(continuazione del post precedente)
Nadil aveva assunto la forma del neutrino, dell’elettrone, dell’atomo,
della molecola e del complesso strutturato che la trasformazione determinava.
Si verificava l’assurdo per cui uno stesso soggetto diventava componente e
derivato di sé stesso. Questo concetto è difficile da accettare nell’ordine
delle idee dettate da una logica separatista, mediante la quale due oggetti
sono tali perché divisi oppure un oggetto diviso non può essere contenuto da
una delle sue parti.
In matematica, attribuiamo il nome di “infinito” a un oggetto rilegato
nella fantasia, capace di contenere una sua parte grande quanto sé stesso.
La netta separazione di un elemento da una sua parte, ci mette in
difficoltà, ci costringe a pensare per parti e a giustificare l’osservazione
con un sistema di riferimento “truccato” dall’illusione di essere
autosufficienti e indipendenti dai protagonisti della scena osservata.
Guardando la figura, noterete come osservatore e osservati si includono
reciprocamente influenzandosi tra loro.
Come non è possibile cedere all’illusione di considerarsi parti isolate?
Come non è possibile riferirsi a schemi interni per giudicare?
Senza l’illusione, nessuno conterrebbe tutto, ne potrebbe giustificare
completamente la sua esistenza indipendentemente dagl’altri.
Esisteva, quindi, un flusso universale che tutto racchiudeva e che non
poteva essere desunto dalle singole parti, se non attraverso una forma di
“percezione” derivata dalla consapevolezza; accettatrice quest’ultima della
presenza di mutevoli forme astratte e inquadrate nelle teorie ricavate dai
singoli modi di osservazione.
Il fantastico flusso del divenire comprendeva ciò che oggi ci sembra
assolutamente separato e inconciliabile: mente e materia.
I due soggetti, tanto diversi ai nostri occhi, erano gli stessi oggetti
osservati, presenti nella magica onda universale cavalcata dalla
consapevolezza.
Mente e materia, così come intuito da Aristotele, diverse nella forma,
nella sostanza e nella logica agente, dovevano entrambe essere guidate dalla
causa finale, direttrice dell’onda globale trasformatrice.
La definizione di strutture autonome sempre più complesse aveva fondato
mondi separati, incapaci di giustificare anche la propria esistenza, e ciò che
sembrava più triste, era la crescente cecità nel riguardo degli altri mondi.
Sarebbe come se un progettista disegnasse una grande città e affidasse a
specialisti diversi ogni edificio e le strutture accessorie per i servizi
comuni. All’inizio dell’opera globale, nessun osservatore esterno potrà capire
che cosa si stia facendo, anche se potrà più facilmente comprendere l’obiettivo
dei singoli lavori in corso.
L’osservatore potrà intuire il grande disegno attraverso le differenti
attività che si svolgono freneticamente. I singoli esperti cureranno la
costruzione del proprio edificio ignorando tutti gli altri. Il progettista,
invece, osserverà l’avanzamento generale di tutti i lavori e sarà condizionato
dalle singole parti osservate, poiché dovrà assicurarsi che si rispettino le
direttive di progetto.
Qualora dovesse rilevare incongruenze o ritardi, sarà costretto a
intervenire e imporre il cambiamento alle parti coinvolte.
Il singolo edificio non deve essere considerato come qualcosa di
indipendente dal progetto globale ma come un elemento che si è determinato per
comporre il progetto. Come, poi, esso è strutturato e come risolve i suoi
problemi interni, dipende della funzione assegnata nell’ambito del quadro
globale.
Per esempio, se il progetto prevede la costruzione di una chiesa,
questa attività non deve considerarsi parte autonoma nel progetto in sviluppo,
ma dovrà tener conto della zona in cui il progettista ha deciso di costruirla e
che si tratta di una chiesa e non un albergo. Come infine, l’esperto locale
implementerà le sue tecniche, è una problematica confinata nell’ambito di quel
particolare cantiere.
Il direttore dei lavori curerà la costruzione della chiesa riferendosi ai
parametri imposti dal progettista della città poiché solo quest’ultimo disporrà
di informazioni di livello superiore.
Se al capo cantiere si chiedesse perché deve costruire quella chiesa, la
sua risposta sarebbe solo un’inutile opinione.
Immaginate che cosa succederebbe se intestardendosi assumesse decisioni
autonome. Forse non costruirebbe più una chiesa qualora la ritenesse inutile o
la costruirebbe con materiale scadente per aumentare i propri ricavi.
In definitiva, avrebbe danneggiato l’intera comunità.
Il pericolo di mondi chiusi in sé stessi, ciechi alla logica universale,
cominciò a preoccupare seriamente Nadil. L’autocorrezione insita nel meccanismo
evolutivo su cui egli fidava per il rientro nel disegno originale, tardava a
manifestarsi. Le difficoltà crescenti causati dalla lentezza di propagazione
dell’onda lunga, generata in seguito alla necessità di correggere il
funzionamento dei sistemi autonomi nell’ambito della struttura universale,
imposero interventi straordinari.
Si stavano verificando quegli effetti tipici causati nei sistemi
controllati da una logica retroattiva positiva, per i quali, la stabilità
interna è minacciata dalle azioni di controllo non sincronizzate con gli
effetti prodotti delle stesse azioni.
Per una miglior comprensione di questo problema, noto con il nome di
“retroazione positiva”, immaginate di essere alla guida di un’automobile e di
percorrere un tratto di strada rettilineo trafficato. Supponendo che
improvvisamente si verifichi un problema al meccanismo di accelerazione, nel
senso che la risposta dell’auto, in termini di aumento della velocità rispetto
alla pressione esercitata con il piede sulla leva di accelerazione, sia non
lineare.
Guidare in modo sicuro e veloce in mezzo al traffico, diventa
difficilissimo, mentre la probabilità di tamponare i veicoli che precedono e
che seguono, è elevatissima. Intuirete che accelerando, non avremo la risposta
nel tempo utile per stabilire se la pressione del piede sull’acceleratore sia
stata sufficiente o meno, per cui, potremo continuare ad accelerare fino a
quando la risposta conseguente diventa incontrollabile con la frenata e
mestamente ci rivediamo sotto forma di incompetenti piloti.
Interpretando romanticamente l’atteggiamento dei sistemi degeneranti, è
dolce far risalire l’origine dei problemi alla reazione manifestata
dall’energia racchiusa nella materia inerte e allo sconforto causato della
libertà perduta. Essa, inespressa, mostra stanchezza, inconsueto disuso della
sua brillantezza e vivacità; denuncia una condizione di malattia: l’isteresi
(caratteristica intrinseca che impedisce al sistema di reagire con immediatezza
alle sollecitazioni subite, tenendo memoria della sua storia precedente).
Il motivo per cui i sistemi in evoluzione fossero esposti alle
degenerazioni era da ricercare nella natura stessa che l’evoluzione implicava.
La capricciosa divisione dei discendenti di Nadil, aveva condotto nella realtà
dell’essere la distinzione marcata da una strana aggettivazione: vivente e non
vivente. La presenza nell’universo di qualcosa di vivente fu una novità dal
punto di vista della caratterizzazione dell’esistere.
Il significato legato
alla parola “vivente”, rincorreva quello di “evoluzione”, ridotto in una scala
temporale limitatissima e incentrato su infinitesimali punti di materia intrisi
da un programma rudimentale per l’auto-mantenimento. Le fortissime limitazioni
presenti in questi dispositivi dell’esistere, inevitabilmente divennero la
fonte del complesso di degenerazioni da cui si intendeva cautelare.
Nadil, nato nella coscienza dell’elettrone e diventato successivamente
struttura complessa, ritrovandosi contemporaneamente sotto forma di spirito e
materia, aveva consapevolezza della minaccia e perciò aveva bisogno di uno strumento
che potesse utilizzare e che superasse le limitazioni connesse con i mondi in
cui intervenire.
Serviva un ultra-sistema, una causa prima alla quale ricondurre tutto e a
cui affidare il suo messaggio, similmente al pensiero felice utilizzato da
Peter Pan per volare, che potesse funzionare da catalizzatore positivo
nell’onda lunga di correzione.
Il principio attivo perfetto avrebbe dovuto operare in una logica non
lineare e che la sua non linearità si sarebbe dovuta sempre manifestare nel
senso opposto a quello delle possibili degenerazioni.
In questo modo, ad ogni necessità di intervento si sarebbe generata una
procedura di correzione dinamica insita nel principio perfetto,
indipendentemente dalle azioni negative che eventualmente potessero insorgere.
Questo meccanismo ultra-fantastico avrebbe assicurato il successo
dell’opera finale.
Da allora Nadil, in ossequio a colui che tutto dispone e tutto comprende,
fungendo da mediatore, si è divertito a formare realtà e parvenze tali da
raccogliere tutte in un giocattolo dalle infinite sfaccettature, in ogni modo
divertenti e interessanti da morirne “dentro”.
Non abbiamo tante parole per riferirci a questo complesso, però pensando
all’universo come entità racchiudente qualunque elemento che possiamo immaginare,
non resta che riferirci all’ultra universo come l’insieme di mondi che vanno
oltre la nostra capacità di immaginarceli e che Nadil ne è un lontanissimo
testimone.
Nonostante sia passato molto tempo, visto con gli occhi degli uomini, il
progetto di Nadil è tuttora allo stato primordiale.
Egli dando seguito a quel capriccio che gli imponeva di essere un semplice
elettrone, ha dato inizio a una spettacolare avventura sostenitrice di un
ambizioso obiettivo.
Ciò che noi separiamo e distinguiamo, lo facciamo perché usiamo gli
strumenti di cui disponiamo e per i quali esistiamo.
Qualsiasi elemento nel nostro mondo non può che essere una ridicola
approssimazione dell’unica forma primaria e che questa, nelle nostre
rappresentazioni non ha motivo d’esistere se non per far proseguire un processo
di cui siamo apparenti protagonisti.
Questo obiettivo che ha la forza di un miracolo, dovrebbe svegliare la
mente dell’uomo e acquistare la saggezza dello spettatore osservato.
L’uomo in qualità di giudice e giudicato di sé stesso, non potrebbe mai
pronunciarsi poiché per farlo, il codice delle leggi non dovrebbe essere
scritto dalla sua mente.
Lasciamo quindi, che egli si occupi dei problemi del suo modo per
catalogare, definire e sentenziare, ma lasciamo la porta aperta, il giudizio
eternamente sospeso per quanto riguarda il suo spirito.
Se questa idea diventasse concetto nella logica degli uomini, Nadil sarebbe
felice per la sua primordiale disubbidienza.
La storia di Nadil è la storia dell’universo rapportata a una umanità senza
mezzi per comprenderla. Qualunque teoria, nascente rivoluzionaria, è stata e lo
sarà, un ventaglio di possibilità basate su idee che quantunque ad ampio raggio
(universali), e presunte oggettive (dimostrate), esse resteranno solo prodotti
dell’uomo, evidentemente limitato per definizione.