martedì 11 marzo 2025

L'ottimismo del professore


Incontrai una persona che sembrava provenire da un altro pianeta.

Mi chiese quale fosse la mia attività.

Io, senza esitazione, risposi: “Sono un professore!”

Inspiegabilmente domandò ancora: “Che cosa fa un professore?”

Pensando che volesse una risposta più profonda, stimolai tutta la mia cultura per assecondarlo.

Così, dissi: “Il professore è una guida nella formazione culturale dell’alunno. Egli, come un ponte, si stende sulle sponde del fiume dell’ignoranza e consente al discepolo di attraversarlo, sapendo che dopo il passaggio, dovrà ritirarsi per consentire al discepolo di costruire i suoi ponti in piena autonomia”.

Lo sconosciuto non sembrava convinto delle mie parole, anzi, dava segni di perplessità, per cui aggiunsi: “Non pensi che sia così?”.

Mi rispose immediatamente confermando che le mie parole davano bene l’idea del professore, ma creavano un certo stridore con la realtà dei fatti, o meglio, con ciò che gli alunni mostravano.

Il mio interlocutore asseriva che spesso passava davanti a gruppi di ragazzi che, attendendo l’inizio delle lezioni, si scambiavano idee ad alta voce. Il clima che traspariva non era di piacevole attesa per un’attività imminente mirata all’accrescimento culturale con compiacimento per il bello e l’utile del sapere. Si notava scarsa voglia di entrare in luogo non amico, di restare seduti per circa sei ore in una stanza scarnamente addobbata, vedere e ascoltare i professori che si alternano tra loro, presentando argomenti slegati tra loro e spesso poco interessanti.

Raccontava che uno dei ragazzi diceva: “Io a casa sto bene!” – “Ho Internet, posso chattare con chiunque, ascoltare musica, informarmi navigando a piacere su web ammalianti e pieni di attenzione ai miei click… e il tempo mi passa senza accorgermene!”

Un altro dei ragazzi interviene obiettando: “Sì è vero quello che dici, però la scuola serve; un giorno dovremmo trovar lavoro e costruirci un futuro sicuro per noi e per la famiglia che formeremo e … ”.

Non aveva terminato di esporre il suo pensiero che subito fu interrotto da un altro amico:

“Ma dove hai sentito queste parole?” – “Da Mamma e Papà che già lavorano o dalla televisione che diffonde prototipi di idee?” – “Io sento sempre lamentele, non si trova lavoro, i lavoratori sono in agitazione, altri devono gestirsi la cassa integrazione, altri ancora sono in esubero.” – “Di buono sento solo le vincite milionarie alle lotterie e le assicurazioni dei governi che in l’Italia, tutto sommato, si vive bene!”

La discussione si interruppe improvvisamente al suono della campanella che richiamava mestamente gli studenti a entrare nelle classi e bere un altro bicchiere di ricino.

Non ebbi parole pronte e convincenti per replicare al mio interlocutore.

Egli però, capì che i professori sono inguaribili ottimisti e finché saranno innamorati del loro lavoro si prodigheranno per dare il massimo. 

A loro basta “grazie professore!” per rinnovare la carica interiore e sminuire i problemi della scuola italiana.

lunedì 10 marzo 2025

Il soggetto e la sua esistenza (una crisi liberatoria)

 

L'uomo di oggi si trova dinanzi ad un paradosso: senza Dio e senza miti. 

Liberatosi da ogni pregiudizio, egli interpella le forze della razionalità per signoreggiare sulla realtà. Ma il malessere che ostinatamente cerca di comprendere e combattere, gli ricade addosso, imponente e ingigantito.  Vivere è come essere circondati da migliaia di api che ti inseguono: devi tenerti lontano/a. Vivere è, altresì, come tenere lontana la morte, averne la meglio. 

Questo è un tema vicinissimo agli esistenzialisti del ‘900, laddove vi è all’origine dell’essere, non l’Essere parmenideo, ma l’esistenza transeunte dell’uomo in quanto uomo-limite: un uomo che vede la propria vita sorgere nel mondo come qualunque altra vita che si definisce dopo e muore senza poter replicare dopo.   

Secondo la concezione esistenzialistica, l’uomo non è definibile, in quanto all’inizio non è niente e, dirà Sartre: [l’uomo] … sarà solo in seguito, è sarà quale si sarà fatto.  

Si parte da un primo condizionamento: la nascita. Nasciamo e ci muoviamo lentamente nella direzione di un intento emancipativo di ogni condizionamento, attraverso una progettualità sempre diversa e rielaborata, sempre trascinata su continui ostacoli che devono essere superati; tutto, poi, si interrompe, finisce con uno scacco al re: la morte. 

Cessazione di ogni progettualità: un viaggio tragico ed eroico insieme, dirà Sartre. 

Sartre, oltretutto, presenta la vita come “un viaggio senza biglietto”, in cui essa [la vita] è un percorso fatto di interminabili percorsi e di interminabili approdi pur non avendone uno solo. Sartre immagina di trovarsi su di un treno, di essere in viaggio. Ma non ha il biglietto. Non può averlo perché il viaggio che sta portando a termine è il viaggio della vita. 

La vita dell’uomo trova il suo significato nel vissuto, nel già visto, nel già visitato e rivisitato. Se non vi piace la parola “vissuto”, potreste sostituirla con “storia”. Il significato appartiene alla storia, non alla vita in quanto espressione “esistenziale”. Ma Sartre, prende, per così dire, la vita di peso: il vissuto resta un “processo opaco”, perché lo puoi raccontare, ma non riviverlo. 

Raccontare è dissotterrare la vita, darle una seconda chance.   Una vita dissotterrata, per quanto riacquisita è vita passata, conclusa; non è più una presenza a sé, è presenza in sé, lontana da sé, altra da me. 

In quello scatto, in quella fotografia scattata ad Amsterdam nel 1991, ci sono io, pur non essendoci più. Potremmo dire: io c’ero ed ero il poter essere che ero e che non sono più. 

 di Fabio Squeo

 

domenica 9 marzo 2025

Mamma, prendimi in braccio


 

Mamma, ho deciso di arrampicarmi su di te fino ad arrivare ai tuoi occhi.

Sì, voglio caderci dentro e finire sul tuo soffice cuore per stare sempre con te.


Mi vedi irrequieto, capriccioso e anche piagnucoloso e non sai perché.

 

Sai, mamma, ho paura di non avere tutto il tuo amore per me.

Cerco ogni lembo della tua pelle per sentirmi parte di te.

Voglio sentire le tue braccia avvolgermi.

Voglio sentire il tuo fiato caldo sul viso e la tua dolce voce che mi sussurra parole che non capisco.

 

Mamma, ora siamo in due a volerti sul tuo seno e se non ci sono io, sento di impazzire … ecco perché piango e strillo come un disperato.

Non arrabbiarti con me per questo.

 

Sei stata bambina anche tu e hai provato il mio stesso timore di non avere una mamma tutta per te.

La mia sorellina è bella, le voglio bene, ma mi ruba un po’ di te.

Tu non te ne accorgi e non sai come mi sento quando mi molli come un pacco per dedicarti a lei.

 

Mamma, sto diventando grande, e non puoi affidarmi all’asilo o ai nonni o anche a papà con il sottostante desiderio di liberarti di me per dedicarti alla sorellina o semplicemente per recuperare un po' di tranquillità.

 

Sì, sono certissimo che mi vuoi bene ed è proprio per questa ragione che non riesco a stare lontano da te molto tempo. Tra l’altro, non vedo la differenza tra un minuto e un’ora, così quando mi devi lasciare in qualche posto, sento crescere la mia paura.

 

Ti prego, mamma, comprendimi quando sono monello e faccio il matto. Mi hai abituato a sentire il tuo amore totale, a vederti dedicata a me con tutta la tua anima e ora mi è difficile rinunciare a ciò che avevo come consuetudine. Allora penso che se non sei con me, sei tutta per la sorellina e quindi, niente per me.

 

Povero papà… lui si arrabbia più di te, ma non so come dirglielo o fargli capire che è successo qualcosa di importante in me.

 

Per i bambini la mamma è il loro mondo, l’aria che respirano, l’amore che li attraversa e se arriva anche il più piccolo segnale allontanamento… ecco che si scatenano i terremoti nei cuori.

 

Forse, pian pianino passeranno queste paure, ma nel frattempo, mamma, cerca di starmi vicino quanto più ti é possibile perché … 

tu sei l’origine dei miei desideri;

tu sei la misura della distanza dal mondo;

tu sei la chiave della mia felicità futura.


giovedì 6 marzo 2025

La difficoltà di essere donna

 

Il divenire è un concetto astratto per i giovani, per cui il relativo non trovando collocazione assume le sembianze dell’assoluto.

Vi racconto la storia di una ragazza che chiamerò Lorella.

In un piccolo paese, un’esile ragazzina conduceva la sua battaglia per la vita. Lorella cresceva coccolata da genitori ancora attaccati ai vecchi luoghi comuni. Essi erano convinti che le donne avessero caratterialmente, qualcosa in meno rispetto agli uomini. L’affetto verso i suoi genitori impose a Lorella, di accettare inconsciamente le stesse convinzioni.

La ragazza era vivacissima e, a quell’epoca, questa caratteristica, era molto apprezzata per gli uomini e meno per le donne. Amava trascorre il suo tempo tra i ragazzi, anziché tra bambole e amichette. Anche la sua figura appariva contaminata da questo suo modo di essere, per cui era sicuramente una bella ragazza, ma con qualche rilievo comportamentale, tipico dei ragazzi. La sua infanzia, quindi, trascorse per buona parte tra i ragazzi e solo convenzionalmente, tra le ragazze.

La sua vivacità catturava l’attenzione di molti ragazzi, che dopo qualche approccio intrigante, dirottavano il loro interesse sullo spirito di compagnia che ella mostrava. Lorella voleva imporsi sui suoi amici, non per le sue qualità femminili, ma per la forza della personalità che voleva accrescere. Voleva, insomma, dimostrare che la sua inconscia assunzione che poneva l’uomo a un piano superiore rispetto alle donne, doveva essere falsa. Solo la pratica poteva in qualche modo, dimostrare chiaramente la falsità dell’assunto.

La strada che aveva intrapreso, era quella dell’imitazione del sesso forte e non quella dell’autodeterminazione del proprio essere donna.

L’imitazione spesso conduce ad azioni non legittimate dalla propria consapevolezza razionale e quindi, viene interpretata come stupidità o ingenuità.

La riprova era che questo suo modo di fare, portava poco frutto alla causa della donna forte e consapevole. Inoltre, non dimostrava che la differenza tra uomini e donne, stava solo nell’aspetto fisico.

Lorella studiò e conseguì anche il titolo accademico, per disporre di armi più potenti da usare nella sua battaglia.

Il tempo passava e il traguardo si spostava in avanti, mentre sentiva sempre più forte questo senso di rivalsa che investiva, non soltanto la sua cerchia di amicizie, ma si spostava indiscriminatamente sul mondo in generale.

Si ritrovava a piangere in solitudine, quando la sua energia non poteva spingerla laddove avrebbe voluto.

Le capitò di leggere una favola.

“C’erano una volta un cagnolino e un cavallo che vivevano insieme in una fattoria ed entrambi erano affezionati al loro padrone. Il cagnolino, rispettando le sue caratteristiche, era solito festeggiare l’arrivo del padrone con vistosi scodinzolii che finivano con un salto tra le braccia del contentissimo padrone. Il cavallo assisteva a questa scena, sempre con un pizzico di invidia, poiché avrebbe voluto, anch’esso, festeggiare l’arrivo del padrone allo stesso modo.

Un giorno decise di imitare il cagnolino e sorprendere il suo padrone.

Vedendolo arrivare da lontano, si lanciò in un galoppo forsennato per potergli giungere davanti e franare nelle sue braccia.

Il padrone vedendosi arrivare l’animale impazzito si riparò dietro ad un muro e pensò come abbattere il cavallo”.

Lorella capì di essere quel cavallo impazzito!

 

Post più letti nell'ultimo anno