
Il concetto di non-località mette
in discussione la certezza di osservare qualcosa e attribuirle un posto nello
spazio, per cui se non la vediamo, non possiamo dire che non esiste.
Un oggetto, secondo la
non-località, per esistere non ha bisogno di collocarsi.
Qualora, inoltre, lo stesso
oggetto potesse assumere due collocazioni diverse, non saremmo autorizzati ad
assumere l’esistenza di due oggetti diversi.
A supporto di tale concezione,
Bohm addusse un esempio spettacolare.
Prese un acquario con un bel
pesciolino rosso, che tranquillamente boccheggiava tra le finte bollicine, e lo
riprese come una star di Hollywood, con due telecamere poste in direzioni
diverse.
Le immagini affiancate delle due
riprese, le diffuse su uno schermo, dove ignari spettatori, constatavano la
presenza di due pesciolini così affiatati, che erano riusciti a sincronizzare i
loro movimenti alla perfezione.
I pesciolini, quindi, non erano
due, non comunicavano tra di loro e si potevano trovare ovunque!
Dov’erano i pesci che si
osservavano?
Quale dei due era reale?
Se nessuno dei due era reale,
poteva esistere uno che lo era ma non vedevo?
Quello che vedevo, allora, era una
simulazione di quello reale!
Ma il peggio era che potevamo
avere tante simulazioni e tutte credibili.
Chi vive in un mondo egocentrico,
lotterebbe fino alla morte per affermare la sua realtà.
I due pesciolini, separati e
autonomi, apparterrebbero a uno stesso mondo (coesisterebbero), semplicemente a
causa di una decodifica mentale dell’osservatore, parziale e derivata dalle
proprietà sensoriali limitate.
Fu questo l’errore che, secondo
Bohr, Einstein commise nell’obiettare la sua teoria. Infatti, se i due pesci
fossero stati due realtà separate e autonome, necessariamente avrebbero dovuto
comunicare a una velocità superiore a quella della luce, poiché tramite questa
si riescono a vedere.
Il fatto straordinario sta nell’avere prodotto una scena e un’induzione logica del tutto inesatta, cioè si è creata una realtà apparente ricavata con informazioni acquisite dalla vista di due immagini e accettate come se fossero reali dal nostro cervello.
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