lunedì 1 dicembre 2025

Dove finisce il vuoto dell'universo?



Lo spazio e il tempo sono due concetti imprescindibili dalla logica del nostro sapere. Pensare a qualcosa senza collocarli in un luogo e in un momento, è impossibile. Anche quando non facciamo riferimenti diretti, abbiamo la convinzione che tutto avvenga in uno spazio cartesiano a quattro dimensioni.

In questo mondo logico, come in un interminabile giro di walzer, le quattro dimensioni ballano con la materia. 

Lo spazio-tempo determina il passo della danza della materia, e questa, decide le figure. Ricordando, infatti, la relatività generale di Einstein, lo spazio-tempo stabilisce il moto della materia, la quale modifica la geometria del percorso.

Una tacita consapevolezza ci focalizza il pensiero nel ricostruire una rappresentazione cartesiana a tre dimensioni, con l’omissione del tempo, poiché considerato presente.

Ci appare facile pensare a un oggetto ricondotto in modo semplificato a un punto dello spazio a tre dimensioni.

L’automatismo mentale nasconde una convinzione inconscia, cioè, che le dimensioni dell’oggetto rappresentato sono ininfluenti o trascurabili rispetto alla dimensione dello spazio cartesiano che lo contiene. Inoltre, se pur venisse in mente di far occupare all’oggetto uno spazio paragonabile a quello di rappresentazione, avremmo sempre a disposizione il concetto di traslazione degli assi per rimpicciolire figurativamente l’oggetto.

La convinzione di fondo consiste nell’ammettere che la materia occupa uno spazio 4D insignificante rispetto all’intero universo.

Lo spazio non occupato dalla materia è il “vuoto”, l’elemento più grande dell’universo, che per complementarietà rende infinitamente piccolo la materia.

Il riscontro a questo fantasioso principio si può ottenere indirettamente, attraverso la teoria atomica, esaminando il volume delle masse degli elettroni in relazione alle distanze dai neutroni, oppure notando come il nostro sistema solare contiene pochi pianeti in spazi enormi.

Un rapido sorvolo su tutto il sapere umano ci consente di verificare la presenza della stessa corrispondenza tra la materia e lo spazio-tempo per cui materia e non-materia si rapportano sempre come pochissimo a molto.

In definitiva, dovremmo interrogarci su quale potrebbe essere quell’elemento ultimo della materia, dopo il quale ci sarebbe il vuoto.

Potrebbe esistere qualcosa a cui associare una “forma” che superi il concetto spazio-tempo e che la renda significativa nell’ottica dell’armonia universale?

Non potendo collocare il tutto in una realtà vicina ai nostri sensi, poiché cadremmo in contraddizione, siamo obbligati a riferirci a entità spirituali, quali: coscienza e amore.

In questi termini, siamo costretti ad ammettere che questa misteriosa “forma” contiene tutto ed è contemporaneamente parte di tutto, in quanto confine tra “vuoto” e “non-vuoto”.

La conseguente difficoltà che emerge nell’immaginare un confine tra due elementi, di cui il secondo è il derivato del primo, conferma la posizione ideologica per la quale l’universo è una realtà unica, primaria, di natura spirituale che non ammette divisioni, e quindi, limitazioni di qualsiasi genere.  Qualunque fenomeno ricondotto alla dimensione universale non è una manifestazione di una proprietà, ma un aspetto dell’insieme.

Tutta l’analisi scientifica segue un meccanismo “step by step”, in linea con la consequenzialità logica che, per sua intrinseca struttura, si fonda sulla separazione che rappresenta il peccato originale nell’approcciarsi alla comprensione dell’universo.

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