ETT: Stranamente, Luigi, non hai fatto nessun riferimento
al cibo inglese!
Non ti sarai forse abituato?
LUIGI: Certamente le stranezze alimentari
dei britannici non mi hanno sorpreso! Conoscevo ciò che mi attendeva per cui ho
fatto buon viso a cattivo gioco.
ETT: Quindi, non hai faticato molto a
ignorare le delizie del palato?
LUIGI: Ett, queste non sono domande da
porre a un professore che si astrae dalla materialità.
ETT: Allora perché brontolavi mentre
assistevi ai tuffi dell’ananas nel sugo di pomodoro oppure mentre pensavi di
bere il caffè che di espresso aveva soltanto il desiderio?
LUIGI: Infatti, non brontolavo … … conferivo
con me stesso!
Riflettevo ad alta voce. Notavo la coerenza
degli inglesi quando mangiano le jacket potatoes mentre noi le chiamiamo
volgarmente patate non sbucciate.
Inoltre, la loro fantasia è tale da superare
antichi stereotipi alimentari per cui dolce e salato possono coesistere.
Per forzare la cultura alimentare
tradizionalista mediterranea, cercavo di provar piacere a mangiare le patatine
fritte dopo aver assaltato comicamente una pannocchia di mais finita
rovinosamente fuori dal piatto.
Ti racconto l’avventura alimentare avuta il
giorno d’arrivo.
Dopo un’intera giornata trascorsa in tre aeroporti (Bari,
Stoccarda e Heathrow), avevo una fame da lupo.
Da perfetto gentleman, chiesi
gentilmente alla mia host family un posto dove poter cenare (non volevo creare
problemi a causa della tarda ora d’arrivo).
Per mia fortuna, la gentile
ospitante mi assicurò di aver già pronta la mia cena.
Vorrei che immaginaste la mia faccia nel
vedere pochi fagioli galleggiare in una brodaglia saporosa.
La fame spingeva il cucchiaio a raccogliere
quanti più fagioli possibili con un colpo solo.
Dopo poche cucchiaiate, rimase
solo la brodaglia che non sapevo come smaltire per non apparire “viziato” alla
mia ospitante.
Cercai di limitare la brutta figura avventurando internamente
probabili fette biscottate.
Purtroppo, esiste il limite a tutto e così
allontanai lentamente la portata verso il centro del tavolo.
Quest’atto fu interpretato come “ho finito,
voglio il secondo” e allora, la solerte inglese si precipitò verso il forno a
microonde, da dove estrasse delle linguine annegate nella besciamella.
Mi venne da piangere!
Tirai fuori tutta la mia ipocrisia intrecciata
con la signorilità per esclamare: wonderful!
Cercai di arrotolare quelle sfuggenti
strisce di pasta con una pigra forchetta ma dopo soltanto pochi balzi e
sconfinamenti, dichiarai tutta la mia sazietà e impossibilità di terminare
quella cena luculliana.
La bassa probabilità di trovare pane sulla
tavola inglese fu mitigata dalla sicurezza matematica di avere il dessert.
Chiedo la vostra clemenza nell’esprimere il
giudizio sulle mie aspirazioni alimentari, ma come potevo mangiare un
semifreddo alla menta quando ancora lo stomaco brontolava per la presenza d’aria.
Da navigato diplomatico, chiesi alla
padrona di casa di uscire per una passeggiata digestiva, invece, come un cane
randagio cominciai a cercare un locale che avesse qualcosa di solido e
verosimile al mio cibo immaginario.
Qualche giorno dopo conobbi i nomi di
quelle pietanze che ora, per motivi freudiani, sono stati rimossi.
ETT: Credo almeno che ti sia rifatto con la
colazione inglese; è famosa per essere sostanziosa.
LUIGI: Un bicchiere di latte freddo, un’anfora
con acqua color caffè, marmellata, burro, yogurt e due fette biscottate erano i
protagonisti delle mie mattine, prima di correre verso la fermata del bus ed
essere presente alle nove in punto in aula per la lezione.
Per fortuna che la mia passione per la
lingua inglese ha reso corollario il mangiare.
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