L'ultimo Duath di Rammas stava
morendo davanti ai miei occhi e non avevo ancora trovato una cura.
Solo la fede
mi guidava ormai, sempre più debole col passare del tempo. I suoi occhi avvolti
dalle cataratte cercavano disperatamente nel mio viso il riposo eterno.
Mi
chiedevo quale sarebbe stato il destino di Rammas, cosa sarebbe sopravvissuto
degli Archivi se il loro custode biascicava il suo lento delirio in un letto di
tela.
Guardai impotente la memoria di Rammas che svaniva, erosa dalle tarme del
male insaziabile che ci avrebbe condannati tutti e per la prima volta ebbi
paura.
Le camere vennero sigillate, le finestre sprangate, solo il caldo
soffocante e l'odore degli antisettici a farmi compagnia.
Sentii su di me la forza del sonno stringermi in una morsa d'acciaio e mi ritrovai con mia somma sorpresa ad assistere affascinato al suo lento declino, il suo ritmico respiro sempre più lieve, abbandonandomi nell'appagante solitudine dei vapori di zolfo, delle pergamene sbiadite nelle lunghe ere.
Sentii su di me la forza del sonno stringermi in una morsa d'acciaio e mi ritrovai con mia somma sorpresa ad assistere affascinato al suo lento declino, il suo ritmico respiro sempre più lieve, abbandonandomi nell'appagante solitudine dei vapori di zolfo, delle pergamene sbiadite nelle lunghe ere.
Persi la cognizione del tempo e in un raro lampo di lucidità mi
trovai aggrappato al letto del grande savio ascoltando i misteri confusi, le
meraviglie del passato e gli orrori del futuro pronunciati dalle sue labbra
screpolate.
Fu così che mi raccontò delle stelle: sfere accecanti
avvolte nel fuoco primigenio, immerse nello spazio imponderabile, oltre i
confini stessi di Rammas.
Accennò a una
grande conflagrazione, alla formazione della materia originaria, nubi immani contratte da potenze ormai
perdute.
Descrisse lo splendore dei primi lumi e mi parlò di come dai residui
della loro nascita emerse la stirpe degli Ukthai, i signori della luce, bipedi
implumi che amavano più di ogni altra
cosa le stelle e lavorarono con frenetica tenacia pur di ammirare lo splendore
delle cuspidi dorate, la colonne maestose e le nubi luminescenti.
E quando il
loro mondo invecchiò e le torri delle loro città divennero grigie, si mossero
in grande numero sulle loro bianche navi, conquistando con la forza della loro
scienza lo spazio conosciuto, in una lenta ma irresistibile diaspora.
Braccio dopo braccio la galassia fu conquistata.
Braccio dopo braccio la galassia fu conquistata.
Il vecchio cominciò ad annaspare, le
sue mani scarne attraversate da grosse vene si contraevano in spasmi
ripugnanti.
Un mostro. Un mostro di infinita crudeltà che dalla lande
inesplorate fagocitava mondi interi.
Neppure la luce delle stelle vi sfuggiva:
il dominio Ukthai sul braccio della spirale era destinato a morire sul nascere,
nelle tenebre dello spazio.
Perché le stesse stelle che li avevano nutriti e
cresciuti sarebbero scomparse.
Inchiodati dal terrore, assistettero al loro declino, abbandonandosi
alla follia con la medesima scrupolosità con cui erano sorti.
Tarassa, la loro
capitale fu saccheggiata e distrutta e i suoi abitanti si dispersero in quella
che era l'ultima languida ondata senza speranza nell'universo vacuo e inutile.
Vissero le loro effimere vite aggrappati ai ricordi delle stelle, venerandole
come le divinità dell'età dell'oro e col pensiero che l'odio li avrebbe tenuti
in vita, l'odio verso ciò che li aveva creati e che ora li condannava.
Nel
marasma della rovina, vagabondando di pianeta in pianeta giunsero a Rammas, che
nella loro lingua voleva dire Memoria.
E da quando esistono i Duath le loro memorie sono rinchiuse nell'Archivio.
Questa è la terribile verità.
Questo protegge un Duath.
E da quando esistono i Duath le loro memorie sono rinchiuse nell'Archivio.
Questa è la terribile verità.
Questo protegge un Duath.
Ora che è morto non faccio altro che pensare alla sequela di
orrori da lui descritti e nella mia mente vedo quei momenti con sconcertante
chiarezza.
Può essere questo velo oscuro e senza limiti, inesplicabile invero, la nostra fine?
Può essere questo velo oscuro e senza limiti, inesplicabile invero, la nostra fine?
È davvero questo l'autunno gelido o siamo solo tanto miopi da
non vedere oltre la superficie del mare congelato che ci sovrasta?
Mi ritengo
un uomo ricco di immaginazione, eppure mi è difficile immaginare l'esistenza delle
stelle, potenze arcaiche diluite in tempi incalcolabili, ai guizzi di luce e al
vento imponente che da loro si sprigionava, a mondi illuminati dai loro
raggi o a un mare che non sia nero e
immobile.
Eppure, a distanza di tanti anni guardo il cielo e spero ancora di
vedere le stelle di cui i parlò il grande savio.
Qui in città pensano che sia pazzo.
Qui in città pensano che sia pazzo.
Brano scritto da Francesco Silvestris.
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