicativa.

 Fabio squeo

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