sabato 4 gennaio 2025

la fenomenicità della coscienza

Julian Jaynes (1920-1997)
 

Quando ci poniamo la domanda "che cosa è la coscienza?", ci esponiamo inevitabilmente ad un errore di fondo: quello di de-finirla, chiuderla in categorie gnoseologiche e/o psicologiche fuori da ogni coscienza fattuale.  Noi possiamo essere coscienti di qualcosa che molto spesso coscienza non è/ha: una pietra non ha una coscienza, la panchina sulla quale sono seduto non ha una coscienza. Eppure scrive Jaynes "Noi reagiamo [comunque] costantemente a varie cose anche senza averne coscienza. Mentre sono seduto sotto questo cipresso reagisco alla mia posizione, prendo carta e penna e ci tiro su dei versi. Cosa mi accade? Scrivendo reagisco alla penna che ho in mano dal momento che la mantengo ferma, ma resto con la sola coscienza di appuntare ciò che sto cercando di appuntare.  

Ad avviso di Jaynes "la reattività copre tutti gli stimoli che il mio comportamento registra in qualche modo, mentre la coscienza è qualcosa di distinto ed è un fenomeno assai meno onnipresente".

Dunque, io sono la mia reazione, la mia fenomenicità o se vogliamo quel tale fenomeno che ridisegna il volto indefinito di una coscienza che non è disvelata. Questo è ciò che Yaynes definisce "mente bicamerale". Una mente temprata (storicamente parlando) a due binari pro-mossa dai culti emotivi e psicologici che inducono a spiegare i fatti di coscienza con la mera fenomenicità.

Questo fenomeno è un vuoto, una torcia accesa in una camera buia che vorrebbe qualcosa che non sia fatto di luce. Allo stesso modo, tutto ciò accade proprio quando noi pensiamo che sia tutto normale, nella misura in cui siamo svegli e attenti. Ne siamo davvero coscienti? per Jaynes è solo una impressione. 

scritto da Squeo Fabio

venerdì 3 gennaio 2025

La magia di guardare un'opera d'arte


 
Andrea era seduto al solito bar dando un’occhiata ai quotidiani. Improvvisamente e direi rumorosamente, apparì Antonio, che senza badare alla discrezione e tranquillità dell’ambiente, gli andò incontro salutandolo calorosamente.

“Andrea, amico mio filosofo, sono felice di rivederti!”

Andrea restò un attimo imbarazzato dai visi degli altri ospiti del bar, tutti rivolti verso di lui. Cercando di smorzare l’euforia dell’amico disse: “Dai Antonio, non urlare siediti e parliamo con calma.”

Davanti a due tazzine di caffè vuotate, i due amici trascorsero molti minuti discorrendo di un po’ di tutto. In un certo momento, facendosi serio, Antonio disse:

“Andrea, un mio amico pittore mi ha invitato a visitare una sua mostra, mi accompagneresti? Sai, ho parlato a lui di te, raccontandogli della tua vena di scrittore e della passione che ci metti in tutto ciò che è arte. Credo che gli farebbe molto piacere conoscerti. Coglierò l’occasione per sentire da te come ammirare un’opera d'arte.”

Andrea fu contento dell’invito ma non molto dell’esaltazione dei suoi meriti fatta al pittore. Comunque, la curiosità per l’evento a cui era stato invitato lo spinse ad accettare.

Nel giorno stabilito, i due amici si ritrovarono di nuovo per visitare insieme la mostra. Andrea propose di guardare le opere esposte prima di incontrare l’artista. Così sfilarono davanti alle tele, ma mentre Andrea si fermava davanti ad ogni pittura, Antonio sembrava passeggiare, posando sguardi veloci un po’ ovunque. 

“Antonio, fermati!”

“Perché?” domandò come se avesse fatto qualcosa di sbagliato.

“Antonio, Siediti. C'è una panchina qui. Perché non ti metti comodo e guardi con più attenzione questo dipinto?"

Antonio si sedette e fissò l’opera. Andrea gli disse: "Voglio che tu guardi questo dipinto il più a lungo possibile. Resta qui per almeno venti minuti. Vedi cosa succede".

Ed è quello che Antonio fece. Mantenne lo sguardo puntato sul dipinto finché non si annoiò. Non gli era chiaro cosa volesse rappresentare il dipinto posto di fronte, ma cominciò ad accadere una cosa strana: mentre i suoi occhi affondavano nell'immagine, il campo visivo iniziò a cambiare.

I colori del dipinto (fasce di giallo, rosso e arancione) iniziarono a brulicare e pulsare. Vide nuovi colori emergere, come se strati di pittura si stessero rivelando ai suoi occhi. Il dipinto sembrava prendere vita; forse era il genio dell’artista o forse i suoi occhi stavano inventando qualcosa di nuovo.

Non cercò risposte. Era semplicemente grato all’amico Andrea per avergli fatto spingere la sua capacità di attenzione oltre i pochi secondi, così da poter andare oltre lo sguardo superficiale.

Da allora, Antonio si ripromise di fermarsi un po' di più, di prendersi il suo tempo e lasciare che l’osservazione andasse più a fondo.

Lo stupore di Antonio, consentì ad Andrea di esternare il suo pensiero su come va guardata un'opera pittorica: “Con uno sguardo prolungato, possono accadere cose straordinarie." Disse.

Poi continuò: "Innumerevoli volte ho sentito persone dire di -non sapere nulla di arte-, come se non potessero iniziare a guardare gli oggetti che ingombrano una galleria d'arte senza prima un minimo di orientamento. Le persone tendono ad andare dritti alla piccola targa informativa sul muro, accanto all'opera e cercano di trovare qualcosa a cui aggrapparsi. Conoscere l'arte ha tanto a che fare con il guardare con i propri occhi quanto con qualsiasi tipo di conoscenza formale precedente. Anche se non hai idea da dove cominciare, solo guardare un dipinto ti dirà molto sul suo valore artistico.

Il motivo è semplice: la maggior parte delle opere d'arte sono fatte per essere apprezzate a livello intuitivo. Gli artisti lavorano a questo livello, cercando solo ciò che si allinea con il loro sentire, e di questo, l'osservatore può guadagnare molto dallo stesso approccio.

Alcune opere d'arte sono costituite da una precisa raccolta di segni e simboli che offrono un messaggio complesso e sottile. Armato di informazioni in merito, il tuo coinvolgimento con l'opera sarà sicuramente più ricco. Tuttavia, c'è anche un enorme vantaggio nel vedere un'opera d'arte con occhi inesperti, dove la targa non ha preformato le tue aspettative. Le opere d'arte sono spesso viaggi intrapresi dall'artista in territori inesplorati; in questo modo, aiuta anche avere il tuo viaggio non troppo mappato.

Tutte le opere d'arte visive hanno una composizione, ovvero un modo di disposizione, un certo flusso o armonia di parti. Alcune opere d'arte cercano l'equilibrio nella loro composizione; altre si spostano intenzionalmente fuori asse. Speculare su come la composizione contribuisca alla sensazione o al significato di un'opera è un modo eccellente per familiarizzarti con essa. La composizione conferisce al dipinto parte della sua potenza, poiché l'osservatore può facilmente percepire la logica spaziale.

Le gallerie d'arte sono meglio apprezzate a un ritmo glaciale, dove poche connessioni significative sono più soddisfacenti di una miriade di scorci momentanei.

Trascorrendo un po' di tempo davanti all’opera, hai la possibilità di creare gli stessi tipi di collegamenti, un processo autodiretto di percezione di un dialogo tra colori, forma e soggetti presenti in diverse opere d'arte.

Quindi abbi fiducia nell'atto di guardare. O come disse una volta Goethe: Pensare è più interessante che sapere, ma meno interessante che osservare".

Antonio era rimasto ammutolito mentre ascoltava Andrea.

giovedì 2 gennaio 2025

Musica: potente strumento in aiuto alle facoltà umane


La musica è da tempo riconosciuta come un potente strumento per avere un effetto potente sulla mente e sul corpo umano. La ricerca ha dimostrato che la musica può avere una serie di effetti benefici sulla salute fisica e mentale, tra cui:

Riduzione di stress e ansia: è stato dimostrato che la musica ha un effetto calmante e può aiutare a ridurre stress e ansia. Induce alla calma e rilassamento e ciò è utile per ridurre la tensione muscolare.

Miglioramento dell'umore: Quando sono triste mi aiuta a dimenticare il motivo della tristezza per cui la musica ha un impatto positivo sull'umore. Si rivela come chiave di svolta per gli individui che lottano contro la depressione o l’instabilità dell'umore.

Miglioramento del sonno: Quando ascoltate musica distesi in poltrona o a letto, diventa inevitabile addormentarsi e ciò si riflette sulla qualità del sonno.

Riduzione del dolore: è stato dimostrato che la musica ha un effetto antidolorifico e può essere utile per gestire il dolore cronico o ridurre la necessità di farmaci antidolorifici.

Miglioramento delle funzioni cognitive: La musica ha un effetto positivo sulle funzioni cognitive, tra cui memoria e attenzione, e può essere molto utile per le persone con disabilità cognitive.

Miglioramento delle prestazioni fisiche: è stato provato che la musica ha un effetto positivo sulle prestazioni fisiche e può essere utile per aumentare la resistenza e la motivazione durante l'esercizio.

Miglioramento delle abilità sociali: La musicoterapia è efficace nel migliorare le abilità sociali e la comunicazione nelle persone con autismo e altri disturbi dello sviluppo.

Promozione dello sviluppo del linguaggio: è ormai riconosciuto che ascoltare musica migliora lo sviluppo del linguaggio nei bambini piccoli e può essere utile per migliorare il vocabolario e le capacità linguistiche. Nel mio caso, attraverso la musica la comprensione della lingua straniera ha avuto un netto miglioramento sia in ascolto, sia in scioltezza espressiva.  

Miglioramento della creatività: La musica stimola il cervello e può essere utile per migliorare la creatività e le capacità di risoluzione dei problemi. Infatti, chissà quante volte, dopo il riposo pomeridiano, mi è capitato di risolvere problemi che mi avevano impegnato nella mattinata senza concludere nulla.

Fornire un senso di comunità: la musica può essere un modo potente per unire le persone e creare un senso di comunità, ed è spesso utilizzata in eventi e raduni sociali e culturali.

Esprimere emozioni: la musica è spesso utilizzata come mezzo per esprimere emozioni e comunicare sentimenti che possono essere difficili da esprimere a parole. Dopo avere ascoltato musica, ho scritto le mie migliori poesie.

mercoledì 1 gennaio 2025

Tra mondo pensato e vissuto (Ortega Y Gasset )

Ortega Y Gasset (1883-1955)

 

C'è un dato necessario nella mia esistenza: e cioè che co-esisto. Una frase, questa, che apre sin da subito le porte della dimora ortegassiana. In verità, co-esisto senza il bisogno che Altri me lo ricordano. 

Esisto dunque co-esisto, pur prevaricandomi con un io che vuole solo se stesso. L'io è sempre con sé stesso. Non posso fuoriuscire da me stesso per gli altri. Eppure gli altri me lo impongono, insieme alla vita, assieme all'esistenza. 

Ma ad avviso di Ortega "per incontrare il mondo diverso non ho bisogno di uscire da me stesso, il mondo è sempre congiunto a me". 

Secondo il pensatore spagnolo, parlare di mondo e/o parlare di un io, significa parlare della stessa cosa. In altre parole, io sono quel luogo o quella dimensione di fatto (che ortega piace chiamare circostanziale) dove il mondo è sempre unito a me. Pertanto, il dato necessario di cui parlavo suddettamente, è oltretutto costitutivo, radicale. Il punto di partenza di questa riflessione filosofica non è semplicemente che l'io va auto-delineandosi, come voleva la dialettica Fichtiana o addirittura, per essere più precisi, come voleva quella hegeliana. 

Ortega libera persino l'io di Cartesio dalla prigionia della soggettività. Egli propone un progetto esclusivo: cioè quello di rompere con forza quella prigione riportando la coscienza di ogni uomo nel mezzo del vociare del mondo: in quel luogo tanto bello quanto ostile dove l’io sperimenta la vita. L'io che pensa, in sostanza, è anche il mondo pensato e vissuto.

Infatti Ortega lo rammenta: "[entrambi] esistono insieme, senza separazione". Se non ci fossero cosa da ammirare, da contemplare, o banalmente da vedere, l'io non vedrebbe, stop. A tale proposito, si potrebbe pensare anche a una intimità del mondo? Certo. Perché l'intimità del mondo rientra in quel tutto, omnicomprendente che l'Io di Ortega è: vale a dire la sua circostanza. Io, in quanto esistente, divento intimamente conservato con la realtà relata del mondo, smetto di essere prigioniero e persino parte della mia sola intimità; la mia apertura al mondo è espositiva. 

Una esposizione (sul mondo, sulle cose) che non va pensata come una dualità, ma come una coesistenza. Le cose sono, per così dire, imparentate con noi. Non ci sono cose che vivono nell' in-se, come voleva Sartre. Ortega scriverà  che "non serve a nulla parlare delle cose ponendosi dinanzi ad esse, senza entrarvi".  

Il primo compito della filosofia è proprio quello di definire assolutamente questo dato radicale. Proprio come il biologo, (come lui scriverà), che incontra la vita organica dentro la sua vita, come un dettaglio di essa. 

 

articolo scritto da Fabio Squeo

Post più letti nell'ultimo anno