lunedì 22 luglio 2013

Enjoy your meal





ETT: Stranamente, Luigi, non hai fatto nessun riferimento al cibo inglese!
Non ti sarai forse abituato?

LUIGI: Certamente le stranezze alimentari dei britannici non mi hanno sorpreso! Conoscevo ciò che mi attendeva per cui ho fatto buon viso a cattivo gioco.

ETT: Quindi, non hai faticato molto a ignorare le delizie del palato?

LUIGI: Ett, queste non sono domande da porre a un professore che si astrae dalla materialità.

ETT: Allora perché brontolavi mentre assistevi ai tuffi dell’ananas nel sugo di pomodoro oppure mentre pensavi di bere il caffè che di espresso aveva soltanto il desiderio?

LUIGI: Infatti, non brontolavo … … conferivo con me stesso!

Riflettevo ad alta voce. Notavo la coerenza degli inglesi quando mangiano le jacket potatoes mentre noi le chiamiamo volgarmente patate non sbucciate. 

Inoltre, la loro fantasia è tale da superare antichi stereotipi alimentari per cui dolce e salato possono coesistere.

Per forzare la cultura alimentare tradizionalista mediterranea, cercavo di provar piacere a mangiare le patatine fritte dopo aver assaltato comicamente una pannocchia di mais finita rovinosamente fuori dal piatto.

Ti racconto l’avventura alimentare avuta il giorno d’arrivo. 

Dopo un’intera giornata trascorsa in tre aeroporti (Bari, Stoccarda e Heathrow), avevo una fame da lupo. 

Da perfetto gentleman, chiesi gentilmente alla mia host family un posto dove poter cenare (non volevo creare problemi a causa della tarda ora d’arrivo). 

Per mia fortuna, la gentile ospitante mi assicurò di aver già pronta la mia cena.

Vorrei che immaginaste la mia faccia nel vedere pochi fagioli galleggiare in una brodaglia saporosa.   

La fame spingeva il cucchiaio a raccogliere quanti più fagioli possibili con un colpo solo. 

Dopo poche cucchiaiate, rimase solo la brodaglia che non sapevo come smaltire per non apparire “viziato” alla mia ospitante. 

Cercai di limitare la brutta figura avventurando internamente probabili fette biscottate.

Purtroppo, esiste il limite a tutto e così allontanai lentamente la portata verso il centro del tavolo.

Quest’atto fu interpretato come “ho finito, voglio il secondo” e allora, la solerte inglese si precipitò verso il forno a microonde, da dove estrasse delle linguine annegate nella besciamella.

Mi venne da piangere!

Tirai fuori tutta la mia ipocrisia intrecciata con la signorilità per esclamare: wonderful!

Cercai di arrotolare quelle sfuggenti strisce di pasta con una pigra forchetta ma dopo soltanto pochi balzi e sconfinamenti, dichiarai tutta la mia sazietà e impossibilità di terminare quella cena luculliana.

La bassa probabilità di trovare pane sulla tavola inglese fu mitigata dalla sicurezza matematica di avere il dessert.

Chiedo la vostra clemenza nell’esprimere il giudizio sulle mie aspirazioni alimentari, ma come potevo mangiare un semifreddo alla menta quando ancora lo stomaco brontolava per la presenza d’aria.

Da navigato diplomatico, chiesi alla padrona di casa di uscire per una passeggiata digestiva, invece, come un cane randagio cominciai a cercare un locale che avesse qualcosa di solido e verosimile al mio cibo immaginario.

Qualche giorno dopo conobbi i nomi di quelle pietanze che ora, per motivi freudiani, sono stati rimossi.

ETT: Credo almeno che ti sia rifatto con la colazione inglese; è famosa per essere sostanziosa.

LUIGI: Un bicchiere di latte freddo, un’anfora con acqua color caffè, marmellata, burro, yogurt e due fette biscottate erano i protagonisti delle mie mattine, prima di correre verso la fermata del bus ed essere presente alle nove in punto in aula per la lezione.

Per fortuna che la mia passione per la lingua inglese ha reso corollario il mangiare.

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