domenica 30 marzo 2014

Morire dentro


 
 Dal blog del Corriere.it a cura di Silvia Pagliuca ho letto l'intestazione di questo articolo.
 
"La generazione del “vivere temporaneo”: hanno dai 25 ai 40 anni, vivono in appartamenti in condivisione, in periferia. E fanno progetti a lungo termine, perché è solo guardando lontano che la quotidianità acquista un senso".

Dopo aver letto l'articolo, mi sono detto: "Poveri giovani!".

Contemporaneamente, mi sono sentito "Vecchio" e uno sconforto enorme mi ha preso.

Nel mio pensiero, mi ripetevo: "Ma che messaggio si dà ai giovani? Quali stimoli utili ad affrontare le sfide della vita potrebbero trovare dalla lettura dell'articolo?".

Mentre pensavo questo mi immaginavo la giornalista che ha redatto l'articolo; tentavo di focalizzarmi sul suo "sentimet", sulle sue intenzioni e aspettative.

Non vi riferisco dei commenti che di botto venivano fuori tramite la rabbia intellettuale, crescente mentre approfondivo la lettura.

L'articolo era preceduto dalla indicazione di quanto tempo bastava per leggere l'articolo.

Ma è pazzesco!!  
Come si può imbrigliare il pensiero e una critica in un tempo prestabilito?

Il mio sentimento è riassumibile con due parole: "Morire dentro".

Viviamo in una società integrata e tecnologicamente in forte evoluzione, con una storia del pensiero ancora in gran parte da scrivere e di che cosa si discute:  NON C'E' LAVORO....non c'è PROSPETTIVA..... si attende il tempo che passi e che ci porti ad invecchiare sperando di vegetare onorevolmente fino alla morte.

Probabilmente, la mia situazione personale "comoda" non mi offre la giusta visuale relativa a chi è precario ed è costretto a combattere con i problemi più banali per sopravvivere.

Dall'altro verso, qualora fosse questo il motivo della mia incomprensione, non credo che se fossi io nelle vesti di uno sfortunato precario, risolverei qualcosa piangendomi addosso e chiedendo commiserazione alle iniquità della vita o alle scarsa attenzione di una politica sociale quantomeno incapace di affrontare la questione.

In una società con un grosso coefficiente di disoccupazione, fa rabbia constatare che nella mia cerchia lavorativa non si riescono a trovare persone di un certo know-how, capaci di investire risorse intellettive e pronte sacrificarsi in ordine ad un obiettivo lungimirante.

Dove sono finite le passioni, le curiosità, la voglia di misurarsi, scoprirsi, imparare, crescere.

Senza la voglia di inventarsi, non si va da nessuna parte. 

In alternativa, non rimane che piangere e cercare commiserazione nel gruppo di sfigati e di diseredetati del mondo.

Certamente, è necessario dedicare tempo e avere tanta convinzione che al mondo non si sta soltanto per "consumare" beni e servizi.



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