martedì 15 aprile 2025

La banca che ti augura il buon compleanno


 

Vi capita di rimanere senza soldi in tasca?

Domanda retorica! Non è vero?

Chi ha la fortuna che gli consente di preoccuparsi soltanto di cercare un punto ATM (bancomat) è cautelato dall’incubo dell’impotenza economica.

La sua tranquillità è ancora più blindata se, dopo aver digitato il codice segreto, appare il seguente messaggio:

La nostra banca è lieta di porgerle i più sentiti auguri di buon compleanno!”.

Nel giorno del compimento dei miei anni, questo messaggio mi deprime.

Ho due buoni motivi per giustificarmi.

Il primo è che non mi spiego come una banca possa esprimere un sentimento che implica tanta intimità.

L’altro motivo è legato al consumismo e all’apparire.

La banca è così presuntuosa (o pretestuosa!) da credere che io possa sentirmi gratificato da un anonimo e formale augurio!

Vi è capitato di ascoltare una bella canzone data in pasto alla pubblicità per cibo ai cani o prodotti per il dimagrimento o lassativi efficaci? Il mondo dei ricordi, il fascino delle emozioni, legato a quella canzone finisce in un vespasiano (scusatemi l’uso improprio della parola).

Non credo di volere l’impossibile sperando di ricevere auguri sinceri!

Sarei felice ricevendoli da chi non guarda nel mio portafoglio; da chi, ogni giorno ha il piacere di vedermi; da chi sa come il mio cuore si contrae al suo sorriso; da chi ha capito come vivere il proprio tempo in compagnia delle persone.

Se l’indifferenza è padrona del vostro stato d’animo, se non mi ritenete una persona gradita (ohibò!) o a causa delle mie indolenze o dei miei limiti e per questi motivi, non riuscite ad accettarmi, rinviate gli auguri al momento in cui potrò farvi ricredere.

Se risulterà troppo tardi, non vi preoccupate, perché avremo modo di chiarirci nel mondo dove le anime non usano portare occhiali.

 

lunedì 14 aprile 2025

L’Ironia napoletana come arma contro le difficoltà della vita

Luciano De Crescenzo (1928-2019)


 

“Io penso che Napoli sia ancora l’ultima speranza che ha l’umiltà per sopravvivere”.

È la frase di Luciano De Crescenzo riportata per inciso sul murale nei Quartieri Spagnoli di Napoli, precisamente all’angolo tra vico Tre Regine e via Emanuele De Deo. Il murale raffigura il volto sorridente di Luciano De Crescenzo in bianco e nero.

Chi era Luciano De Crescenzo?

Luciano De Crescenzo è stato un Ingegnere della IBM, appassionato divulgatore della Storia della filosofia greca e medievale: un po' meno di quella contemporanea. Nato a Napoli, nel quartiere Santa Lucia nel 1928, è morto a Roma nel 2019 a causa di una polmonite.  I suoi manoscritti rappresentano la vivida testimonianza di come si posso unire, giocosamente per così dire, il rigore scientifico della filosofia con l’ironia napoletana: E pare che i napoletani siano molto bravi in questo.

Questo sano umorismo affonda le radici nella storia delle tradizioni di Napoli: basti pensare alla commedia dell’arte, con personaggi come Pulcinella, noto per la sua capacità di sdrammatizzare le difficoltà della vita attraverso la satira e l’ironia; satira e ironia come strumenti essenziali per sopportare la vita. Dopo la maturità classica, De Crescenzo si iscrive alla facoltà di ingegneria presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, secondo il volere dei genitori.

Dopo la laurea non trova lavoro; si arrangia facendo piccoli lavoretti. Sui trent’anni viene contattato dalla IBM; qui ci lavora per molti anni sino a ricoprire la carica dirigenziale. Sulla soglia dei cinquant’anni, capisce che nella sua vita qualcosa non è andato per il verso giusto e che quello che faceva non era addirittura il suo mondo. Dunque lascia tutto per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura e alla divulgazione.

Il suo primo libro, Così parlò Bellavista, pubblicato nel 1977 divenne un vero e proprio caso editoriale. Il libro unisce aneddoti di vita, filosofia quotidiana, napoletanità, in modo leggero e profondo allo stesso tempo. Egli è riuscito, a mio avviso, in una impresa rarissima: far parlare Socrate, Platone, Plotino, e altri dinosauri del pensiero Occidentale con simpatia e leggerezza. Il suo modo di scrivere è accessibile a tutti.

La sua forza era nel linguaggio: semplice, mai banale, mai pretenzioso. Parlava alla gente come se avesse davanti a sé un amico di vecchia data al quale racconta storie al bar: sempre con un tocco di eleganza filosofica!

In altre parole, si può ben dire che De Crescenzo costituisce la sintesi hegeliana tra la cultura alta e quella popolare, capace di mostrare a chiunque quanto fosse “filosofica” Napoli. Infatti, De Crescenzo è convinto che la sua Napoli era più di una città: era addirittura un “modo” di pensare. 

Un luogo dove ironia, umanità e spirito di adattamento diventano una forma di saggezza. È da qui che nasce la frase riportata in apertura di questo saggio.  Va detto oltretutto, che anche da ingegnere, egli non ha mai separato la logica dal cuore. Vedeva l’uomo come un individuo complesso che ha bisogno tanto della ragione quanto del sentimento, della poesia, dell’ironia.

L’ironia non è solo “fare una battuta”, è un modo di pensare la vita con intelligenza con sorriso sulle labbra. Così ha fatto Luciano De Crescenzo: ha costruito mediante l’ironia un ponte verso la creatività; quella creatività pungente, sì, ma è anche una forma di amore. 

Una creatività razionale quanto giocosa utile per alleggerire, a volte per “smontare”, per de-costruire le cose troppo serie della vita e per ri-creare un nuovo entusiasmo tra le persone, specie tra le nuove generazioni.

De Crescenzo diceva che il napoletano è un filosofo naturale, anche a digiuno di Platone o di Aristotele: la sua ironia è sempre impregnata di saggezza popolare: ti fa ridere, sorridere e ti fa anche pensare. Una filosofia che esiste non solo sui manuali, ma anche nei vicoli delle città; nel modo in cui la gente parla, sparla, osserva, si prende in giro e affronta i drammi della vita. 

di Fabio Squeo

domenica 13 aprile 2025

Fuga nella nostalgia del passato


 

Per chi crede in un destino già tracciato deve sembrargli impossibile una vita diversa da quella vissuta.

Credere, invece, a un divenire verso la perfezione consente di alzarsi con la fantasia e farsi impadronire da stati d’animo dolcissimi.

Non è illusione abbandonarsi all’immaginazione. È solo fermare il mondo per il tempo che occorre. 

Si diventa creatori di possibili realtà, con il conseguente terremoto di sentimenti, unici marcatori di un vivere profondamente il senso dell’umano.

Si può immaginare una vita nuova, come vorremmo viverla, senza limiti e frustrazioni di ogni tipo.

Avrete sperimentato, almeno una volta, di entrare in un parco dei divertimenti. Subito dopo l’ingresso, ogni problema è rimasto al cancello, ogni persona si muove con il sorriso perenne. Si tende a fare gruppo, a parlare, a guardarsi intorno per far parte del clima di gioia che è nell’aria e che si respira.

Capita a tutti, specie in età matura, di sorprendersi a guardare il passato.

Un nugolo di sentimenti è lì ad attendervi.

Vi fanno gonfiare i polmoni.

Le emozioni, con continui sobbalzi di un respiro, non più regolare, offrono un flashback (retrospettiva) dell’antico vissuto.

Tutto è caro in questi momenti, ma nonostante tanta dolcezza, l’irrequietezza vi fa spostare sulla sedia, quasi a ricerca di una posizione più comoda.

Il sintomo è evidente: avreste voluto fare di più, sentire e provare con gli strumenti che avete ora.

Purtroppo non è possibile ritornare indietro e allora, una stizza tende a prendervi, prima di ricredersi e trasformarsi in romantica nostalgia.

I colori dei ricordi sono teneri, soffusi e non vogliono delineare i contorni, cosicché, tutto possa apparire magico per accettare l’idea che nulla ci possa riportare a quei momenti.

L’impotenza ci appare come il sentimento di resa verso una natura, che prima ci ha esaltato e ora ci deprime.

Molte idee non trovano pace nella mente del romantico, sembrano spostarsi fisicamente tra il cuore e la mente, mentre distrattamente toccano lo stomaco per poi scivolare sul sistema nervoso prima di dichiararsi ai nostri sensi.

Chiudere gli occhi è la prova del loro passaggio e una voglia di fermarle per consegnare alla consapevolezza, prima di abbandonarsi a un lungo sonno.


sabato 12 aprile 2025

La verità è un’idea di mia utilità (William James)

William James (1842-1910)
 

L'americano William James (1842-1910), fratello del romanziere Henry James (1843-1916), fu un medico divenuto filosofo. William James scrisse letteralmente il libro sulla psicologia – I principi della psicologia (1890) – affermando la disciplina come scienza legittima negli Stati Uniti. Più tardi, in filosofia, James si basò sull'opera di Peirce per introdurre i principi del pragmatismo nella vita quotidiana.

Lo scopo della filosofia, dichiarò James, è determinare quale differenza concreta le varie convinzioni apporteranno a noi e alle nostre vite. La sua ricerca era rivolta a verità che apportino differenze pratiche e positive nelle nostre vite. Le sue opere filosofiche più note sono La volontà di credere (1897) e Pragmatismo: un nuovo nome per alcuni vecchi modi di pensare (1907).

Per William James, la domanda fondamentale per noi esseri umani, e quindi quella che deve essere la domanda fondamentale per la psicologia e la filosofia, è quale utilità pratica abbiano le convinzioni per noi.

"Lo vuoi o non lo vuoi?" è la domanda più profonda che ci venga mai posta; ce la poniamo a ogni ora del giorno, e sulle cose più grandi come sulle più piccole, sulle più teoriche come sulle più pratiche. (Principi di Psicologia, 1182)

I primi lavori di James in psicologia lo portarono a comprendere che ognuno di noi sperimenta il mondo oggettivo incentrato sulle proprie esperienze soggettive come un corpo nello spazio. Non nega che esista un mondo oggettivo che può essere misurato e rappresentato come punti nello spazio. Riconosce che la nostra esperienza vissuta di quel mondo è in effetti la nostra esperienza, una realtà che ha implicazioni significative. James sposta quindi l'attenzione della filosofia sulla prospettiva dell'individuo e sulle implicazioni dell'esperienza e dell'azione per l'individuo.

Come Peirce, James afferma che ciò che è vero è una questione di utilità per noi di una credenza. La verità accade a un'idea, diceva, quando riesce a predire nuove esperienze sensoriali; in altre parole, estendendo le idee di Kant e Hegel, James afferma che siamo partecipanti attivi a ciò che diventa vero.

Allo stesso modo di Peirce, era un convinto empirista, considerando tutta la nostra conoscenza derivante dall'esperienza sensoriale. Ma mentre Peirce enfatizzava l'aspetto pubblico e collettivo dell'empirismo, James sosteneva che fosse diritto dell'individuo comprendere le conseguenze delle credenze nella propria vita personale. La verità è ciò che funziona per ogni persona. L'individuo determina le conseguenze pratiche e soddisfacenti di una credenza.

Può sembrare che James stia dicendo che tutto è lecito – se una credenza ci piace possiamo dire che è vera – ma questo è un fraintendimento. Spetta all'individuo decidere cosa sia vero, ma questa decisione non è arbitraria; questa decisione dovrebbe essere basata su solide prove empiriche.

James comprese che l'idea che la verità sia una realtà oggettiva e distaccata era un'assurdità.

La verità è uno strumento con cui agiamo o, per usare l'audace analogia di James, la verità ha un valore pratico in denaro. Se una credenza sia utile o preziosa può essere determinato solo dall'individuo. Questo perché la conoscenza deriva solo dall'esperienza, e l'esperienza è sempre vissuta soggettivamente dall'individuo. Condividiamo molte circostanze in comune, ma molte circostanze particolari differiscono da persona a persona.

Una convinzione è vera se funziona per me nelle mie circostanze particolari, anche se spetta a me essere sensato nel decidere cosa funziona; non è una questione di capriccio. Dovrei essere in grado di dimostrare che le mie convinzioni rispondono all'evidenza.

Tutto nella filosofia di James si basa sull'utilità pratica.

La verità accade a un'idea, non perché lo vogliamo, ma perché la rendiamo vera attraverso le nostre azioni. Un'ipotesi scientifica è vera solo dopo averla testata a sufficienza. I nostri obiettivi personali sono veri solo dopo aver agito per realizzarli.

James capì che la verità è pluralistica, il che significa che una particolare convinzione potrebbe funzionare in termini pratici per una persona ma non per un'altra, il che significa che è vera per la prima persona ma non per una seconda. Inoltre, convinzioni diverse funzionano in situazioni diverse; ci sono diversi modi per svolgere un determinato compito, quindi ci sono diverse verità.

Ciò che James stava facendo generò controversie. I critici lo attaccarono per essere troppo soggettivo e relativista. Misurare la verità non in base al suo essere universale, ma in base alla sua utilità fu un cambiamento epocale. Ciò andava contro gran parte di quanto sostenuto dalla filosofia e da tutte le espressioni politiche, scientifiche e culturali che ne derivavano. Ma come James osservò nel titolo del suo libro, Pragmatismo: un nuovo nome per alcuni vecchi modi di pensare, egli stava sottolineando il modo in cui le persone si sono sempre comportate nella loro vita quotidiana.

La verità è una questione di utilità, e se un'idea è utile, è vera: è così che agiamo. Più di questo, disse, la verità è semplicemente l'espediente nel nostro modo di pensare.

È interessante notare che queste idee sono simili a quanto Nietzsche aveva affermato qualche anno prima, ma non c'era alcuna possibilità che James avesse letto gli scritti di Nietzsche, che non erano ancora stati tradotti.

Il pragmatismo di James era soggettivo ma fondato sull'esperienza umana oggettiva. I suoi critici sbagliavano nel pensare che intendesse dire che solo una credenza volontaria rende qualcosa vero. Sottolineò che quando diciamo che una credenza funziona per noi, non intendiamo semplicemente che ci faccia sentire bene. Intendiamo dire che abbiamo esperienza tangibile del suo funzionamento.

Non esiste una verità assoluta, prosegue James, ma siamo comunque saggi, persino obbligati, a impegnarci costantemente per garantire che le nostre credenze siano in armonia con le prove che abbiamo davanti, e dobbiamo adattarle alle nuove esperienze.

Nel frattempo, dobbiamo vivere oggi secondo la verità che possiamo ottenere oggi, ed essere pronti domani a definirla falsità. L'astronomia tolemaica, lo spazio euclideo, la logica aristotelica, la metafisica scolastica, sono stati espedienti per secoli, ma l'esperienza umana ha traboccato oltre quei limiti, e ora chiamiamo queste cose solo relativamente vere, o vere entro quei confini dell'esperienza.

La verità è l'espediente nel nostro modo di pensare: espediente nel senso della via più diretta verso ciò che funziona, e ciò che funziona è ciò che diventa vero. È così che impariamo e cresciamo fin dall'infanzia, ed è così che opera la scienza. La verità è dinamica, in continua crescita e cambiamento.

Post più letti nell'ultimo anno