-- brano tratto dal "Il mio caro ETT"--
ETT: Non temi delusioni?
LUIGI: Appartengo alla razza umana e come
tale sono esposto a questi pericoli!
Ho imparato ha trasformare in virtù le
necessità e quindi la paura la considero una condizione all’esistere.
Per questo motivo accetto con mansuetudine
ogni delusione, sapendo, inoltre, che il sorriso prima poi torna per cancellare
i dolori.
Sono innumerevoli le volte in cui aprendo
gli occhi la mattina e vedendo il sole illuminare la stanza, mi perdo in
pensieri insoliti.
Nel confine di un dormiveglia indefinito
confondo il pensare con il sognare.
Mi ritrovo a parlare con un altro me
stesso.
Riecheggiano in me mezze frasi, forse sentite nella confusione di un
dialogare distratto.
Riascolto, con peso, parole pronunciate nello sconforto.
Sfuggono alla consapevolezza scene senza trama.
Un turbinio di emozioni che sublimano
riflessioni.
Una domenica mattina, svegliatomi
improvvisamente, una frase più di tutte mi ronzava nell’anima: come se
pretendesse una risposta ad ogni costo: “perché io?”.
Quando ciò che ci accade ci rende felici,
consideriamo giusto e normale che capiti a noi, ma quando invece i fatti ci
procurano dolori e delusioni, ecco che sbuca la mezza frase “perché proprio
io?”.
Allora fantastichiamo su congiure del destino, inventiamo trame contorte,
tutte tese a glorificarci come vittime innocenti.
ETT: Questa è una riflessione che avrei
dovuto fare io!
Probabilmente mi sto adeguando anch’io al vostro soggettivismo.
Però, qualcosa mi fa intuire che tutto
questo è una premessa ad una denuncia di insofferenza d’animo.
LUIGI: La tua intuizione non sbaglia!
ETT: Allora vai, ti ascolto.
LUIGI: La mia è una amarezza per quello che
sapendo, non riesco a trasmettere.
ETT: cioè?
LUIGI: Vedi, caro mio amico extraterrestre,
come noi umani siamo condizionati dalla nostra biologia.
Nei primi di anni di vita abbiamo tanta energia
da bruciare, non facciamo bilanci, né ci curiamo dei rischi e dei pericoli.
Non
conosciamo la paura, perché abbiamo poca esperienza; abbiamo poco tempo per
pensare.
L’istruzione ci omologa e la fantasia subisce violenza.
L’intraprendenza
e lo spirito di avventura si drogano del senso comune.
Da adulti, invece, siamo riusciti ad
ingabbiare tutto in un carattere individuale che nel migliore dei casi si
aggettiva come “socievole”, “equilibrato”, “maturo”.
Le occasioni che ci fanno riflettere
diventano ricorrenti.
L’energia fisica calante ci invita a dimorare nel passato
e i ricordi depositano romanticismo come collante ad una vita che dovrà
spegnersi.
Da persone mature, tutto
intorno ci appare colorato con “che cosa avrei potuto fare!”.
In questo clima interiore, nel vecchio
cuore emerge la volontà di offrire la propria “vista” al giovanotto di turno.
Succede, però, che “chi ha i denti non ha
il pane e chi ha il pane non ha i denti”.
Allora, l’anziano rallentato dalla
biologia, viene svuotato dalla capacità di trasmettere e diventa una campana
che rintocca in assenza di aria.
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